Se ti occupi di User Experience devi leggere Daniel Kahneman.

Se non lo fai, è a tuo rischio e pericolo.

Jonathan De Sciscio
8 min readFeb 27, 2017
Daniel Kahneman, psicologo israeliano, vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 2002.

[English version].

Daniel Kahneman è uno psicologo israeliano che nel 2002 viene insignito del Premio Nobel per l’economia assieme al collega Vernon Smith. Ma come, penserete voi, uno psicologo cosa c’entra con l’economia? Bhè, c’entra eccome!

Grazie alle sue ricerche nel campo della psicologia cognitiva e comportamentale si porta a casa il Nobel, e qui cito,

«per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza».

Uno dei suoi libri più celebri è Thinking, Fast and Slow”, un vero e proprio testo sacro, almeno per chi scrive, e una vera e propria guida per tutto il team di BaasBox. Parliamo di un trattato in grado di far luce su alcuni dei fenomeni più interessanti che guidano ogni nostra scelta nel corso della quotidianità.

Il viaggio che Kahneman intraprende con chi legge lo porta ad esplorare i meandri sconosciuti della nostra mente, aprendo le porte a fenomeni comportamentali che, fino a qualche minuto prima, semplicemente ignoravamo.

Meccanismi capaci di influenzare ogni nostra decisione, che sia la nuova t-shirt da acquistare, il candidato da votare alle prossime elezioni o la possibilità di fare o meno tap su una certa CTA.

Comprenderli e studiare il loro impatto sui processi decisionali di ogni singolo individuo diventa fondamentale per chiunque decida di realizzare prodotti e servizi usabili ed in grado di offrire la miglior user experience possibile. Aspetti e variabili che a primo impatto potremmo considerare banali, se non addirittura irrilevanti, spesso influenzano in modo decisivo comportamento e giudizio degli utenti.

I veri protagonisti: i sistemi 1 e 2.

Kahneman nel libro parla dei due fondamentali meccanismi che guidano la mente umana chiamati sistema 1 e sistema 2.

Il primo comprende l’intuito, le scelte irrazionali, il pensiero immediato. Si tratta di tutti quei meccanismi che operano in fretta, di tutte quelle decisioni che non richiedono uno sforzo né tantomeno un nostro controllo volontario.

Insomma, se vi chiedessi di completare questo proverbio “rosso di sera…”, attivereste il sistema 1 e sareste in grado di rispondere rapidamente senza pensarci troppo su. Condividiamo alcune caratteristiche di questo sistema con altri animali. Fin dalla nascita abbiamo la capacità di percepire il mondo attorno a noi ed orientare l’attenzione (se sentiamo un rumore improvviso ci voltiamo verso di esso). Altre competenze invece le abbiamo esercitate col tempo e, giorno dopo giorno, sono diventate associazioni di idee entrate a far parte del sistema 1. Certamente saprete rispondere in pochi istanti alla domanda qual è la capitale della Francia?.

Il secondo sistema è quello che fa riferimento alla logica, alla razionalità, è quello che attiviamo nel caso in cui dovessimo affrontare attività mentali impegnative che richiedono una buona dose di concentrazione.

Se vi chiedessi di svolgere l’operazione 57 x 34 non sareste in grado di risolverla attivando il sistema 1. Probabilmente sarete in grado di fare il calcolo a mente, ma dovrete comunque compiere uno sforzo per trovare la soluzione.

Il sistema 1 è veloce mentre il secondo è lento e soprattutto molto, molto pigro. Se potrà evitare di lavorare, stai sicuro che lo farà. L’autore ci racconta di come il primo produca sempre spunti per il secondo: sensazioni, impressioni e intenzioni. Il secondo, proprio a causa della sua innata pigrizia, spesso si limita semplicemente ad adottare i suggerimenti del primo. Può capitare però che il sistema 2 si attivi in presenza di eventi “particolari” che sfociano al di fuori dal modello di realtà a cui fa riferimento il primo sistema.

Nel corso delle nostre giornate utilizziamo per il 98% del tempo il sistema 1 e solamente per il restante 2% il sistema 2, interessante vero? Questo sta a significare che per la stragrande maggioranza del tempo è il sistema automatico ad orientare le nostre scelte.

La fluidità cognitiva.

Una delle funzioni principali del sistema 1 consiste nel determinare quanto sia facile o meno svolgere uno specifico compito, avvisandoci nel momento in cui fosse necessario chiamare in soccorso il sistema 2. Parliamo della cosiddetta fluidità cognitiva o fluenza.

Stando alla definizione di Daniel Oppenheimer,

“la fluidità cognitiva è una valutazione metacognitiva della difficoltà di un processo cognitivo”.

Per semplificare.

Se il sistema 1 identifica e valuta come “facile” un determinato compito è segno che tutto sta andando per il verso giusto, che non ci sono minacce in vista e che, più in generale, non c’è alcuna necessità di allertare il sistema 2.

Quando invece un compito verrà valutato come “difficile” dal sistema 1 c’è bisogno dell’intervento diretto del sistema 2. In questo secondo caso non parliamo più di fluidità cognitiva ma bensì di tensione cognitiva.

Alla base della fluidità cognitiva Kahneman pone quattro cause tra loro distinte ma con effetti intercambiabili:

  • un’esperienza ripetuta nel corso del tempo che alimenta la sensazione di familiarità;
  • caratteri chiari e leggibili in grado di aumentare la sensazione di verità;
  • un’idea sottoposta a priming, alla quale consegue una sensazione di positività;
  • il buon umore che è in grado di alimentare la sensazione di mancanza di sforzo.

Alla luce di ciò possiamo affermare che quando ci troviamo in uno stato di fluidità cognitiva molto probabilmente siamo di buon umore, ci piace ciò che vediamo, crediamo a quello che ascoltiamo, ci fidiamo delle nostre intuizioni e, più in generale, ci troviamo all’interno di una comfort zone e in un contesto che ci risulta familiare.

Al contrario, in uno stato di tensione cognitiva, siamo vigili e sospettosi, facciamo più fatica a svolgere i compiti in cui siamo impegnati, ci sentiamo a disagio, siamo meno intuitivi e creativi del solito, ma in compenso tendiamo a commettere meno errori.

Semplice è meglio: prototipi, familiarità e buon umore.

In un interessante articolo dal titolo “The psychology of simple”, Jory Mackay parla di come il nostro cervello sia follemente attratto dalla semplicità. Le cose semplici, infatti, non richiedono sforzo all’utente per comprenderne il funzionamento. (E noi abbiamo visto quanto pigro sia il nostro cervello).

Nel pezzo l’autore cita il professore di Harvard George Whitesides che, nel corso di un TED dal titolo Towards a science of simplicity”, assegna alla “semplicità” queste caratteristiche:

  • Prevedibilità: il comportamento di cose semplici è facilmente prevedibile ed attiva il sistema 1.
  • Affidabilità: ci fidiamo di cose semplici e siamo propensi ad utilizzarle. Ritroviamo, ancora una volta, il concetto di familiarità.
  • Sostenibilità economica: se un prodotto costa poco, l’utente troverà certamente il modo di utilizzarlo (i sassi sono oggetti primitivi e semplici, ma con questi l’uomo ha imparato a costruire cattedrali).

Infine, cose semplici possono essere utilizzate come fossero “mattoni” (il professor Whitesides li definisce ‘building blocks’) che possono essere assemblati ed utilizzati per costruire altro.

Grazie a queste caratteristiche, la semplicità ha la straordinaria qualità di riuscire ad abbattere le barriere all’ingresso per l’utente.

Come abbiamo visto in precedenza, nel corso della nostra vita siamo sempre abituati, o in qualche modo costretti, a dover prendere decisioni in pochi istanti. Il concetto di semplicità si inserisce perfettamente all’interno di questo quadro quotidiano (cose semplici rendono più agevole il compito) ma ad essa si legano due ulteriori componenti: i prototipi e la familiarità.

Elementi prototipali ci aiutano nell’elaborazione dei nostri processi mentali rendendo più fluide le nostre scelte. Ad un triangolo di colore rosso abbiniamo immediatamente il concetto di pericolo. Ad un’icona a forma di “casa” associamo la sezione Home di un’app o di un sito web.

Il concetto di familiarità è legato invece al cosiddetto “effetto esposizione”. Si tratta del nesso che si crea tra la ripetizione di uno stimolo ed il leggero affetto che alla fine un soggetto mostra per quest’ultimo. Questo non dipende dall’esperienza diretta e tanto meno dalla nostra coscienza. L’esperienza della familiarità possiede una qualità estremamente potente, l’effetto déja vu che crea nel soggetto l’illusione del ricordo.

È scientificamente provato che abbiamo maggiore fluidità cognitiva di fronte ad una parola o un oggetto che abbiamo già visto in precedenza. Un nome che ci risulta familiare risulterà più nitido e più “facile” da vedere. Esistono metodi semplici con cui poter rendere familiare per l’utente una nuova parola, ad esempio mostrandogliela in precedenza per pochi millisecondi oppure facendola risaltare grazie ad un maggior contrasto rispetto al resto del testo.

Il product placement nei film, ad esempio, sfrutta la potenza dell’effetto esposizione (qui un interessante esperimento degli psicologi Stefano Ruggieri e Stefano Boca dell’Università di Palermo).

David Fincher, regista del film “Fight Club” ha affermato che c’è almeno una tazza di Starbucks in ogni scena del film.

In un articolo dal titolo “Mind at Ease Puts a Smile on the Face” viene dimostrato come alla fluidità cognitiva siano associati sentimenti positivi. Parole facili da pronunciare o oggetti semplici da riconoscere scaturiscono in noi sensazioni che suscitano buon umore.

Fluidità cognitiva e font.

L’utilizzo di font leggibili che non richiedano all’utente troppo sforzo contribuisce ad aumentare la sensazione di fluidità cognitiva.

Caratteri leggibili, con il giusto contrasto, la grandezza e lo stile corretti, abbinati ad un lessico semplice ed ortograficamente corretto, rendono più facile per l’utente svolgere un compito o adottare un nuovo comportamento. Scrivere un testo con font difficilmente leggibili o magari utilizzando colori con sfumature incerte e poco decisi, causa al contrario disfluenza.

Ciò vuol dire che l’utente potrebbe valutare più difficile uno specifico compito solo ed eslusivamente a causa del font o dei colori sbagliati.

Ma c’è anche un altro aspetto interessante da valutare, il rapporto tra caratteri chiari e percezione della verità.

Font leggibili rendono un’affermazione più credibile agli occhi di chi legge.

Un utente potrebbe percepire un prodotto o un servizio come più affidabile anche grazie alla fluenza di un testo e al suo impatto sullo schermo di uno smartphone. Si tratta di un accorgimento strategicamente molto importante visto che potrebbe, ad esempio, spingere una persona all’acquisto di un prodotto.

Come scrive Daniel Kahneman:

“Il principio generale è che qualunque cosa facciamo per ridurre la tensione cognitiva è utile, sicché dovremmo prima di tutto rendere la frase massimamente leggibile”.

Entrambe le affermazioni sono false (Adolf Hitler è nato nel 1889) ma gli esperiementi hanno dimostrato che la gente è più propensa a credere alla prima.

Finora abbiamo parlato di sistema 1 e di azioni e percezioni legate al concetto di velocità. In alcuni frangenti però potrebbe essere necessario rallentare chiamando in causa il sistema 2. Se vogliamo che un utente si concentri di più su un determinato compito, se vogliamo che approfondisca meglio un concetto, potrebbe essere utile realizzare quelle che il professore Stefano Bussolon definisce soluzioni disfluenti by design.

Per concludere, come afferma Colleen Roller (VP, Usability Engineer in Bank of America Merrill Lynch) in questo articolo su UXmatters:

“Cognitive fluency — or disfluency — plays a subtle, yet influential role in judgment and decision making.”

Conoscere l’importanza dell’impatto che fluidità e tensione cognitiva hanno sui processi di decision making e sul comportamento dell’utente è fondamentale per chiunque si occupi di User Experience.

Sottovalutare o adirittura escludere la psicologia cognitiva e comportamentale dai propri ragionamenti nel momento in cui si progetta un nuovo prodotto, rappresenta un errore che può costare caro.

Voi non fatelo!

Leggere Daniel Kahneman può essere un primo importante passo verso la progettazione e la realizzazione di prodotti e servizi migliori.

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Jonathan De Sciscio

Pensieri sparsi su Storytelling, Comunicazione e User Experience. Divoro sport. Seguace di Kahneman. Viaggiatore.