"Ho smesso di dire di essere una Interaction Designer nel 2012”

Fabbì
UX Italics
Published in
5 min readJun 22, 2018

Simona, 31 anni di Arezzo, Graphic e UI Designer

Nella classe del DAC, Simona parlava con tutti.

Il suo leggero accento aretino è un avamposto di una simpatia travolgente, che è rimasta invariata nonostante la fine dei vent’anni ed una casa in costruzione nella campagna Toscana.

Era quella che ci capiva più di tutti di Visual Design e non a caso ora se ne occupa anche in Blend, una creative agency di Arezzo.

Ciao Simona, raccontaci un po’ della tua triennale, da dove venivi e dei motivi che ti hanno spinto ad iscriverti al DAC.

Iscrivermi alla specialistica in design di Ambienti per la Comunicazione ha rappresentato per me una sorta di naturale prosecuzione agli studi appena conclusi della laurea triennale. Io così come altri ragazzi che provenivano dallo stesso corso di studi triennale (Scienze della Comunicazione, curriculum Tecnologie della comunicazione ndr) che si sono poi iscritti al DAC avevamo sviluppato un background che era di fatto propedeutico alla specialistica e fondamentalmente “in fieri” e da completare. Non nego che prendere una decisione sia stato un processo pieno di dubbi: le alternative erano l’estero o il nord Italia con scuole come lo IUAV o la Domus Academy.

Quando ti sei iscritta sapevi che cosa era l’interaction design?

Sì, anche se ne avevo un’idea ancora parziale e incompleta. In realtà mi ero iscritta al corso triennale di scienze della Comunicazione — curriculum Tecnologie della Comunicazione — provando maggior attrazione verso corsi più “visual” come “produzione grafica”. Effettivamente il settore della grafica e in generale del visual design si è confermato quello dove ho iniziato il mio percorso professionale e nel quale tuttora lavoro e trovo maggiori soddisfazioni.

Quale e’ stato il corso che ti e’ piaciuto di più?

Probabilmente, nonostante poi si sia rivelato uno dei corsi più “lontani” rispetto al mio lavoro, direi “Analisi della attività e definizione dei requisiti”, tradotto “User Research”. Il corso era strutturato molto bene e per quanto il mio modo di lavorare a volte sia caotico, in generale amo la definizione di un metodo e l’organizzazione del flusso di lavoro… e questo corso era l’espressione massima dell’organizzazione: dei contenuti, dei modi, dei tempi, delle consegne.

E quale e’ stato il corso che ti e’ servito di più?

Forse per il mio percorso “Prototipazione e produzione web” e “Prototipazione grafica e 3D”, ma per alcune conoscenze trasversali direi anche “Design dei Media Digitali”. In generale direi che mi è servito il fatto che tutti i corsi fossero improntati su un concetto di team working. Per me che sono tendenzialmente un lupo solitario è stato di grande aiuto anche in campo lavorativo.

Raccontaci brevemente cosa hai fatto dopo la laurea.

Mentre lavoravo alla mia tesi di laurea specialistica, nella primavera del 2011, sono stata contattata da una piccolo studio creativo della mia città, Arezzo, che si occupava di comunicazione e produzione video. Avevo creato qualche mese prima il mio portfolio online e mi avevano notato per questo. Questo piccolo studio era nata giusto l’anno prima, ma si era subito fatta notare per aver creato dei progetti di visual mapping: nulla di nuovo sul fronte internazionale, sicuramente una vera novità ad Arezzo. Mentre scrivevo la tesi, ho iniziato quindi a collaborare per loro creando dei concept relativi ad installazioni e percorsi interattivi da sviluppare ad Arezzo. Mi sono laureata nel luglio 2011 e a settembre ho iniziato a lavorare per Blend, così si chiama lo studio…dove tutt’ora lavoro come Graphic e UI Designer.

Ti consideri ancora una interaction designer?

Ho smesso di dire di essere una Interaction Designer nel 2012. In parte per la difficoltà di dover spiegare in cosa consisteva esattamente questa figura professionale a chi non è del settore, ma in primis perché effettivamente non ero mai stata un’interaction designer fuori dall’ambito universitario…e forse non avrei mai voluto esserlo davvero nel suo significato più puro. Quello che so è che la formazione in IxD unita alla mia passione per il Visual Design, mi ha reso una figura ibrida che trae vantaggio da ambo i campi. Oggi in realtà nell’ambito del design digitale si fa un gran parlare di UX e UI design. Penso che entrambi gli ambiti progettuali non facciano altro che attingere dal bagaglio di conoscenze dell’interaction design, o meglio, sono un’evoluzione dettata dai tempi tecnologicamente più maturi.

Quindi, che cosa e’ l’Interaction Design per te?

Riferendomi al mio lavoro, per me oggi l’IxD è soprattutto un approccio, un modo olistico di pensare ad un progetto di natura digitale e la consapevolezza che più discipline compenetrino nello stesso “prodotto”, che sia un sito, un’app, un’installazione interattiva, e che tutte concorrano al suo perfezionamento. E’ inoltre un modo iterativo di pensare alla progettazione, la consapevolezza che c’è sempre un modo per migliorarla.

Cosa cambieresti se potessi in questo ambiente?

Ho la fortuna di avere a che fare con clienti internazionali oltre che italiani. In quasi 7 anni di lavoro quello che ho capito è che in generale c’è una tendenza tutta italiana, soprattuto da parte di clienti con diversi anni di esperienza alle spalle, a fidarsi parzialmente degli studi creativi dove lavorano ragazzi giovani. Si finisce quindi spesso ad assumere un atteggiamento che passa ad essere da consulenziale a meramente operativo a causa di questa resistenza. Questo tipo di diffidenza è difficilmente riscontrabile nei clienti internazionali, che tendono invece a dare carta bianca e si affidano al nostro lavoro senza tanti preconcetti. Per i mestieri della creatività la collaborazione con il cliente è certamente fondamentale, ma lato cliente significa avere la giusta apertura mentale e lasciare spazio di azione e respiro al creativo…mi piacerebbe che in Italia ci fosse più apertura in questo senso.

Come e dove ti vedi tra 5 anni?

Probabilmente ancora ad Arezzo. La speranza è di riuscire ancora a lavorare nel settore creativo del visual design, essendo quello che mi genera maggior soddisfazione.

Hai mai pensato di andare all’estero?

Più nell’ambito della formazione, quindi in passato. Ho avuto la possibilità di studiare 5 mesi in Danimarca durante il periodo di studi del DAC ed è stata un’esperienza davvero ispirante, che ha in parte cambiato il mio modo di vedere certe cose. Eppure, per quanto ancora abbia nostalgia della Danimarca, quel periodo ha anche rafforzato la mia connessione con l’Italia e la volontà di costruire qualcosa qui.

Ti vedi a fare il tuo attuale lavoro per tutta la vita o pensi di cambiare ad un certo punto?

Ho una scarsissima capacità di immaginarmi nel futuro, ma posso con tranquillità affermare che mi piacerebbe che il mio lavoro fosse comunque figlio o parente stretto del visual design. Creare per me da sempre, sin dai primi disegni dell’asilo, trova la sua massima espressione nel bilanciamento di forme e colori. E immagino che così sarà anche in futuro!

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