"Il mondo del lavoro è tremendamente più frenetico e spietato mentre il mondo universitario è protetto e sicuro"

Fabbì
UX Italics
Published in
4 min readSep 25, 2018

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Daniele, 36, Copenhagen, UX Intern at Tonsser.

Daniele si definisce il “vecchio” del DAC, aveva qualche anno più di noi, ma non ce ne siamo praticamente mai accorti. E’ siciliano di nascita, ma ha da tempo abbandonato i caldi lidi del mediterraneo per trasferirsi in Nord Europa. Di come sia arrivato fin lì ce ne parla lui stesso:

“Vecchio del Dac”, raccontaci come ti sei ritrovato a studiare Interaction Design alla tua veneranda età.

La mia triennale è stata parecchio travagliata, con numerose interruzioni. Ho iniziato l’università a fine 2001 e dopo una partenza flash, mi sono fermato alla tesi, cambiando 3 docenti e lavorando nel mentre. Ho avuto la fortuna di trovarmi a frequentare corsi importanti come Interazione uomo-macchina, che sono stati fondamentali e mi hanno influenzato molto. Devo la mia iscrizione al DAC a Letizia (ndr altra studentessa DAC) che mi ha letteralmente spinto nell’ufficio del Prof. Rizzo per chiedere una nuova tesi e avere informazioni sulla specialistica da quel momento sapevo che quella sarebbe stata la mia strada.

E ti sei ritrovato proiettato nel corso di Analisi delle Attività e definizione dei Requisiti.

Tutt’ora il mio preferito, nonchè quello che mi è servito di più!

Alessia Rullo (ndr docente del corso) è stata decisiva per quello che poi sarebbe stato il mio lavoro. Ci ha introdotto al mondo dell UX in maniera eccellente. È stata la prima a spiegarmi cosa fosse l’UCD e come coinvolgere gli utenti nel processo di design. Credo che quel corso ci abbia fornito delle solidissime basi sulle quali costruire il nostro percorso come UX Designer, UX Researcher, UI Designer, Interaction Designer e così via.

Ed infatti ad un certo punto sei diventato un interaction designer “certificato”

Ho terminato la specialistica con uno splendido progetto sui Pervasive Games, poi ho orbitato attorno all’Università per un altro anno. Ho lavorato ad una mostra interattiva al Santa Maria della Scala sui diritti umani, frutto di una collaborazione dell Università di Siena e quella di Eindhoven. Finito il progetto ho deciso di lasciare l’Italia perchè mi stava decisamente troppo stretta.

La tua opinione su cosa e’ l’Interaction Design e’ cambiata dall’università al mondo del lavoro?

Decisamente si. Il mondo del lavoro purtroppo spesso sacrifica il “testing” o parte della “user research” in nome di mancanza di tempo e budget. Il mondo del lavoro è tremendamente più frenetico e spietato mentre il mondo universitario è protetto e sicuro. Inoltre c’è molta confusione su cosa è IxD, UxD e UI, anche tra le aziende. Alcuni cercano dei Graphic Designer che si concentrino sulle interfacce, altri dei ricercatori, altri ancora vogliono qualcuno che crei e sviluppi “concepts”. C’è poi chi vuole qualcuno che faccia tutto o che “aggiunga UX al suo prodotto”.

Come se fosse il pepe da aggiungere al pollo arrosto!

Stiamo vivendo nella UX Golden Age. In molti si stanno accorgendo che considerare gli utenti finali quando si crea un prodotto è importante. Purtroppo la parola UX è spesso abusata.

Ed invece cosa è per te l’Interaction Design?

Non mi considero un Interaction designer perchè ritengo che sia molto riduttivo. Io sono un UX Designer.

Ci sono diverse scuole di pensiero ma io condivido quella che vede l’IxD come una parte dell’UxD. Nel mio lavoro devo essere in grado di gestire la parte “emozionale” del design, quella interattiva e quella visuale. Tre aspetti di quello che è l’intera filosofia UX.

Ti sei trasferito in Danimarca subito dopo la laurea, raccontaci un po’ come è andata.

Mi sono spostato in Danimarca perchè l’Italia e la mentalità italiana mi stavano strette. Qui ho avuto modo di aprire un’azienda e lavorare senza la paura di fallire o affrontare le mostruosità burocratiche e i tempi biblici italici. Ho lavorato come UX Consultant per qualche anno e poi ho chiuso perchè ho deciso di prendere una seconda specialistica. Mi sono iscritto all’Università di Aalborg è ho preso un MsC l’anno scorso. Esperienza interessante l’università danese. Più leggera rispetto a quella italiana ma più focalizzata alla ricerca, con un occhio di riguardo verso il mondo lavorativo. Devo dire che mi sono subito trovato a casa, visto che il DAC era strutturato praticamente alla stessa maniera (eccezion fatta per i semester projects). Adesso vivo a Copenhagen, una città molto vivace sia dal punto di vista lavorativo che umano. Tra gli alti e bassi non mi sono ancora pentito di aver lasciato l’Italia.

Pensi mai di ritornare?

Io nel futuro mi vedo sempre qui in Danimarca, ma sono una persona estremamente curiosa e non mi spaventa il cambiamento.

Se mai dovessi tornare in patria, credo che andrei a colpo sicuro a Milano, una delle poche città che, a mio avviso, offre opportunità nel campo dell’UX.

Cosa cambieresti dell’Italia se potessi?

Comincerei riformando l’Università e parte della mentalità industriale, entrambe ancorate ad un vecchio mondo che lentamente si sta dissolvendo. Vivere all’estero ti permette di vedere il tuo paese da un diverso punto di vista.

Chiudiamo con una parentesi nostalgica..da buon “vecchio” cosa ti manca dei bei tempi andati?

Mi manca il ciaccino del Poppi, la Poretti di Rosi e l’aperitivo scrauso del Diacceto. Lo smørrebrød è buono ma il ciaccino del Poppi è divino!

Daniele è attualmente impegnato con una serie di UI challenges, potete dargli un occhio e commentarle attraverso il suo profilo Linkedin.

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