I 10 errori di ragionamento dei designer

Ti è mai capitato di aver faticato così tanto su un progetto da non accogliere razionalmente i feedback? E di sbagliare spesso le tempistiche preventivate? Questi sono solo alcuni dei tipici bias cognitivi che affliggono i designer.

Giovanni Ghirardi
UX Tales
8 min readFeb 13, 2019

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Cosa sono i bias cognitivi?

Corrispondono a quelle situazioni in cui ci sembra che le nostre scelte siano dettate dalla logica e dall’obiettività ma in realtà sono influenzate da pregiudizi e fattori inconsci.

Il bias cognitivo (o errore di ragionamento) si presenta quando interpretiamo ed elaboriamo le informazioni non in maniera logica e distaccata. Spesso questi bias sono il risultato del nostro tentativo di ottenere una semplificazione forzata, passando inconsciamente per scorciatoie mentali, su un ragionamento che invece richiederebbe spesso una sana complicanza.

Tra i bias cognitivi più evidenti c’è l’apofenia (dare un significato ad eventi casuali, vedi i miracoli), l’effetto placebo (influenzare l’avverarsi di un evento attraverso la convinzione che quell’evento debba verificarsi), la riprova sociale (imitare quello che fanno gli altri per essere accettati), il bias della scarsità (convincerci ad acquistare un oggetto quando sappiamo che ne sono rimasti pochi) e molti altri che ci succedono ogni giorno, soprattutto legati alle tecniche di vendita.

Queste particolari interpretazioni non sono sempre dannose e spesso, anzi, ci permettono di prendere decisioni velocemente. Il che porta ad un estremo, e utile, alleggerimento dello sforzo cognitivo per tutte quelle situazioni non particolarmente importanti. Tuttavia, ci sono alcuni di questi bias, soprattutto relativi ai temi più importanti nella vita e nel lavoro, che ci portano invece a fare scelte poco lucide e con poca visione del nostro benessere futuro.

Ecco i 10 bias cognitivi più frequenti per un designer:

#1 Razionalizzare l’istinto

Si tratta della nostra tendenza a dare un significato ragionato e pragmatico a scelte che sono state impulsive o fatte sulla base di poche informazioni.

Di certo è capitato, almeno una volta, ad ognuno di noi di giustificare scelte inconsce, o addirittura casuali, come risultato di attenti studi e statistiche. Sorprendendoci quando la spiegazione, detta al volo, ha un effettivo senso nel progetto.

Il saper gestire queste situazioni fa parte del lavoro di chi presenta un progetto (designer, PM o account), che sa bene di avere come obiettivo un feedback quanto più snello possibile. Non si tratta infatti prettamente di un errore da correggere, ma più di un’attenzione maggiore da sviluppare per evitare di dover improvvisare in pochi secondi una giustificazione.

#2 Bias di conferma

Questo è probabilmente l’errore di ragionamento maggiormente diffuso, e non molto distante dal precedente, Razionalizzare l’istinto. È la tendenza a plasmare le nostre idee in modo da renderle compatibili con il lavoro fatto fino a quel punto.

“Applichiamo un filtro alle nuove informazioni che smentiscono le nostre opinioni del momento”

— Rolf Dobelli

L’esempio classico è durante un debrief, con al centro una nostra proposta, nel quale ad ogni segnalazione di problematica le nostre immediate soluzioni alternative tendono a garantite quanto più possibile la correttezza delle altre scelte non in questione. Il rischio concreto è di “appiccicare” soluzioni poco legate tra loro e non risolvere realmente il problema, pur di non riprendere in mano una parte più corposa della proposta.

Se durante l’analisi del nostro lavoro emergono problematiche è bene farci vedere svegli e attivi proponendo subito possibili soluzioni alternative, ma è ancora meglio concludere sempre con un “però ci voglio ragionare meglio a mente fredda”, anche se ciò che abbiamo proposto è sembrato in quel momento a tutti la soluzione migliore.

#3 Attualizzazione iperbolica

Il termine indica la propensione a scegliere sempre il piacere immediato rispetto al benessere a lungo termine. I casi più classici sono l’alimentazione e i risparmi.

Il meccanismo mentale dipende dal fatto che sopravvalutiamo noi stessi nel futuro, come se ci potessimo svegliare tra 5 anni con improvvisamente un fisico perfetto e molti risparmi in banca. Il tutto senza esserci, oggi, impegnati particolarmente.

È evidente, nel nostro caso, il riferimento alla crescita professionale. Se non siamo soddisfatti del nostro lavoro o se pensiamo di non guadagnare abbastanza non è certo non cambiando nulla che la situazione migliorerà.

Diventa fondamentale sforzarsi per uscire dalla propria comfort zone o smettere di procrastinare. Qualunque cambiamento non sarà facile ma è l’unico modo per migliorarci.

#4 Errore da troppo affetto

Si tratta dell’influenza affettiva verso gli oggetti, che nel nostro caso può portare ad avere una visione irrazionale durante le fasi decisionali e di feedback.

Tutto quello su cui abbiamo sudato e faticato diventa per noi il “nostro bambino” da difendere anche quando non se lo merita, non per nulla è anche conosciuto come effetto IKEA.

Non si fa il bene del progetto difendendolo a priori, pensando allo sforzo fatto per realizzarlo, dobbiamo invece sempre metterlo in dubbio, soprattutto senza irrigidirci se altri ci fanno notare possibili problematiche. Mettendo a nostra volta in dubbio noi stessi e le tante piccole decisioni che abbiamo preso realizzandolo.

#5 Errore dell’iperattività

Questo bias è tipico dei giovani alle prime armi o anche di chi, più adulto, si cimenta in un’attività per la quale ha poca esperienza. Si tratta dell’ansia da inattività, ovvero di quella paura di farsi trovare fermi a non far nulla. Ansia che probabilmente deve le sue origini alla rigida disciplina scolastica.

L’errore dell’iperattività è facilmente riconoscibile, in sé stessi o negli altri, ragionando su cosa facciamo nella prima ora dopo che ci è stato dato un problema da risolvere o una nuova proposta da realizzare.

L’istinto ci fa mettere immediatamente al lavoro prendendo subito in mano gli strumenti necessari (i software nel nostro caso), portandoci a non dare troppa importanza all’iniziale ragionamento astratto, al nostro interiore brainstorming o alla fase di ricerca.

#6 Troppo facilmente disponibile

Siamo propensi a progettare considerando solo le risorse e capacità che abbiamo in quel momento. Ovviamente è il tempo che ci spinge a farlo. Tendiamo quindi a non cercare soluzioni nuove, di sicuro meno immediate, anche se magari una soluzione al problema con i nostri attuali mezzi sappiamo non essere ottimale.

L’esempio classico per noi designer è relativo alle risorse da stock, o nostre personali, che già abbiamo e conosciamo. L’istinto ci porta ad usare lo stesso set di icone, gli stessi font, le stesse immagini o lo stesso stile che già abbiamo sottomano piuttosto che investire più tempo per cercare/fare qualcosa di più adatto al nuovo progetto. Ma appunto, di investimento si tratta e non di perdita di tempo per cui sta a noi decidere se alzare l’asticella.

#7 Errore di calcolare il trascorso

Questo errore di ragionamento è relativo al valore maggiore che diamo a ciò che possediamo rispetto a ciò che non è nostro. Se decidiamo di vendere la nostra vecchia auto tendiamo ad assegnargli un prezzo molto maggiore rispetto a quello reale, questo perché aggiungiamo sia il costo che all’epoca abbiamo speso sia un valore sentimentale, ininfluente per il compratore.

Lo stesso può succedere se dopo un colloquio non otteniamo il posto o la commessa. Se il nostro impegno per ottenerlo non è stato alto saremmo comunque delusi ma se, al contrario, avessimo investito molte energie lo saremmo ancora di più… sbagliando. Perché o il posto l’abbiamo ottenuto oppure no, concretamente il “come” a quel punto conta poco.

#8 Errore di pianificazione

Molto spesso, quando ormai è troppo tardi, ci accorgiamo che avevamo sottovalutato tempi e risorse da dedicare ad un certo task o progetto.

Incappiamo in questo errore per varie ragioni:

  1. Perché crediamo che ci siano pochi rischi di subire un evento negativo.
  2. Perché tendiamo a sopravvalutare la nostra reale velocità.
  3. Perché tendiamo a far combaciare l’analisi approfondita alla prima idea che ci siamo fatti istintivamente.

Per ridurre gli errori di pianificazione l’ideale è confrontarsi il più possibile con il passato; sia tenendo sempre traccia del tempo che spendiamo quotidianamente su ogni progetto sia cercando di capire, poi, a quale progetto passato più assomiglia il nuovo. In ogni caso è buona norma aggiungere sempre un 20% in più rispetto alla nostra pianificazione, in modo da avere un salvagente in caso di problemi.

#9 Effetto ancoraggio

Si tratta del classico meccanismo usato nelle aste o durante una trattativa. Se i contendenti non hanno perfettamente idea del valore di un oggetto la trattativa girerà intorno al primo numero detto (anche se questo fosse casuale).

La tecnica è molto usata dai venditori che, osando inizialmente con una cifra molto alta, riescono a far sentire il compratore soddisfatto solo per il fatto di aver “conquistato” l’oggetto ad una cifra leggermente più bassa.

Dopo l’analisi di un brief è possibile cadere nell’errore di plasmare la propria proposta seguendo alla lettera solo le informazioni ricevute, costruendo magari un progetto debole solo perché è partito da un’insufficiente cura, a monte, nel redigere il brief. È molto utile in questi casi tenere la mente aperta per considerare possibili scenari più completi, tenendo comunque sempre il focus sul brief, considerando anche aggiunte non richieste che darebbero un maggior senso all’insieme.

#10 Trascurare la probabilità

Si parla di scarsa considerazione della probabilità in quei casi in cui il desiderio che un evento si compia ci rende “ciechi” davanti alle realistiche possibilità che possa succedere.

Il classico esempio sono le lotterie e i giochi casuali dei casinò, nei quali le possibilità di grosse vincite sono quasi nulle. La ludopatia, infatti, si alimenta da molti di questi errori di ragionamento: tra gli altri l’ illusione del controllo (credere di poter influenzare una determinata situazione invece casuale, come il modo di lanciare i dadi o rifare sempre le stesse cose prima di compilare una schedina) e la distorsione dello scommettitore (credere che ci siano molte più probabilità che esca un numero specifico solo perché sono tante volte che non esce).

Nel mondo delle start-up, soprattutto se sono nostre, l’acquolina in bocca di possibili guadagni ci annebbia la mente sulle effettive probabilità di ricavare qualcosa. Il miraggio di enormi realtà (Apple, Facebook, ecc..) nate nei garage, o in stanzette universitarie, ci fa credere che in fondo non sia così complicato ottenere il successo. Analizzando invece le reali probabilità scopriremmo che solo il 10% delle start-up hanno successo e che il 42% di quelle fallimentari non sopravvivono perché realizzano prodotti che nessuno vuole (fonte Fortune) o perché ci si adagia su una buona idea e su buone professionalità, sottovalutando i processi di business e le problematiche aziendali.

Approfondimenti

Per un maggiore approfondimento sui bias cognitivi vi consiglio L’arte di pensare chiaro di Rolf Dobelli, Le armi della persuasione di Robert Cialdini e Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman.

Storie di design, esseri umani e interazioni.

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