Andy Rocchelli, il fotoreporter italiano ucciso 4 anni fa in Ucraina
“Io mi limito a fare degli scatti, voglio lasciarmi sorprendere da ciò che la macchina riesce a catturare, senza pregiudizi”
(Andrea Rocchelli)“In questo mare di rumore e di scorie Andy era una goccia di purezza.
Lavorava praticamente sempre, sempre con la testa li alle storie, alle foto, ai suoi viaggi, i suoi libri, i suoi progetti. Era un esempio di integrità, correttezza e dedizione costante per noi, che lo amavamo e lo amiamo come un fratello: il fratello minore che dimostra più grinta di te, e ti costringe a fare lo sbruffone per stare al passo. Lui però sbruffone non lo era, era un giornalista onesto.
Viveva il suo lavoro fisicamente, ne penetrava il senso subito e se lo portava a casa. Poi chiusa quella storia lì, era subito un’altra.Andy era testardo, Andy è un testardo, e lo sarà sempre. Ci sbatteva sempre la testa, su tutto, con tutti. Ogni cosa che faceva, ogni cosa che noi facevamo con lui era un’iniezione di grinta. Quando ti faceva incazzare, quando ti sorrideva, quando lavoravi con lui, ogni volta era un batticuore. Ogni volta venivi spronato ad andare oltre, a correre più veloce di lui. Raramente lo superavi”.
(Cesura, 26 maggio 2014)
Quattro anni fa, il 24 maggio 2014, veniva ucciso in Ucraina, Andy Rocchelli, fotoreporter italiano, raggiunto da almeno 40 colpi di mortaio. Con lui, moriva il suo amico Andrey Mironov, scrittore, interprete, difensore dei diritti umani, ex-dissidente e prigioniero politico russo. Un giovane fotografo francese, William Roguelon era riuscito a salvarsi.
In Ucraina, Rocchelli e Mironov stavano lavorando a un reportage sulle sofferenze della popolazione civile del Donbass a causa degli scontri tra separatisti filorussi e l’esercito di Kiev. Rocchelli, scrive Antonella Napoli su Huffington Post, “voleva realizzare un reportage da Kiev a Donetsk per poi spingersi verso Sloviansk, dove con l’aiuto di Andrej aveva raccolto numerose interviste che raccontavano delle condizioni di vita estrema della popolazione locale. Le foto dei bunker improvvisati in alcuni canali sotterranei per proteggere dai bombardamenti i civili hanno fatto il giro del mondo, arrivando a essere pubblicate sul Guardian”.
Rocchelli è uno dei fondatori di Cesura, gruppo di fotografi nato nel 2008, nato per sperimentare forme e linguaggi in grado di raccontare territori, storie e tematiche sociali e che si occupa di stampa fotografica e allestimento mostre, come raccontava proprio Andrea Rocchelli in un intervento al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia nel 2014, poche settimane prima di rimanere ucciso in Ucraina.
Dal 2009 Rocchelli ha iniziato a documentare storie di abusi civili nel Caucaso, nel 2010 ha collaborato con Human Rights Watch sulla crisi etnica nel Kyrgyzstan del sud, mentre in Italia inizia a seguire fenomeni come il “velinismo nella Tv commerciale italiana” o la vita nei seminari e la vocazione dei giovani preti.
Per pagarsi i reportage in Russia, Rocchelli si era proposto come fotografo per le donne che devono farsi un book finalizzato a cercare marito in rete: «Diversamente dagli altri fotografi ho realizzato i miei scatti direttamente nelle abitazioni di queste donne. Ne è uscito un ritratto della condizione femminile russa».
Grazie alle testimonianze del fotografo francese sopravvissuto all’agguato, William Roguelon, ascoltato nei mesi scorsi dalla Procura di Pavia, e ai risultati della rogatoria internazionale chiesta dal magistrato che ha portato avanti l’inchiesta, Andrea Zanoncelli, è stato possibile acquisire nuovi elementi che hanno portato all’arresto di Vitaly Markiv, 29enne con doppia cittadinanza, italiana e ucraina, accusato di avere ucciso insieme ad altri miliziani Rocchelli e Mironov con armi automatiche e colpi di mortaio. Il processo inizierà il prossimo 6 luglio.
Roguelon è stato ospite del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia lo scorso anno insieme ai genitori di Andy Rocchelli, al presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e all’avvocato Alessandra Ballerini, intervenuti per ricordare il fotogiornalista italiano e chiedere verità e giustizia. «In quanto fotogiornalisti, in quanto giornalisti, siamo sul luogo per testimoniare, conosciamo il nostro mestiere, conosciamo il rischio e l’accettiamo e ci prepariamo alle conseguenze», ha detto Roguelon al Festival. «Ho abbandonato la fotografia perché è troppo duro psicologicamente continuare con la fotografia. Ho bisogno di sapere la verità per fare altre cose».
[Immagine in anteprima via Festival Internazionale del Giornalismo]