Attentati solitari e disturbi mentali: verso una nuova forma di terrorismo?

Valigia Blu
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9 min readJul 22, 2016

[A cura di Andrea Zitelli, con la collaborazione di Angelo Romano]

Realizzati da persone mentalmente disturbate e apparentemente senza alcun legame con organizzazioni terroristiche. Sono queste le caratteristiche degli ultimi attentati, come a Nizza (dove un giovane tunisino, residente nella cittadina francese, ha ucciso 84 persone investendole con un camion), che stanno spingendo a nuovi livelli di indagine le forze di polizia e alimentando un dibattito internazionale tra gli esperti sulle nuove forme di terrorismo e l’approccio di media e governi al riguardo.

Cosa l’Europol
Il dibattito sui media internazionali

  • Cosa dice l’Europol

L’Europol, l’ufficio europeo di polizia contro la criminalità organizzata e il terrorismo, ha dichiarato che i quattro attentati terroristici compiuti da killer solitari che si sono verificati negli ultimi mesi a Orlando (negli Stati Uniti d’America), a Magnanville e Nizza (in Francia) e a Würzburg in Germania dove un richiedente asilo 17enne afgano ha aggredito a colpi di ascia i passeggeri di un treno, mostrano le difficoltà operative per le autorità di scoprirli e fermarli.

Siamo di fronte, continua l’ufficio europeo di polizia, a una modalità di attacco favorita sia dallo Stato Islamico che da al-Qaeda, due organizzazioni terroristiche in conflitto tra loro: “l’IS ha presentato due opzioni per i musulmani che vivono in Occidente: migrare nel territorio dello ‘Stato Islamico’ o effettuare un attacco terroristico dove vivono. Da parte sua, al-Qaeda considera strategici gli attacchi degli attentatori solitari”.

Questo quando nel 2015 ci sono stati più di 1000 arresti in Europa per reati legati al terrorismo, con 687 dei quali inerenti al terrorismo jihadista. È la Francia che ha registrato il più alto numero di arresti totali (424), seguita dalla Spagna (187) e il Regno Unito (134). Si tratta inoltre di detenuti sempre più giovani: 268 degli arrestati nel 2015 erano sotto i 25 anni di età, contro i 87 del 2013, scrive Politico.

Nessuno collegamento diretto con IS

Afferma ancora l’Europol che, in base alle proprie informazioni, nonostante le rivendicazioni, nessuno dei quattro attacchi “sembra essere stato programmato, logisticamente supportato o eseguito direttamente da IS”. Infatti, la fedeltà annunciata al Califfato da parte dei responsabili degli attacchi di Orlando, Magnanville e Würzburg indica più che altro che si trattava di sostenitori, mentre manca la prova di un coinvolgimento effettivo e diretto. Per quanto riguarda poi il killer di Nizza, non c’è ancora la certezza che si considerasse un membro di IS.

Le nuove modalità delle rivendicazioni

Nei comunicati pubblicati da Amaq — l’agenzia affiliata all’IS che dichiara di aver ricevuto le informazioni da una “fonte” non identificata — gli autori degli attentati vengono definiti “soldati del Califfato” o “Combattente dello Stato Islamico”. Una dicitura differente rispetto alle rivendicazioni degli attacchi di novembre del 2015 a Parigi e a Bruxelles nel marzo scorso dove si poteva leggere che i terroristi erano suoi membri. Questa differenziazione, scrive l’Europol, potrebbe indicare che IS vuole mantenere un certo livello di “affidabilità”, nel caso dovesse emergere una informazione che contraddice la sua rivendicazione.

I mentali degli attentatori solitari

Altra importante questione è il peso avuto dai potenziali problemi di salute mentali di diversi attentatori nei gesti da loro compiuti, rispetto alla religione e l’ideologia. Mohamed Lahouaiej Bouhlel, il killer di Nizza, aveva sofferto di un disturbo psichiatrico grave. Nel dicembre del 2014, due attacchi con simili modalità si sono verificati in Francia. In entrambi i casi gli autori sembravano soffrire di malattie mentali.

Recenti ricerche accademiche hanno mostrato che circa il 35% degli autori di attacchi solitari che si sono verificati tra il 2000 e il 2015 ha sofferto di un qualche tipo di disturbo di salute mentale. Nel rapporto di Europol sulle variazioni del modus operandi di IS si legge anche che a una parte significativa di “foreign fighters” sono stati diagnosticati problemi di salute mentale prima di entrare in IS.

L’influenza dell’ideologia jihadista

Infine, comunque, non bisogna sottovalutare il potere motivante del discorso jihadista nei confronti di determinate persone: l’idea di fornire sicurezza al ‘popolo musulmano’ come risposta all’intromissione (percepita o reale) degli ‘stranieri’ è il tema centrale nei messaggi videoregistrati degli attentatori a Magnaville e Würzburg. Proprio nei casi in cui l’autore ha un disturbo mentale, l’ideologia potrebbe avere un effetto aggravante.

  • Il dibattito sui media internazionali

Una nuova forma di terrore

Gli attentati di Nizza e di Orlando mettono in crisi le categorie abitualmente utilizzate per dare una spiegazione di stragi e attentati. Di solito, scrive Peter Beaumont sul Guardian, parliamo di “lupi solitari” quando i responsabili sono bianchi, finendo con il focalizzarci su eventuali problemi sociali e psicologici, e di “terroristi”, quando si tratta di musulmani. Ma cosa fare ora che questa distinzione diventa sempre più sfumata e poco chiara? Cosa fare quando un individuo instabile — forse già incline a pensieri grandiosi, mortali e narcisistici — prende in prestito le forme e le idee di un certo tipo di uccisione di massa solo perché sono familiari?

Il punto cruciale è capire che a IS non importa questa distinzione. Quel che gli interessa è l’efficacia del gesto, della sua capacità di spaventare, dividere e destabilizzare e che si percepisca che un attacco di così grande forza sia ispirato dallo “Stato Islamico”.

Perché è così difficile definire cos’è il terrorismo

Intervistato su Le Figaro, Francois-Bernard Huyghe, direttore di ricerca presso l’Istituto di relazioni internazionali e strategia (Iris), spiega perché è così difficile definire precisamente che cos’è il terrorismo. La diversità delle procedure, degli obiettivi, l’assenza o la presenza di complici, possono permettere di stabilire una distinzione tra al-Qaeda, i fratelli Kouchi (autori della strage nella redazione di Charlie Hebdo) e Anders Breivik (il killer norvegeve di Oslo e Utøya)?

Come prima cosa Bernard Huyghe ricostruisce la storia della parola “terrorismo”. Il termine appare per la prima volta nel dizionario della rivoluzione francese nel 1793 e indica il terrorismo di Stato. Successivamente è ripreso alla fine del XIX secolo da parte dei movimenti anarchici e nichilisti russi che parlavano di strategie “terroristiche”, dando una connotazione positiva alla parola (la lotta rivoluzionaria contro lo Stato). Negli anni ’30, la parola indica genericamente la pratica degli attentati. Durante la seconda guerra mondiale, poi, il senso del termine diviene ambiguo, perché ad esempio i nazisti lo useranno per indicare le azioni della Resistenza. Da qui il senso moderno della parola:

Un gruppo clandestino che commette attentati per uno scopo politico al fine di provocare una reazione della classe politica o dell’opinione pubblica.

Così oggi, continua Huyghe, si parla di terrorismo (in base al codice penale francese) quando si mettono delle bombe, si spara sulla gente, si commettono cioè degli atti criminali gravi con in più l’obiettivo di colpire l’ordine pubblico. Nei sistemi giuridici anglosassoni, il termine terrorismo viene usato quando ci si riferisce a gruppi organizzati che diffondono il terrore per intimidire la popolazione e le autorità.

Il professore spiega che l’Onu non è riuscita comunque a raggiungere una definizione condivisa su una terminologia comune, nonostante nel 1996 fosse stata creata una Commissione ad hoc. Difficoltà che derivano dalle varie considerazioni politiche al riguardo: «Prendete il Fronte di liberazione nazionale durante la guerra d’Algeria, alcuni diranno “naturalmente è stato terrorismo, hanno ucciso persone innocenti”, mentre altri risponderanno “si trattava di un movimento di resistenza che combatteva per l’indipendenza”».

Per Huyghe, dunque, il punto è che il “terrorismo” in sé non esiste: non è cioè un’idea come il marxismo o il capitalismo, ma un metodo di combattimento, una strategia.

Così, quello che pratica l’IS in Siria e in Iraq — dove il Califfato si è stabilito — non è terrorismo, ma guerra. Mentre in Europa hanno utilizzato il terrorismo classico: lo “Stato Islamico” è in grado di inviare un commando che si è addestrato in Siria, come il 13 novembre scorso a Parigi, o convincere gli individui “radicalizzati in poco tempo” come il camionista a Nizza. L’IS permette di agire senza guida e incoraggia il cosiddetto “terrorismo di prossimità”. Riguardo i possibili problemi psicologici degli attentatori, lo studioso afferma che avere dei disturbi non esclude che uno sia una terrorista, anche se non agisce in una cellula. Infine non si può parlare di veri e propri “lupi solitari”, perché c’è sempre un “cugino” che può aiutare, un “fratello” che può fornire delle armi.

Una nuova figura di attentatore

Mohamed Lahouaiej Bouhlel costituisce, scrive Aude Massiot su Liberation, una nuova figura di attentatore, con un modo di agire incomprensibile alla luce dei precedenti attacchi in Europa. Il suo gesto, che pure trova terreno fertile nel passato di violenza domestica, di problemi con la giustizia e di depressione, potrebbe segnare l’inizio di una nuova strategia dell’Isis che consiste nel rivendicare tutte le azioni violente e simboliche che corrispondono più o meno fedelmente ai modi di operare del gruppo terrorista.

Secondo Farhad Khosrokhavar, sociologo all’Ecole des Hautes Ètudes en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi e specialista di Islam in carcere, nel gesto di Bouhlel non ci sono dimensioni ideologiche. Ci troviamo di fronte a una figura di “eroe negativo”, un individuo che si sente rifiutato dalla società e che dall’odio sociale provocato dall’attentato commesso ottiene la sua glorificazione nella morte.

Per Hugo Micheron, dottorando al Centro di Ricerche Internazionali (CERI) di Scienze Politiche, l’attentato è conseguenza della radicalizzazione di Bouhlel, il cui profilo, però, si avvicina più a Omar Mateen (l’autore del massacro del 12 giugno di Orlando, in Florida) o Larossi Abballa (assassino di due poliziotti il 13 giugno a Magnanville), che agli autori degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. «Le indagini stanno mostrando che l’autore dell’attentato aveva premeditato l’attacco, seguendo una modalità auspicata dallo Stato Islamico», prosegue Micheron. Per il ricercatore, la strage di Nizza è il risultato della nuova strategia, adottata di recente dall’Isis, che ha invitato i suoi militanti a non andare più in Siria e ad agire direttamente nei paesi in cui si trovano. «Questo cambiamento è grave perché testimonia un potenziamento dell’azione di Is in Francia. La popolarità delle tesi dello “Stato Islamico” consente alle persone di agire senza essere necessariamente in contatto con il centro operativo dell’organizzazione terroristica».

La differenza tra Isis e Isis-ish

William McCants, autore del libro ‘ISIS apocalypse’, parlando di quegli attentatori — giovani instabili con un passato criminale — che uccidono in nome dell’IS anche non avendo legami con il gruppo terroristico islamico, li definisce “ISIS-ish”. Si tratta di un fenomeno molto diffuso in Europa. Per McCants dietro questi gesti che alcuni di loro ritengono essere ispirati da motivazioni “alte”, come la salvezza della propria fede e della comunità religiosa, c’è un misto di motivazioni personali e “profane”, come ad esempio l’odio per gli omosessuali.

In questo scenario si potrebbe pensare che alcuni di questi uomini e donne vogliano morire nel modo più spettacolare anche se non credono realmente alla causa. Ma chi studia la furia omicida dei killer spiega che è difficile distinguere tra convinzioni ideologiche e motivazioni inconsce e personali.

Questa distinzione è comunque irrilevante per il Califfato che spera che questi attentati compiuti dai suoi “fan”, indipendentemente dalle loro reali motivazioni, convincano i paesi colpiti ad abbandonare la coalizione militare contro di esso. Inoltre, si viene a creare un circolo vizioso che nei prossimi anni porterà a una maggiore presenza di aggressori Isis-ish: questa tipologia di attacchi fa pensare che ogni cittadino musulmano possa essere un potenziale “lupo solitario”. Il clima di sospetto e paura, che si genera, porta a scrivere leggi contro la comunità islamica (come il divieto di indossare il velo), che crea un maggiore terreno fertile per il “reclutamento” dell’Is.

Chi è un terrorista e chi un folle?

Negli anni dello “Stato Islamico”, in cui gli strumenti del terrorismo appaiono sempre più rozzi e confusi, vi è stata una rivisitazione del concetto comune di chi è e chi non è un terrorista, scrivono Mark Mazzetti e Eric Schmitt sul New York Times. Le istanze di violenza sfrenata di aggressori squilibrati, come a Nizza o a Orlando, vengono giudicate rapidamente opera di terroristi. Questo accade anche quando l’evidenza che gli aggressori avessero legami diretti con i gruppi terroristici non è immediatamente riscontrata e quando questi killer non rientrano nella definizione classica di terroristi, cioè coloro che usano la violenza per far avanzare un programma politico.

«Molti di questi esempi sono ai margini rispetto al concetto che noi abbiamo di terrorismo», dice ai giornalisti Daniel Benjamin, un ex coordinatore del Dipartimento di Stato per la lotta al terrorismo e professore al Dartmouth College. Ma, continua Benjamin, «lo Stato islamico e il jihadismo sono diventati una sorta di rifugio per alcune persone instabili che vogliono riscattare le loro vite» morendo in nome di una causa. Un meccanismo che ha portato anche i mezzi di informazione e i governi a trattare la violenza come quella di Nizza in maniera differente rispetto ad altri attacchi di massa, come le sparatorie nelle scuole americane e nelle chiese che sono state compiute da persone non musulmane.

Si tratta di una lettura che agli stessi governi porta un vantaggio perché dà la sensazione ai cittadini nervosi e impauriti che esistono un ordine nel caos della violenza e una strategia per fermarlo. Ad esempio, dopo l’attentato a Nizza, i funzionari francesi si sono impegnati ad aumentare le risorse alla campagna di bombardamenti contro il cosiddetto Stato islamico in Siria e Iraq. Questo nonostante gli esperti di terrorismo mettano in guardia che proprio perché l’IS sembra riscuotere un grande fascino nelle persone mentalmente squilibrate e ai margini della società, fare campagne militari in Siria e in Iraq non riduce la possibilità di atti di violenza in altri paesi per conto del gruppo terroristico.

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