Come modificare le impostazioni di Facebook per evitare che i nostri dati siano condivisi da terzi

Valigia Blu
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5 min readMar 20, 2018
via Eff.org

In questi giorni si parla molto di come Cambridge Analytica, un’azienda di analisi dei dati dedicata al marketing elettorale, abbia ottenuto l’accesso a più di 50 milioni di dati di utenti di Facebook nel 2014 disponendo dei loro profili dettagliati (dati anagrafici, tratti di personalità, interessi principali, ecc.). I dati sono stati condivisi e archiviati senza che gli utenti avessero dato il proprio consenso.

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Secondo quanto ricostruito da Facebook, riporta Il Post, “tutto cominciò quando Aleksandr Kogan, un docente di psicologia dell’università di Cambridge, in Inghilterra, sviluppò un’applicazione chiamata ‘thisisyourdigitallife’ che si presentava come strumento per ricerche psicologiche, e prometteva di indovinare alcuni aspetti della personalità degli utenti”. Stando a quanto sostenuto dal social network, circa 270mila persone utilizzarono l’app associata ai propri profili Facebook e grazie ai dati sulle posizioni geografiche, le pagine seguite, i contenuti ai quali gli utenti mettevano ‘mi piace’ e le attività degli amici, Kogan sarebbe stato in grado di ottenere informazioni su 50 milioni di persone, poi condivisi con Cambridge Analytica, “violando i termini di utilizzo di Facebook, che proibiscono ai proprietari delle app di condividere informazioni personali sugli utenti con terze parti”. In questi giorni, Facebook, che nel 2015 aveva ordinato la cancellazione dei dati e aveva rimosso l’app, “ha saputo, tramite fonti che non vuole rivelare, che una parte non è stata eliminata” e ha comunicato che “indagherà ulteriormente sulla questione, e che nel frattempo ha sospeso gli account di Cambridge Analytica, di Kogan e Christopher Wyle, dipendente della società”, che ha rivelato a The Observer come Cambridge Analytica sfruttasse i dati raccolti.

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Secondo quanto riportato da The Observer lo scorso fine settimana, un’azienda chiamata Global Science Research (GSR) ha raccolto decine di milioni di profili Facebook e ha venduto i dati a Cambridge Analytica. In un articolo pubblicato sabato, il New York Times ha scritto che Cambridge Analytica sarebbe ancora in possesso della “maggior parte o tutti” i dati raccolti. La società britannica ha negato di essere a conoscenza di aver ottenuti i dati in modo improprio.

“Se questi dati esistono ancora, sarebbe una grave violazione delle politiche di Facebook e una inaccettabile violazione della fiducia e degli impegni assunti da questi gruppi”, ha detto Facebook in una nota.

Senza entrare nel merito delle questioni sul potenziale impatto dell’utilizzo di questi dati sull’esito del referendum Brexit nel Regno Unito e delle elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti — le campagne elettorali in cui Cambridge Analytica ha operato — sollevate dalla vicenda, questa notizia pone al centro dell’attenzione l’utilizzo dei nostri dati personali da parte di società terze e i rischi legati alla nostra privacy quando le nostre informazioni vengono acquisite e archiviate da società di social media, operatori di marketing e altri soggetti.

Quanto accaduto, scrive Gennie Gebhart su Eff.org non costituisce tecnicamente una violazione dei dati personali (data breach). È stato l’effetto di come i termini di servizio e le API (acronimo di application programming interface, in italiano interfaccia di programmazione di un’applicazione) di Facebook erano strutturate in quel momento. Le API semplificano la possibilità di dialogo tra un’applicazione e un’altra evitando ridondanze e inutili replicazioni di codice. Nel caso di Facebook hanno permesso a sviluppatori e terze parti di creare migliaia di applicazioni e servizi che accedono ai dati offerti dal social network: basterà condividere il proprio account di Facebook per comprare, per esempio, i biglietti di un’agenzia viaggi o completare l’acquisto da un sito di e-commerce”.

Cosa fare, allora, per proteggere i nostri dati personali?

Ci sono tre strade, spiega Eff:

1) Si può decidere di cancellare il proprio account su Facebook, ma questa per molti non è una soluzione facilmente praticabile.

2) È possibile evitare che i nostri dati passino attraverso le API di Facebook, disattivando tutte le app della piattaforma (come Farmville, Twitter o Instagram) nella sezione delle impostazioni della privacy. Disabilitando queste app non sarà possibile accedere ai rispettivi siti utilizzando come login il proprio profilo Facebook.

È sufficiente andare sulla pagina delle applicazioni (o manualmente su Settings Menu > Apps)

Su questa pagina, cliccando sul tasto “modifica” sotto “Applicazioni, siti Web e plugin”, si aprirà una nuova finestra.

Cliccando sul tasto “Disabilita piattaforma”, viene impedito l’accesso dei nostri dati su Facebook a siti Web di terzi e alle applicazioni.

3) Se si ritengono eccessive le prime due opzioni, c’è una terza possibilità: limitare le informazioni accessibili alle App utilizzate da altre persone. Lo stesso Facebook, infatti, nella scheda ‘Applicazioni usate dagli altri’, spiega che “le persone che possono vedere le tue informazioni, possono condividerle con le applicazioni che usano per rendere la loro esperienza migliore e più sociale”. Il social network specifica di utilizzare così “questa impostazione per controllare le categorie di informazioni che le persone possono condividere quando usano applicazioni, giochi e siti web”. Ed è proprio quello che consiglia Eff: deselezionare quelle informazioni alle quali non vogliamo che queste app abbiano accesso.

Per limitare le informazioni personali da condividere, è sufficiente cliccare il tasto “modifica” sotto “Applicazioni usate dagli altri” (presente sempre nella pagina della applicazioni) e deselezionare le informazioni che non vogliamo che siano condivise.

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