Cosa sono i “Paradise Papers” e chi è ICIJ, il più grande consorzio investigativo al mondo

Valigia Blu
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4 min readNov 6, 2017
Foto via ICIJ

[a cura di Andrea Zitelli]

Dopo i “Panama Papers”, una nuova inchiesta giornalistica internazionale dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) rende pubblici gli investimenti milionari in società offshore di importanti politici, sportivi, personaggi dello spettacolo, imprenditori, manager e anche reali.

I “Paradise Papers” — questo il nome della nuova inchiesta — sono “un nuovo tesoro di 13,4 milioni di documenti riservati che svelano, tra l’altro, i legami d’affari tra la Russia di Putin e il segretario al Commercio di Trump; le operazioni offshore realizzate dal tesoriere del primo ministro canadese Justin Trudeau; gli interessi nelle isole Cayman della regina d’Inghilterra; e le casseforti anonime di più di 120 politici di tutto il mondo”, racconta L’Espresso che insieme a Report ha pubblicato in esclusiva per l’Italia quanto emerso dallo studio dei documenti.

I giornalisti che hanno lavorato all’inchiesta in 67 paesi sono quasi 400, con 100 media coinvolti, tra cui New York Times, Guardian, Le Monde e BBC. La rete dell’International Consortium of Investigative Journalists nasce circa 20 anni fa e vede il lavoro di squadra di centinaia di giornalisti investigativi in tutto il mondo. Tra le tematiche su cui si concentra il loro lavoro ci sono “i reati transnazionali, la corruzione e l’obbligo dei rappresentanti del potere di rispondere delle loro azioni”. Nel 2017 ICIJ ha vinto il premio Pulitzer per la pubblicazione dell’inchiesta chiamata “Panama Papers”.

Da dove arrivano i documenti

I milioni di documenti — ottenuti dal giornale tedesco Suddeutsche Zeitung e condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists — provengono da due studi internazionali che gestiscono società offshore: “Appleby, fondato nelle Bermuda, con nove filiali in altrettanti paradisi fiscali e Asiaciti Trust, quartier generale a Singapore e altre 7 sedi in luoghi come isole Cook, Hong Kong, Panama e Samoa”.

Le società offshore sono quelle società che esercitano la propria attività in un paese diverso da quello dove hanno la propria sede legale. Molto spesso la finalità è quella di trarre vantaggio da agevolazioni legislative o fiscali, poiché i paese esteri coinvolti sono i cosiddetti “paradisi fiscali” — come ad esempio le isole Cayman — cioè quelli nei quali viene offerto un trattamento fiscale privilegiato (con tasse basse o inesistenti) per attirare denaro di provenienza estera. Ulteriori elementi garantiti dalle offshore sono la segretezza e la riservatezza sulle attività finanziarie svolte. Bisogna specificare che avere e gestire società offshore non è illegale, a patto che vengano dichiarate al fisco e alle autorità nazionali, ma tutti questi fattori, spiega ancora L’Espresso, possono aprire “le porte a personaggi che vogliono restare nell’ombra: politici corrotti, riciclatori di denaro sporco, trafficanti di droga” o anche favorire la creazione di “società-schermo utilizzate in complesse strutture di elusioni fiscale internazionale, che drenano miliardi ai bilanci statali”.

L’ICIJ, il consorzio internazionale di giornalisti, ha inviato diverse richieste di spiegazioni su quanto emerso dai documenti ad Appleby. L’organizzazione, denunciano i giornalisti, non avrebbe mai risposto alle domande. Appleby, in un comunicato online il 5 novembre, ha affermato che nei “Paradise Papers”, riguardo alle loro attività, “non emerge nulla di illegale”, che i documenti ottenuti e pubblicati sono frutto “di un grave atto criminale” e che è falso dire che non abbiano risposto alle domande — “Abbiamo avuto una lunga corrispondenza con il Consorzio Internazionale di Giornalisti Indipendenti” –.

Cosa contengono i “Paradise Papers”

L’ICIJ scrive che l’inchiesta “Paradise Papers” mostra come “il sistema finanziario offshore sia in grado di gestire enormi ricchezze a livello globale, come una sorta di economia parallela, sovrapponendosi al mondo visibile degli uomini d’affari, politici, attori e di colossi come Apple, Nike, Uber e altre multinazionali, che vogliono evitare di pagare le tasse grazie ad artifizi contabili sempre più intricati e fantasiosi”.

Il Guardian ha così suddiviso i principali fatti emersi e i soggetti coinvolti:

● Milioni di sterline della Regina Elisabetta sono stati investiti in fondi delle isole Cayman e parte di questo denaro è andato a una società immobiliare, la Brighthouse, accusata di aver condotto operazioni speculative nei confronti di famiglie povere e persone vulnerabili.

● Membri, consulenti e finanziatori della presidenza Trump, fanno affari con società offshore. Ad esempio, Wilbur L. Ross, ministro del Commercio degli Stati Uniti, detiene delle quote di un’azienda di trasporti tra i cui proprietari ci sono anche il genero di Vladimir Putin e un magnate russo, Gennady Timchenko.

● Twitter e Facebook hanno ricevuto tra il 2011 e il 2013 centinai di milioni di dollari che risalirebbero a società finanziarie russe. “Questo non significa che il Cremlino sia riuscito a esercitare la propria influenza su Twitter e Facebook — spiega L’Espresso riportando la precisazione del consorzio ICIJ –, o che abbia ricevuto informazioni riservate sulle due società americane (…). Ma le carte documentano un fatto prima sconosciuto” ossia che già prima delle ultime elezioni presidenziali americane, “i magnati legati al Cremlino allungavano i propri interessi finanziari nei social media americani. Una scoperta che oggi, mentre il Congresso sta investigando su questi giganti della tecnologia per la massiccia diffusione di informazioni false durante la campagna di Donald Trump per la Casa Bianca, potrebbe aprire un altro fronte del Russiagate”.

● Un trust (cioè un fondo di investimento familiare) delle isole Cayman amministrato da Stephen Bronfman, consulente e amico del primo ministro canadese Justin Trudeau, potrebbe essere stato utilizzato per sfuggire legalmente al pagamento delle tasse statunitensi, canadesi, israeliane.

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