Fine vita: il diritto di decidere e il processo a Marco Cappato

Valigia Blu
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9 min readDec 14, 2017
via La Stampa

[a cura di Andrea Zitelli]

(articolo aggiornato al 23 dicembre 2019)

Dallo scorso 8 novembre, Marco Cappato, esponente dei Radicali e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, è imputato a Milano con l’accusa di aiuto al suicidio per aver accompagnato in una clinica svizzera per il suicidio assistito, nel febbraio scorso, Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo.

La storia di Dj Fabo

Nel giugno del 2014 Fabiano Antoniani è rimasto cieco e tetraplegico a causa di un grave incidente stradale: “Non poteva muovere né braccia né gambe, era cieco, e veniva nutrito con un sondino che arrivava direttamente allo stomaco, respirava grazie all’aiuto di un ventilatore e doveva essere assistito 24 ore su 24. Aveva tentato la riabilitazione e altre cure sperimentali, ma senza alcun risultato”, ricostruisce il Post.

Lo scorso gennaio, Antoniani, in un video insieme alla compagna Valeria Imbrogno, aveva detto di voler poter scegliere di morire senza soffrire e si era rivolto pubblicamente alla politica italiana e in particolare al Presidente della Repubblica chiedendo che venisse presa una decisione sulla proposta di legge depositata in Parlamento dall’associazione Luca Coscioni per legalizzare l’eutanasia.

Nell’ultimo periodo della sua vita, sostenuto dalla compagna Valeria, da Marco Cappato, promotore della campagna ‘Eutanasia legale’, e dall’Associazione Luca Coscioni, Antoniani aveva portato avanti la sua richiesta. Diceva di aver sempre misurato «la vita in qualità, non in quantità», continua Il Post.

Il 27 febbraio poi sulla pagina di “Eutanasia legale” viene pubblicato un messaggio audio in cui Dj Fabo annunciava di essere arrivato in Svizzera:

«Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille».

Poche ore dopo Marco Cappato annuncia su Twitter la morte di Fabo.

Beppino Englaro, padre di Eluana e protagonista di una lunga battaglia per il diritto all’autodeterminazione anche per chi non è più in grado di esprimere la sua volontà, commentando la notizia aveva detto all’Ansa che «l’eutanasia è una questione che tutte le nazioni civili devono affrontare, con la quale prima o poi ogni paese deve fare i conti e anche il nostro Parlamento deve dare delle risposte».

Il giorno seguente, tornato in Italia, l’esponente dei radicali si autodenuncia ai carabinieri di Milano per aver aiutato Fabo a morire portandolo in Svizzera. Intervistato da Repubblica, Cappato spiega che ha preso questa decisione perché gliel’ha chiesto lo stesso Antoniani — «mi ha contattato perché non voleva che la madre o la fidanzata Valeria rischiassero 12 anni di carcere per aiutarlo ad uscire dalla gabbia che era diventata la sua vita. La legge prevede infatti dai 5 ai 12 anni per omicidio del consenziente» — e che l’eventuale processo sarebbe stata l’occasione «per parlare di libertà costituzionali, della possibilità di disporre del proprio corpo».

Il processo a Cappato

Pochi giorno dopo la morte di Dj Fabo e l’autodenuncia di Cappato, l’esponente dei Radicali viene indagato (in base all’articolo 580 del codice penale) con l’accusa di ‘aiuto al suicidio’ dalla Procura di Milano. A maggio il pubblico ministero Tiziana Siciliano chiede l’archiviazione per Cappato: “Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso”.

A luglio, però, il giudice per le indagini preliminari (gip), Luigi Gargiulo, respinge l’archiviazione richiesta dalla Procura di Milano e dice che Cappato deve essere processato. Inoltre, scrive Repubblica Milano, per il gip “la posizione dell’esponente Radicale si aggrava. Oltre all’aiuto al suicidio, Cappato deve rispondere del ‘rafforzamento al suicidio’. Nelle 31 pagine di motivazione, infatti, Gargiulo sostiene che Cappato abbia ‘spinto’ Dj Fabo verso la ‘dolce morte’ in una clinica Svizzera”.

A settembre, Cappato presenta la richiesta di giudizio immediato. In questo modo, spiega Corriere Milano, salta l’udienza davanti al Gup, in cui si sarebbe dovuto decidere definitivamente per il rinvio a giudizio oppure optare per “sentenza di non doversi procedere”. «Ho chiesto il giudizio immediato perché voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine».

Il processo è iniziato l’8 novembre. Il 4 dicembre scorso c’è stata la seconda udienza, in cui sono state ascoltate come teste in aula la madre di Fabo, Carmen Carollo, e la compagna Valeria Imbrogno. La madre, commossa mentre ricordava i momenti della decisione del figlio, ha spiegato che «già dopo l’incidente stradale quando seppe di essere diventato cieco, Fabo decise di andare a morire in Svizzera. Non voleva morire soffocato interrompendo le cure». La compagna, anche lei commossa, ha detto: «Non devi sentirti sconfitta, per me questa è una vittoria, mi diceva, con la battaglia pubblica Fabo si sentì di nuovo vivo e utile. Fece anche lo ‘sciopero della fame’ per non essere fermato. Mi disse anche: Ora sarò energia nell’universo».

Nella terza udienza, il 13 dicembre, è stato ascoltato lo stesso Cappato che ha affermato di essere «rimasto con dj Fabo fino a pochi minuti prima che venisse premuto il bottone (…). Le persone sottoposte a sofferenze terribili con malattie irreversibili hanno il diritto di scegliere come morire. Per me era un dovere aiutarlo e sono responsabile di averlo aiutato». L’esponente dei radicali ha anche aggiunto: «Non ho avuto bisogno di rafforzare le sue decisioni. Era molto motivato. Poco prima di morire Dj Fabo mi ha ringraziato e mi ha chiesto di restare solo con la fidanzata Valeria e la mamma Carmen».

Cappato, riporta La Stampa, ha anche “ricordato di aver prospettato a Dj Fabo la possibilità di morire in Italia nel suo letto, interrompendo le cure. Una pratica tollerata se non del tutto accettata nel nostro Paese. Una pratica che Fabiano Antonani non volle prendere in considerazione anche per rispetto dei suoi famigliari. «Mi disse di no perché non poteva sopportare che la mamma dovesse aspettare chissà quanti giorni prima che si spegnesse per fame o per sete. Mi disse invece: “Sono vivo e voglio fare questa battaglia”»”.

In aula, è stato trasmesso anche il video integrale dell’intervista che l’inviato e presentatore de Le Iene, Giulio Golia, aveva realizzato a Dj Fabo prima della sua morte.

La richiesta dei Pm di assolvere Cappato

Il 17 gennaio la procura di Milano ha chiesto l’assoluzione per Marco Cappato perché il fatto non sussiste. Il pm, scrive Repubblica Milano, “dopo avere ripetuto più volte come fosse «forte e granitica la volontà di Fabiano di morire» in quanto dopo l’incidente stradale era rimasto cieco, paralizzato e senza la speranza di un lieve miglioramento, ha sottolineato più volte che Cappato «non ha in alcun modo rafforzato il proposito suicidiario di Fabo ma lo ha solo rispettato. Anzi lo ha addirittura ritardato cercando di coinvolgerlo nella sua lotta politica per tentare di dargli una nuova prospettiva di vita». In subordine, i pm hanno chiesto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la valutazione della legittimità del reato di aiuto al suicidio, previsto dall’articolo 580 del codice penale.

Rinviati gli atti alla Corte Costituzionale

La Corte di Assise di Milano, il 14 febbraio, ha deciso di trasmettere gli atti alla Consulta affinché valuti la legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio, riporta La Stampa.

Il governo si costituisce alla Consulta per la legittimità del reato di aiuto al suicidio

Il 3 aprile, il governo Gentiloni, nell’ultimo giorno disponibile per farlo, si è costituito alla Corte Costituzionale nel procedimento contro Marco Cappato, ha comunicato Filomena Gallo, vice presidente dell’associazione Luca Coscioni. In base a quanto riportato da Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, “a firmare il ricorso è stato l’ avvocato Gabriella Palmieri che ha agito sulla base di una «determina» firmata dal sottosegretario Maria Elena Boschi a sostegno della normativa in vigore”. Nell’atto vengono evidenziati tre punti: “Il primo riguarda l’infondatezza della questione sollevata dai giudici milanesi perché, si sottolinea, «l’articolo 580 si inserisce in un quadro sistemico di ragionevolezza e logicità». Il secondo punta sull’inammissibilità evidenziando come «il giudice di merito non ha percorso una strada costituzionalmente orientata». Infine c’è l’ irrilevanza della questione «che poteva essere risolta senza far intervenire la Consulta»”. Il governo, aggiunge la giornalista, “si costituisce — questa è la spiegazione fornita dal ministero della Giustizia — «per evitare che la dichiarazione di incostituzionalità secca dell’articolo 580 potrebbe lasciare impunite condotte che nulla hanno a che fare con la tematica del rispetto delle volontà dei malati terminali»”.

Il mese scorso, l’associazione Luca Coscioni, tramite un appello di giuristi sottoscritto da 15mila cittadini italiani, aveva chiesto di non intervenire a difesa del reato di “istigazione e aiuto al suicidio” e dunque di non dare mandato all’avvocatura di Stato di costituirsi in tale procedimento. “Prendo atto della decisione del Governo Gentiloni di costituirsi” davanti alla Consulta, “in difesa della costituzionalità” del reato di aiuto al suicidio. Al contrario “noi sosterremo l’incostituzionalità di un reato del 1930”, ha commentato l’avvocato Gallo: “La scelta del governo è, oltre che del tutto legittima, anche pienamente politica, visto che l’Esecutivo avrebbe potuto altrettanto legittimamente agire in senso opposto e raccogliere l’appello lanciato da giuristi come Paolo Veronesi, Emilio Dolcini, Nerina Boschiero, Ernesto Bettinelli e sottoscritto da 15.000 cittadini, che chiedevano al Governo italiano di non intervenire a difesa della costituzionalità di quel reato”.

La corte d’Assise di Milano assolve Marco Cappato “perché il fatto non sussiste”

Assolto “perché il fatto non sussiste”. Il 23 dicembre 2019 la corte d’Assise di Milano ha assolto Marco Cappato imputato con l’accusa di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, in una clinica svizzera a morire.

«È una giornata storica e un grande risultato perché la decisione della Corte realizza pienamente il significato dell’articolo due della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale e non anche lo Stato. Ora è compito del legislatore colmare le lacune che ancora ci sono», ha dichiarato al termine dell’udienza il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. Soddisfatta anche dalla fidanzata di Antoniani, Valeria Imbrogno: «Fabiano mi avrebbe chiesto di festeggiare, siamo arrivati alla vittoria per lui: ha sempre combattuto, sono felice. La battaglia continua per tutti gli altri, quando ha iniziato voleva proprio che fosse una battaglia di libertà per tutti e oggi ci è riuscito».

Dopo essere rimasto cieco e quasi completamente paralizzato in seguito a un incidente, dj Fabo aveva iniziato insieme all’Associazione Luca Coscioni una battaglia per l’approvazione di una legge sull’eutanasia. In seguito ad anni di terapie senza esito, dj Fabo aveva chiesto di poter mettere fine a quella che per lui era diventata una condizione insostenibile, e morire dignitosamente. Dopo alcuni mesi di appelli alle Camere e al presidente della Repubblica e di stasi della politica, il 27 febbraio del 2017 Antoniani moriva tramite una procedura di suicidio assistito in una clinica svizzera, dove era stato accompagnato da Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni.

Lo scorso settembre la Corte Costituzionale aveva deciso che “in attesa di un indispensabile intervento del legislatore”, non era punibile “ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. In altre parole era lecito l’aiuto al suicidio nei casi come quelli di Fabiano Antoniani. La Corte Costituzionale ha infatti deciso che “non è punibile .

E proprio dalla sentenza della Corte Costituzionale discende la decisione della Corte d’Assise di Milano di oggi.

La lotta di Dj Fabo per una legge in Italia sul testamento biologico

Dj Fabo, insieme all’associazione Luca Coscioni, aveva lottato anche per l’approvazione della legge sul testamento biologico.

Poco prima di morire, Fabo aveva chiesto al Parlamento di metterci la faccia su un provvedimento sul fine vita.

Il 14 dicembre, dopo un percorso lungo e travagliato, il Senato ha approvato definitivamente la legge (qui cosa prevede).

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