Italiani all’estero: “Tra fuga obbligata e voglia di riscatto”

Valigia Blu
Valigia Blu
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6 min readOct 18, 2017

Secondo il ‘Rapporto Italiani nel mondo 2017’ della Fondazione Migrantes, presentato ieri, sono sempre di più gli italiani che lasciano il nostro paese per andare all’estero e pochi quelli ritornano.

Nel rapporto, la mobilità è riconosciuta come una risorsa “perché permette il confronto con realtà diverse ed è, se ben indirizzata, un’opportunità di crescita e arricchimento”. Il problema però viene dal fatto che, nella difficoltà economica e culturale di un paese, la migrazione, “per gli italiani in particolare, è diventata nuovamente, come in passato, una valvola di sfogo, che permette cioè di trovare probabilmente una sorte diversa rispetto a quella a cui si è destinati” nel proprio paese. Per questo motivo la migrazione — in base a quello che la fondazione registra da diversi anni — “diventa unidirezionale, dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili”.

La Fondazione Migrantes spiega che le partenze degli italiani nell’ultimo anno si contraddistinguono per “fuga obbligata” e “voglia di riscatto”. Nel 2016 le iscrizioni all’AIRE (cioè l’Anagrafe italiani residenti all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi) di cittadini italiani espatriati sono state 124.076 (il 15,4% in più rispetto all’anno precedente), di cui poco più della metà maschi. Nell’ultimo anno più del 39% di chi ha lasciato l’Italia per l’estero ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni (+23,3% rispetto al 2015), mentre un quarto ha tra i 35 e i 49 anni (+12,5%). Le partenze, continua il rapporto, non sono individuali ma di ‘famiglia’ “intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%), sia la famiglia “allargata”, quella cioè in cui i genitori — ormai oltre la soglia dei 65 anni — diventano “accompagnatori e sostenitori” del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale)”. A queste persone, si aggiunge il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, cioè i “tanti “disoccupati senza speranza” rimasti senza lavoro in Italia e con enormi difficoltà di riuscire a trovare occupazioni alternative “per continuare a mantenere la propria famiglia e il proprio regime di vita”.

Nel decennio 2006–2015 si è allargata la forbice chi espatria e chi rientra in Italia. A fronte di un aumento continuo degli espatri (102.259 nel 2015, il 158,6% in più rispetto al 2006), il numero dei rimpatri è rimasto pressoché costante (30.052, +6,6% rispetto a 10 anni prima), facendo così registrare un saldo migratorio negativo di 72.207 persone.

Fonte: Migrantes-Rapporto Italiani nel Mondo. Elaborazione su dati ISTAT

Nel corso degli anni sono cambiati mete, progetto migratorio e motivazioni che spingono le persone a lasciare l’Italia. La migrazione di oggi tende a dividere le famiglie, si legge nel rapporto. Molti giovani, che sono partiti con l’idea di ritornare nella speranza che un titolo o un periodo di apprendistato all’estero possano essere utili per aumentare le possibilità di trovare un lavoro in Italia, finiscono per stabilirsi definitivamente all’estero, dando così inizio a un nuovo percorso di vita a distanza.

La testimonianza di Tommaso Tani che fa parte di Valigia Blu e ha scelto di andare via dall’Italia:

Perché ho fatto la scelta di non tornare in Italia quando ne ho avuto la possibilità?
I motivi sono tanti e talmente opprimenti che ho superato anche il disgusto per il cibo olandese.
All’estero valutano le mie capacità, si interessano al mio percorso e alle mie competenze. Se voglio, ho l’opportunità di provare e dimostrare che sono adatto. Studiare non è una perdita di tempo, è una preziosa opportunità. E il lavoro qualificato, si paga, e bene, è gratificato e spronato a fare meglio.

In Italia la conoscenza (accademica) si misura in quanti professori conosci, il resto conta niente (anzi, 7/20 per la precisione). Se hai deciso di studiare ulteriormente, ti dicono che hai perso tempo, che piuttosto dovevi andare a lavorare. In Italia apri i giornali e leggi di imprenditori che si lamentano perché i giovani non hanno voglia di lavorare e non riescono a trovare dipendenti. Beh no, ho speso circa €20.000 di Università (pubblica, tra l’altro) nella mia vita, per una laurea e un master, ho faticato per avere delle pubblicazioni e quindi se permetti, non vengo a fare il cameriere per €400 al mese — “la ritenuta d’acconto però te la paghi tu eh”.

Peccato che in Italia quell’andare a lavorare prima vuol dire — come alcuni recenti esternazioni ci hanno confermato — andare a fare le fotocopie e i caffè. E, per la cronaca, se volevo fare fotocopie e caffè, potevo farlo da subito, avrei speso di meno in tasse universitarie, libri e case, imparato un mestiere decentemente e non mi sarei sentito frustrato. O quanto meno, mi avrebbero pagato per farlo, non “dato l’opportunità di imparare”. All’estero, se insisti e ti proponi volontario, non puoi “lavorare gratis”. Se collaboro per 2 ore la settimana con l’università, ho un contratto, una busta paga e pago le tasse.

Perché all’estero è davvero bello pagare le tasse. Perché riconoscono che le spese di studi superiori sono sacrosante e quindi i soldi te li ridanno indietro se inizi a lavorare, anche se sei straniero. Perché tutti le pagano, lo stato incassa e spende i soldi per migliorarti la vita. Davvero, è una bella sensazione — considerando che la pressione fiscale italiana non è da paradiso fiscale.

Al contrario, sei sommerso dalle tasse — a meno che non puoi permetterti di evaderle e barattare poi un accordo con Agenzia delle Entrate — e ogni giorno ti chiedi per cosa le hai pagate a fare, perché stai pagando un biglietto dell’autobus che non passa, di un treno che (a meno di essere fortunato e vivere lungo una tratta AV) andrebbe denunciato per crimini contro l’umanità. Perché sono assolutamente fortunato a essere cresciuto in una famiglia media, in cui non mi è mancato mai nulla e non posso permettermi di immaginare come si vive in questo paese in povertà.

E alla fine si finisce sempre alla classica guerra tra poveri. Poveri italiani che si rivoltano contro poveri di ogni altro paese che sono costretti a vivere da poveri e fatti scendere dagli autobus, anche se il biglietto (loro) l’hanno pagato. Italia dove essere fascisti non è più un problema, è solo un’altra ideologia. Ideologia che ti mena, che ti minaccia e che è contro ogni principio di libera convivenza democratica. All’estero la parola “integrazione” ha un significato vero, e non si riferisce al ragazzo di colore fuori al supermercato ma al sindaco di Londra, musulmano o a quello di Rotterdam, marocchino. Con chi si professa neofascista e dai valori anticostituzionali non si fanno dibattiti, non ci si improvvisa teorici del pensiero libero perché anche questo fa click.

Ritengo di aver avuto più possibilità di molti altri in Italia: ho fatto la gavetta, ho lavorato mentre ho studiato, ho avuto la fortuna di avere vicino persone fantastiche con cui ho fatto esperienze incredibili a 20 anni. Ho deciso di andare via perché mi sono rotto di dover lottare per un paese migliore contro la maggioranza che evidentemente non lo vuole, dovendo sentirmi degradato e umiliato sul lavoro. E sono ancora più incazzato perché non siamo il terzo mondo. Abbiamo un potenziale incredibile, abbiamo cultura e abbiamo teste; ci fa schifo essere bravi, far funzionare le cose, un masochismo insensato che non è giustificato da alcuna precondizione storica o geografica che ci ha impedito di evolverci. Siamo semplicemente coglioni. Ed io, andando via, mi sento un po’ meno coglione ma più incazzato. Incazzato anche per le narrative delle “persone che ce l’hanno fatta”: 1 su 1000 (milioni in realtà) ce la fa, ma gli altri 999 sono nella merda; e forse quell’uno aveva anche il culo coperto e gli agganci giusti.

Immagino che saranno molte le persone che si sentiranno più o meno offese da questo post, soddisfatte e orgogliose di aver fatto qualcosa con successo in Italia. Siamo fortunati perchè queste persone esistono e le prego di commentare raccontandomi cosa hanno fatto e aiutandomi a capire dove ho sbagliato.

Prima di commentare, vi prego di leggere queste precisazioni:

– Tutto quello che è ho scritto è basato su esperienze vere, personali. No fake news, nada.
– Possono esserci passaggi populisti, perdonate, sono solo amareggiato.
– Non sono un rinunciatario: ci ho provato, ho avuto delle occasioni, ho fatto una scelta.
– Non sono completamente egoista: per anni mi sono impegnato per cambiare le cose, ho fallito.

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