‘Trattativa’ Stato-Mafia: Al Jazeera racconta l’isolamento del giudice Di Matteo

Ricatti, cospirazioni, coraggio, paura: la storia del giudice che ha sfidato la mafia. Un documentario di Paul Sapin e Toby Follett.

Marco Nurra
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3 min readJul 13, 2016

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Nino Di Matteo è uno dei giudici più minacciati e protetti d’Italia. Il cosiddetto “processo del secolo” gli è costato la libertà e ora vive sotto scorta, accompagnato ovunque vada da 20 guardie del corpo.

Al centro del caso ci sono dieci uomini, boss mafiosi e membri dell’establishment istituzionale, accusati di essere parte di una cospirazione tra Cosa Nostra e lo Stato.

Al centro del caso c’è la storia dei due più famosi giudici anti-mafia italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che negli anni ’80 processarono più di 400 affiliati a Cosa Nostra nel Maxi Processo che portò alla condanna di 346 imputati.

“Per oltre 130 anni in Italia si è fatto finta che la mafia non esistesse. Bisogna arrivare alle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per avere in Sicilia dei magistrati che dicano: ‘No! In Italia la mafia esiste. La mafia in Sicilia esiste. È compito della magistratura indagare e sconfiggere la mafia’”, spiega Saverio Lodato, autore del libro “Quarant’anni di Mafia”.

Ispirato dai due magistrati, Di Matteo ha ripreso in mano il loro lavoro con l’obiettivo di portare chiarezza nell’oscura stagione del terrore tra il 1991 e il 1994.

“Io ero cresciuto con il mito di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ero uno studente di giurisprudenza quando Falcone e Borsellino lavoravano sulle inchieste del Maxi Processo. Nel loro operato vedevo quasi un momento di possibile riscatto.”

La solidarietà dei cittadini, il silenzio delle istituzioni

Per il suo lavoro, Di Matteo ha ricevuto serie minacce di morte. Il boss Totò Riina, ora in carcere, venne ripreso dalle telecamere a circuito chiuso della prigione mentre ordinava ad altri prigionieri la morte del giudice: “Quindi se potete, uccidetelo. Sarà un’esecuzione come quelle che un tempo avevamo a Palermo”. È la prima volta nella storia d’Italia che viene intercettato un capo di Cosa Nostra che condanna a morte un magistrato.

Molti italiani hanno manifestato per le strade la propria solidarietà con il giudice. Avvolti dal silenzio politico dei leader istituzionali.

“Voglio conoscere la ragione di questo silenzio”, dice Linda Grasso, fondatrice di Scorta Civica, un movimento nato all’indomani delle minacce di Riina a Di Matteo. “Di cosa hanno paura [i politici]? Non possiamo permettere che quest’uomo, un eroe per noi, soffra nel silenzio e nell’indifferenza delle istituzioni… Vogliamo proteggere i nostri giudici quando sono vivi, non commemorarli dopo le loro morti”.

“C’è tanta gente che non conosco che si fa avanti e chiede di salutarmi o stringermi la mano. Mi dicono tutti la stessa cosa, che mi stimano. E mi fa tanto piacere. Tutti o quasi tutti dicono sempre ‘però non molli’, ‘stia al suo posto’, ‘non lasci il suo lavoro’, ‘non vada in politica’, ‘non si faccia trasferire lontano da Palermo’. Io capisco e apprezzo questa manifestazione di stima, ma alcune volte ne sento un po’ il peso. Perché mi sembra quasi come se troppe persone riponessero sulle spalle di poche persone una responsabilità troppo grande.”

A Very Sicilian Justice, pubblicato online da Al Jazeera, è un documentario che ritrae la vita di un giudice abbandonato dalle istituzioni e sotto costante minaccia per aver sfidato la mafia. Tornando alle parole del giornalista Saverio Lodato: “I massimi rappresentanti delle cariche statali dovrebbero dire ai giudici di Palermo: ‘Bravi! Indagate! Andate sino in fondo. Se c’è stato qualcuno all’interno dello Stato che ha fatto i patti con la mafia noi vi aiuteremo’. Questo non accadde con Falcone, non accadde con Borsellino, non accade oggi con Di Matteo”.

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Marco Nurra
Valigia Blu

Social Media Editor at @journalismfest, journalism stuff at @valigiablu.