Guida al caso Consip: come nasce, i protagonisti e perché è importante

Valigia Blu
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20 min readJun 23, 2017

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a cura di Andrea Zitelli (post aggiornato al 14 aprile 2024)

Aggiornamento 14 aprile 2024 > Inchiesta Consip, assoluzione per Tiziano Renzi e per l’ex ministro Luca Lotti.

Assoluzione per Tiziano Renzi e l’ex ministro Luca Lotti, assoluzione anche per Italo Bocchino, l’imprenditore Alfredo Romeo e per il mediatore Carlo Russo (quest’ultimo per improcedibilità dopo la riqualificazione del reato). Condanna a un anno e sei mesi, con 50mila euro di provvisionale immediatamente esecutiva a favore del ministero della Difesa, per il carabiniere Gianpaolo Scafarto. Tre mesi invece al suo superiore Alessandro Sessa.

È la sentenza con cui si è chiuso in primo grado il processo per il filone principale dell’inchiesta Consip, lo scandalo sul presunto giro di tangenti, influenze illecite e rivelazione di segreto nata otto anni fa e poi scorporata in tanti filoni minori.

Nel procedimento avviato nel 2016 la Procura di Roma contestava, a vario titolo, i reati di millantato credito, traffico d’influenze, tentata estorsione, favoreggiamento, falso, rilevazione di segreto.

Il pm Mario Palazzi, il 22 dicembre scorso, aveva sollecitato otto richieste di condanna e due di assoluzione. I giudici dell’ottava sezione penale di Roma hanno assolto inoltre, con la formula perché il fatto non sussiste e il fatto non costituisce reato, Emanuele Saltalamacchia, all’epoca dei fatti comandante dei Carabinieri della legione Toscana, l’ex presidente di Publiacqua Firenze, Filippo Vannoni, e Stefano Massimo Pandimiglio.

Come nasce l’inchiesta Consip e cosa riguarda

A dicembre del 2016, esce la notizia che l’imprenditore Alfredo Romeo è indagato dalla Procura di Napoli per associazione per delinquere e corruzione, insieme a Marco Gasparri, direttore Sourcing Servizi e Utility di Consip, la società del ministero dell’Economia che opera per la gestione degli acquisti di beni e servizi per conto della pubblica amministrazione.

Le indagini si focalizzano sull’appalto per il Facility management (Fm4) indetto da Consip nel 2014 per l’affidamento dei servizi gestionali di uffici pubblici, università e centri di ricerca, dal valore di 2,7 miliardi di euro. Secondo la procura, Gasparri (poi rimosso dal suo incarico dalla società in attesa dello sviluppo delle indagini) si sarebbe attivato, fornendo notizie riservate, per avvantaggiare le società riconducibili a Romeo in cambio di tangenti versate dallo stesso imprenditore.

L’inchiesta è condotta dal procuratore Henry John Woodcock, in collaborazione con altri magistrati e nasce da un filone di indagine su diverse intercettazioni nell’ambito di un’inchiesta più grande su presunte irregolarità nell’assegnazione degli appalti alle società che fanno capo ad Alfredo Romeo.

Si indaga su Tullio Del Sette, comandante generale dei Carabinieri

Il giorno dopo la notizia, Marco Lillo sul Il Fatto Quotidiano riporta che i pm di Napoli hanno iscritto nel registro degli indagati per rivelazione del segreto d’ufficio il generale dell’Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette, perché avrebbe messo in guardia i vertici della Consip sull’indagine in corso della procura di Napoli, avvertendoli di stare attenti agli incontri che facevano con gli imprenditori e in particolare con Alfredo Romeo. Successivamente a questa “soffiata”, continua Lillo, una società privata era stata incaricata di effettuare la bonifica degli uffici della Consip, con il risultato di neutralizzare le microspie degli inquirenti all’interno della sede.

A fare il nome del generale, sarebbe stato l’amministratore delegato (ora ex) di Consip, Luigi Marroni, davanti ai magistrati napoletani. Marroni avrebbe detto ai magistrati che Luigi Ferrara, il presidente di Consip, sarebbe stato messo in guardia dal generale. Una circostanza che lo stesso Ferrara avrebbe riferito a Marroni. Le carte riguardanti Del Sette vengono così trasferite alla procura di Roma per competenza territoriale. Il generale dell’Arma dei carabinieri si reca poi dai magistrati romani per «chiarire l’infondatezza» delle notizie sul proprio conto.

Il Fatto Quotidiano: anche Luca Lotti indagato

Il 23 dicembre sempre Lillo dà la notizia che nell’ambito dell’indagine della procura napoletana sono indagati anche Luca Lotti, ministro dello Sport del governo Gentiloni ed ex sottosegretario alla Presidenza del consiglio durante l’esecutivo di Matteo Renzi, e il generale dei carabinieri Emanuele Saltalamacchia, comandante della Legione Toscana. Vengono contestati a entrambi i reati di rivelazione di segreto e favoreggiamento: anche loro, come Del Sette, avrebbero messo in guardia Luigi Ferrara dell’indagine in corso. A rivelarlo è sempre il presidente di Consip agli stessi magistrati. Anche questo fascicolo, viene trasferito per competenza territoriale a Roma. Lotti su Facebook commenta così la notizia:

È una cosa che semplicemente non esiste. Inutile stare a fare dietrologie o polemiche”.

Sentito dai magistrati romani il 27 dicembre, il ministro dello Sport nega qualsiasi responsabilità e, a detta del suo avvocato, fornisce «anche dei riscontri a quanto da lui sostenuto».

Il presunto ruolo di Tiziano Renzi, padre di Matteo Renzi

Pochi mesi dopo, a febbraio, nell’inchiesta sugli appalti Consip entra ufficialmente anche Tiziano Renzi, padre di Matteo Renzi. Il reato a lui contestato dai magistrati romani è concorso in traffico di influenza (introdotto nel codice penale nel 2012 e regolato dall’articolo 346 bis) e ha a che fare, spiega il Post, “con chi fa da mediatore per un accordo in cui ci sia corruzione sfruttando il proprio rapporto di amicizia o parentela con un pubblico ufficiale o qualcuno con un’importante carica”. Tiziano Renzi, continua il sito, è così accusato di aver avuto il ruolo di mediatore per la concessione di una serie appalti all’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, e di averlo fatto in concorso con Carlo Russo, un imprenditore amico della famiglia Renzi con delle società a Scandicci, comune toscano dove vive il padre del segretario del Partito democratico. Su Repubblica inoltre il giorno successivo si legge che Marco Gasparri (manager Consip indagato per corruzione) avrebbe detto in un interrogatorio ai pm romani che l’imprenditore Romeo “si vantava di aver agganciato colui che a verbale viene indicato come ‘Renzi’”.

Tangenti e appoggi politici: come funzionerebbe il “Sistema Romeo”

Lo scorso 1 marzo viene arrestato Alfredo Romeo. A Gasparri, invece, i magistrati sequestrano 100mila euro: si tratterebbe secondo l’accusa della cifra ottenuta per la corruzione (circostanza poi ammessa dallo stesso Gasparri davanti ai magistrati). Nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Romeo, si legge di un “gravissimo quadro di possibile infiltrazione criminale in Consip, almeno quanto ad alcune gare”. Dalle carte — tra intercettazioni, documenti sequestrati e interrogatori — emergerebbe un vero e proprio “Sistema Romeo”: Gasparri “aveva il ruolo di ‘prototipatore’ di bandi pubblici Consip al servizio di Romeo (che così lo definisce) mediante corruzione”, l’ex parlamentare Italo Bocchino (anch’egli indagato) e collaboratore dell’imprenditore era “il ‘facilitatore’ degli interessi illeciti di Romeo” e il “lobbista dedicato al traffico illecito di influenze”. Un sistema che sembrava basarsi, continua il giudice, su tangenti e “o mediante la ricerca di appoggi all’interno della cosiddetta ‘alta politica’ al fine di indurre i vertici della Consip spa ad assecondare le mire dell’illecita concorrenza degli imprenditori più avvezzi a tali sistemi”.

Nel decreto di perquisizione nei confronti di Carlo Russo — l’imprenditore indagato insieme a Tiziano Renzi — si legge invece che i due “sfruttando le relazioni esistenti tra Tiziano Renzi e Luigi Marroni (ndr ex amministratore delegato di Consip) si facevano promettere indebitamente da Alfredo Romeo che agiva previo concerto con Italo Bocchino, suo consulente, utilità a contenuto economico, consistenti nell’erogazione di somme di denaro mensili, come compenso per la loro mediazione verso Marroni”, riguardo le gare di appalti.

Le nuove rivelazioni di Marroni pubblicate dall’Espresso sul “sistema Romeo”

Negli stessi giorni, L’Espresso pubblica i contenuti dell’interrogatorio, del dicembre scorso, davanti ai pm napoletani di Luigi Marroni, come persona informata sui fatti. I magistrati gli chiedono dell’appalto da 2,7 miliardi di euro (Facility Management 4), del presunto sistema corruttivo che Alfredo romano avrebbe costruito per aggiudicarsi i lotti e delle eventuali sollecitazioni ricevute da politici e faccendieri. L’ex ad di Consip, riporta il settimanale, “racconta (…) di un vero e proprio «ricatto» subito da un sodale di Tiziano Renzi, l’imprenditore Carlo Russo. Marroni riferisce di pressanti «richieste di intervento» sulle Commissioni di gara per favorire una specifica società; di «incontri» riservati con il papà di Renzi a Firenze; e di «aspettative ben precise» da parte di «Denis Verdini (ndr senatore del gruppo Ala) e Tiziano Renzi» in merito all’assegnazione di gare d’appalto indette dalla Consip del valore di centinaia di milioni di euro”. Marroni aggiunge anche di non essersi piegato di fronte alle sollecitazioni.

Tiziano Renzi e Alfredo Romeo respingono le accuse

Tiziano Renzi risponde in un primo momento sulla stampa negando le accuse: «nessuno mi ha mai promesso soldi, né io ho chiesto alcunché». Al termine dell’interrogatorio davanti ai magistrati romani, poi, il suo avvocato comunica che Tiziano Renzi «ha risposto a tutte le domande», specificando di «non aver avuto alcun ruolo in questa vicenda», di non aver avuto rapporti con l’imprenditore Alfredo Romeo e che nega di conoscere Denis Verdini.

Dal carcere si difende dalle accuse anche Romeo: «Non c’è nulla di vero in quello che riportano i giornali, mi considero vittima di una strumentalizzazione che mi sembra solo la conseguenza di un’aspra contesa di natura politica».

Revocate le indagini al Noe dopo la fuga di notizie

Intanto le indagini sull’inchiesta Consip vengono tolte al Noe, cioè il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, che fino a quel momento le aveva portate avanti, e delegate al Nucleo Investigativo di Roma dello stesso corpo. La decisione, si legge in una nota della Procura di Roma, è stata presa a seguito della fuga di notizie.

I magistrati di Roma aprono anche una serie di procedimenti contro ignoti, per individuare chi tra i pubblici ufficiali, che hanno avuto a che fare con l’inchiesta, ha poi passato informazioni ai giornalisti.

Manipolazioni nell’inchiesta Consip: i pm di Roma indagano Scafarto, capitano dei carabinieri del Noe

A inizio aprile viene pubblicata la notizia che la Procura di Roma indaga il capitano dei carabinieri del Noe, Gianpaolo Scafarto, per falso materiale e falso ideologico perché avrebbe compiuto almeno due «manipolazioni» nell’inchiesta Consip. Nel primo caso, Scafarto avrebbe attribuito, nella trascrizione di una delle intercettazioni dell’indagine, la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” ad Alfredo Romeo, mentre a pronunciare quella frase non era stato l’imprenditore, ma il suo collaboratore, Italo Bocchino, come accertato dai magistrati romani riascoltando i nastri delle conversazioni registrate. Bocchino, commentando la vicenda, ha poi affermato di non conoscere e di non aver mai incontrato Tiziano Renzi: «La frase su ‘l’ultima volta che ho visto Renzi’, che sarebbe stata pronunciata da me ed attribuita ad Alfredo Romeo, si riferiva presumibilmente all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi e a valutazioni politiche del tutto estranee ai fatti dell’inchiesta». Il capitano dei carabinieri del Noe viene anche accusato di aver falsificato i documenti per attribuire ai Servizi segreti la responsabilità su un presunto pedinamento ai danni di carabinieri che stavano svolgendo l’indagine.

Dopo la notizia delle presunte manipolazioni dell’inchiesta Consip da parte del capitano del Noe, diversi commentatori si domandano cosa resti delle accuse. Su Repubblica, Dario del Porto e Conchita Sannino fanno il punto della situazione e spiegano che “ nulla cambia, almeno per adesso, nel cuore dell’indagine: la contestazione (…) per corruzione Alfredo Romeo. È stato l’ex alto dirigente della Consip, Marco Gasparri, a confessare di aver ricevuto circa 100 mila euro in cinque anni in cambio di informazioni sugli appalti”. Il quadro accusatorio nei confronti di Tiziano Renzi potrebbe invece uscirne depotenziato dopo la presunta manipolazione dell’intercettazione, ma, specificano comunque i due giornalisti, “il nome di Renzi senior compare anche in altre pagine dell’inchiesta”.

L’intercettazione tra Matteo Renzi e il padre Tiziano pubblicata dal Fatto Quotidiano

A metà maggio, escono le anticipazioni del libro Marco Lillo sul caso Consip. Il giornalista racconta di una telefonata di marzo, presente tra le carte dell’inchiesta, in cui Tiziano Renzi (che aveva il telefono intercettato) parla con il figlio, alla vigilia del proprio interrogatorio: “È Matteo che chiama al telefono il padre. Sa che rischia di essere intercettato e non a caso dice cose da manuale di educazione civica tipo: «Babbo devi dire tutta la verità ai magistrati». (…) Durante la chiamata emerge chiaramente la sfiducia di Matteo verso Tiziano”.

Matteo Renzi chiede conto al padre di un’intervista pubblicata su Repubblica il 2 marzo scorso in cui Alfredo Mazzei, commercialista, amico di Alfredo Romeo e testimone nell’inchiesta, racconta di una “cena segreta” in una “bettola romana” a cui avrebbero partecipato Tiziano Renzi, Alfredo Romeo e Carlo Russo per discutere di affari. La circostanza era stata confidata dallo stesso imprenditore a Mazzei. Scrive Lillo:

«È vero che hai fatto una cena con Romeo?». La risposta non è netta ma sibillina. I carabinieri nel brogliaccio annotano: “Tiziano dice di no e che le cene se le ricorda ma i bar no”. (…) Però, se il no sui ristoranti è netto, non lo è altrettanto quello su un possibile incontro con l’imprenditore campano in un bar.

Dopo la pubblicazione di questa intercettazione, la procura di Roma apre un fascicolo per violazione del segreto istruttorio e per pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale.

Indagato anche il vicecomandante del Noe dei Carabinieri

Il 7 giugno, circa una settimana dopo la richiesta di rinvio a giudizio immediato per Alfredo Romeo e l’ex dirigente Consip, Marco Gasparri, i magistrati romani accusano Alessandro Sessa, vicecomandante del Noe dei Carabinieri, di depistaggio, iscrivendolo nel registro degli indagati, nel filone che riguarda la fuga di notizie sull’inchiesta. Per i pm Sessa avrebbe “mentito quando ha detto di aver comunicato al suo capo, Sergio Pascale, dell’esistenza dell’indagine dopo il 6 novembre 2016. Invece secondo i pm quella comunicazione è avvenuta nel giugno precedente, poco prima della prima fuga di notizie”, spiega il Fatto.

Le chat di Scafarto sulle presunte manipolazioni dell’inchiesta e le nuove accuse al capitano dei Noe

Repubblica pochi giorni dopo pubblica un articolo sulla gestione dell’indagine da parte del Noe e i possibili tentativi di manipolazione. I giornalisti scrivono che in una chat con i suoi colleghi, Scafarto chiedeva se qualcuno si ricordava di una conferma di un incontro tra Romeo e Tiziano Renzi. I carabinieri allora verificano il contenuto di un’intercettazione ambientale passata dallo stesso Scafarto: «Remo, per favore, riascoltala subito. Questo passaggio è vitale per arrestare Tiziano (Renzi ndr.). Grazie. Attendo trascrizione». I suoi uomini gli comunicano che in quello scambio intercettato non è Romeo a parlare ma Bocchino. “Scafarto — continuano i giornalisti — non si rassegna. Chiede di inviargli il file audio con l’intercettazione. Che avrà. E che, come ormai sappiamo, ignorerà, attribuendo a Romeo le parole di Bocchino”. Davanti ai magistrati il capitano dei Noe, sentito su questa passaggi, afferma di non ricordare quei messaggi, né di aver ricevuto il file audio: «Non riesco a darmi una spiegazione di quanto è accaduto».

Il 26 giugno si apprende poi che nei confronti di Scafarto vengono formulate da parte della procura di Roma nuove ipotesi di reato: falso e rivelazione del segreto. “Le nuove contestazioni — scrive l’Ansa – vertono per quanto riguarda il falso su un riferimento al generale Fabrizio Farragina, ex Aisi (servizio segreto interno), sulla presunta presenza di 007 durante le indagini di Scafarto su Consip; la rivelazione di segreto si riferisce invece a presunte ‘soffiate’ sull’andamento delle indagini — ad agosto 2016 e marzo 2017 — ad ex colleghi del Noe passati poi all’Aisi”.

Uno degli avvocati di Scafarto, Giovanni Annunziata, sentito diversi mesi dopo da Repubblica, afferma: «I due presunti casi di falso nell’informativa Consip da lui firmata sono semplici errori, non c’era volontarietà».

Le ripercussioni dell’inchiesta sulla società Consip

L’inchiesta con i conseguenti scontri politici ha anche ripercussioni all’interno di Consip. Il 17 giugno salta il consiglio di amministrazione dopo le dimissioni dei due rappresentanti del ministero dell’Economia nel cda, Luigi Ferrara e Marialaura Ferrigno. La decisione, scrive Repubblica, arriva dopo che lo stesso Ferrara è stato sentito come teste presso la procura di Roma e dopo la richiesta di azzeramento dei vertici da parte dei senatori Pd. L’unico a restare è l’amministratore delegato Marroni che dovrà nominare il nuovo consiglio di amministrazione.

Il giorno successivo, anche Luigi Ferrara viene iscritto nel registro degli indagati dai pm romani per il reato di “false informazioni”: durante il colloquio con i magistrati che lo avevano convocato in qualità di testimone, avrebbe ritrattato quanto dichiarato in precedenza e cioè di aver detto a Marroni che il comandante generale Tullio Del Sette gli parlò «di un’indagine» su Consip da parte della Procura di Napoli. Per questo motivo, per aver voluto «coprire» Del Sette negando che gli abbia mai parlato di «indagini in corso», Luigi Ferrara viene indagato per false affermazioni ai pm, scrive il Corriere della Sera.

Marroni convoca l’assemblea degli azionisti il 27 giugno per il rinnovo dei vertici di Consip. In quella data viene nominato il nuovo consiglio di amministrazione: Marroni lascia così il posto di amministratore delegato a Cristiano Cannarsa.

La battaglia politica sul caso Consip arriva in Parlamento

Il 20 giugno, lo scontro tra i partiti sulle vicende intorno a Consip passa in Parlamento con la presentazione di diverse mozioni sulla rimozione dei vertici della società pubblica. Quella del Partito democratico (che aveva il parere favorevole del governo) impegna l’esecutivo a procedere in tempi rapidi al rinnovo dei vertici Consip nel rispetto della legge. Le altre mozioni presentate sono state quella di Sinistra Italiana — che impegnava il governo ad avviare un’inchiesta amministrativa e a rivedere i criteri di definizione delle gare–, di MDP — che puntava a valutare la revoca dall’incarico a Marroni, a procedere a nuove nomine e a ritirare le deleghe al ministro dello Sport, Luca Lotti –, e della Lega Nord — che chiedeva di non esercitare pressioni per le dimissioni dell’amministratore delegato –.

La questione politica spiega Il Post è che se le mozioni delle opposizioni fossero state approvate, avrebbero rischiato di “mettere in imbarazzo il governo e potenzialmente di dividere la maggioranza”. Alla fine però questa ipotesi è sfumata perché l’aula ha approvato quella del Pd, anche grazie ai voti di Forza Italia e di Ala, e respinto le altre.

Il controllo del CSM sulle presunte irregolarità nell’inchiesta della procura di Napoli su Consip

Il 20 giugno esce poi la notizia che il Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno dei giudici, ha avviato dei controlli sulle presunte irregolarità che sarebbero state commesse nelle inchieste della procura di Napoli su Consip.

La procura di Roma indaga il pm Woodcock per “violazione del segreto d’ufficio”

La procura di Roma indaga “per violazione del segreto d’ufficio” Henry John Woodcock, il magistrato della procura di Napoli, dove è nata l’inchiesta su Consip. L’indagine si concentra sulle fughe di notizie che ci sono state durante il passaggio dell’inchiesta sugli appalti Consip da Napoli a Roma. Insieme al magistrato napoletano, è indagata anche Federica Sciarelli, giornalista e conduttrice del programma Chi l’ha visto? e compagna di Woodcock. Secondo i pm, Sciarelli — a cui viene sequestrato il cellulare — avrebbe passato le informazioni in suo possesso a Marco Lillo del Fatto Quotidiano. Durante l’interrogatorio del 30 giugno scorso, la giornalista si è detta estranea alla fuga di notizie. Anche Woodcock, diversi giorni dopo, davanti ai magistrati ha respinto le accuse, negando di aver rivelato le informazioni.

Perquisita la casa di Marco Lillo

Il 5 luglio, il fattoquotidiano.it scrive che la procura di Napoli ha disposto la perquisizione di casa, computer e cellulari di Marco Lillo per ricercare “tracce informatiche sull’origine dei suoi scoop sull’inchiesta Consip. Il giornale specifica inoltre che il giornalista non è indagato e che nel decreto, firmato dai pm napoletani, “si spiega che l’inchiesta per la presunta violazione del segreto d’ufficio è nata sulla base di una denuncia-querela degli avvocati di Alfredo Romeo”.

Scarcerato Romeo: “Non sono io il corruttore”

A metà agosto Alfredo Romeo, dopo 168 giorni di arresto, torna libero su decisione del tribunale del Riesame di Roma. L’imprenditore indagato rilascia un’intervista a Repubblica in cui respinge le accuse e afferma di non aver mai cenato con Tiziano Renzi né di averlo mai voluto incontrare: «Oddio, se lui volesse conoscermi non avrei difficoltà a incontrarlo. Un signore che può raccontarmi dei suoi pellegrinaggi o di com’era il suo figliolo quando era scout. Che ci sarebbe di male?». Intanto, pochi giorni prima, nell’avviso di proroga delle indagini, compaiono i nomi di tre nuovi indagati: l’amministratore di “Grandi Stazioni”, Silvio Gizzi, Domenico Casalino, ex amministratore delegato di Consip e un dirigente della stessa azienda, Francesco Licci.

Gasparri, ex Consip, patteggia una condanna a 1 anno e 8 mesi

Il giudice per le udienze preliminare ratifica che Marco Gasparri, indagato per corruzione in concorso con l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, ha patteggiato una condanna a un anno e 8 mesi.

Il processo con rito immediato per Romeo è invece fissato per il prossimo 19 ottobre, scrive l’Ansa.

Pm di Modena a CSM: comportamento non corretto da parte di alcuni carabinieri del Noe

Il 15 settembre Repubblica, Corriere della Sera e Il Messaggero pubblicano la notizia che la procuratrice di Modena, Lucia Musti, durante un’audizione davanti al CSM del 17 luglio scorso, ha accusato alcuni carabinieri del Noe — che ha portato avanti le indagini nella vicenda Consip, fino alla revoca dovuta a una fuga di notizie — di non aver esercitato correttamente in più di un’occasione il proprio lavoro.

Sul Corriere, Giovanni Bianconi spiega che Musti ha riferito che Scafarto — ex capitano del Noe, promosso a maggiore l’11 settembre scorso e nei confronti del quale sarebbe arrivata una nuova accusa di rivelazione di segreto d’ufficio da parte della Procura di Roma – in un colloquio nell’ufficio del magistrato avrebbe rivelato «Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi» in riferimento al lavoro che stava portando avanti con la Procura di Napoli. La frase, racconta ancora il giornalista, “fu pronunciata all’inizio di settembre 2016, cioè quattro mesi prima del deposito dell’informativa agli uffici giudiziari di Roma e Napoli in cui lo stesso Scafarto avrebbe inserito alcune notizie non veritiere, come quella in cui l’affermazione «l’ultima volta che ho incontrato Renzi» (inteso Tiziano, cioè il padre dell’ex premier) viene attribuita all’imprenditore Alfredo Romeo, mentre invece era dell’ex parlamentare Italo Bocchino, e riferita al figlio Matteo”. Per via di questa anticipazione e per i modi non corretti di gestire documenti riservati denunciati sempre davanti al CSM, Musti giudicò Scafarto un ufficiale poco serio.

Sempre secondo il procuratore di Modena, inoltre, ci fu anche un altro carabiniere che le avrebbe parlato con toni simili riguarda alle inchieste del Nucleo operativo ecologico dell’Arma. “L’anno prima — si legge sempre sul Corriere–, poco dopo che a Modena era stato trasmesso uno stralcio dell’indagine su un’altra vicenda di presunta corruzione, il caso Cpl-Concordia, con allegata l’informativa redatta dagli stessi investigatori in cui erano state inserite alcune telefonate intercettate tra il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi e l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, il colonnello Sergio De Caprio (l’ex capitano Ultimo, che arrestò Totò Riina), all’epoca comandante del Noe, le avrebbe detto: «Lei ha una bomba in mano, se vuole la può fare esplodere». Anche in quel momento Musti riferisce di aver pensato che quei carabinieri erano degli «esagitati», e che prima si fosse liberata di quel fascicolo definendo le posizioni dei suoi indagati e meglio sarebbe stato”.

Queste considerazioni Musti le ha esposte durante un’audizione al CSM che sta indagando sulla fuga di notizie del luglio 2015 — sulla vicenda Cpl-Concordia, che era portata avanti dai pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano, gli stessi del caso Consip – “riguardante proprio le telefonate tra l’ex premier e Adinolfi, risalenti al gennaio 2014, nelle quali Renzi esprimeva giudizi poco lusinghieri su Enrico Letta e accennava alle mosse per sostituirlo a palazzo Chigi. L’informativa del Noe, originariamente indirizzata alla Procura di Napoli, era stata trasmessa per competenza anche a Modena ad aprile 2015, e tre mesi dopo il contenuto delle telefonate era finito sulle pagine del quotidiano Il Fatto”. Il 13 settembre l’audizione di Musti (e di altri magistrati) è stata inviata dal CSM alla Procura di Roma che sta indagando su Scafarto per falso (ma anche su Woodcock per violazione di segreto) perché «meritevoli di un approfondimento».

Nel luglio scorso, il nome di Sergio De Caprio era stato collegato alle vicende che girano intorno all’inchiesta Consip, dopo l’uscita della notizia del suo passaggio (insieme ad altri suoi collaboratori) dai servizi segreti dell’Aise all’Arma dei Carabinieri. Repubblica, citando fonti di intelligence, scrive che il ritorno tra i carabinieri sarebbe legato alla vicenda Consip, “ovvero al fatto che — come scoperto dalla Procura di Roma — alcuni loro ex colleghi Noe, in particolare il capitano Giampaolo Scafarto, avrebbero continuato a collaborare con i loro ex colleghi transitati all’Aise ‘A totale insaputa di tutti i vertici del comparto creando di fatto la fine del rapporto di fiducia’.”. De Caprio aveva ribattuto: «A seguito di reiterate e diffuse insinuazioni e manipolazioni della realtà apparse su diversi organi di stampa, abbiamo consapevolmente deciso di rientrare nell’Arma al fine di evitare strumentalizzazioni sul nostro operato, sempre corretto, da parte di chiunque, per tutelare l’integrità dell’Aise nella sua interezza e per l’amore che ci lega all’Arma dei Carabinieri».

La Procura di Roma apre poi due fascicoli processuali contro ignoti per rivelazione del segreto d’ufficio per le fughe di notizie riguardo il contenuto di audizioni avvenute davanti al CSM. I due fascicoli fanno riferimento a due distinti episodi di notizie coperte da segreto apparse sui quotidiani, scrive l’Ansa.

Le difese di De Caprio e Scafarto

Sentito dall’Ansa, Sergio De Caprio ha affermato di non «aver mai svolto indagini per fini politici». “Ultimo” dice anche, a proposito del procuratore Musti, di non averla «mai forzata in nessuna cosa» e di aver sempre svolto «le indagini che ci ha ordinato con lealtà e umiltà»: «Non ho mai parlato di Matteo Renzi né con la dottoressa Musti né con altri». Riguardo a quanto emerso De Caprio ha parlato anche di «linciaggio mediatico con insinuazioni e falsità da alcuni organi di disinformazione funzionali alle lobby che da anni cercano di sfruttare il popolo italiano». De Caprio inoltre ha risposto anche a chi tra i politici di centro-sinistra hanno parlato di “colpo di stato”: «Leggo che illustri esponenti politici — tra cui ministri Dario Franceschini, Luigi Zanda, Michele Anzaldi, Pino Pisicchio — paventano colpi di stato e azioni eversive da parte del Capitano Ultimo e di pochi disperati carabinieri che lavorano per un tozzo di pane. Stiano sereni tutti, perché mai abbiamo voluto contrastare Matteo Renzi o altri politici, mai abbiamo voluto alcun potere, mai abbiamo falsificato alcunché». “Ultimo” si è reso inoltre disponibile per «un pubblico confronto al fine di chiarire dubbi e sospetti».

Scafarto, in un colloquio telefonico con Repubblica, si dice dispiaciuto —« io sono un operaio dello Stato, uno che ha fatto tanto in 23 anni di carriera, senza mai protagonismi» — e riguardo le parole del procuratore di Modena sul suo operato non all’altezza afferma: «Non so perché lo abbia detto, con il procuratore Musti ho sempre avuto un rapporto franco, cordiale, di confronto». Riguardo poi alla frase su Renzi che avrebbe detto nel 2016 nell’ufficio del magistrato, Repubblica riporta che l’ex capitano dei Noe ribatte «Lei (ndr riferito al giornalista) è sicuro che l’ abbia detta…?».

Le nuove accuse della Procura di Roma a Woodcock

Il Corriere della Sera pubblica la notizia che la Procura di Roma avrebbe aperto una seconda inchiesta nei confronti di Henry John Woodcock, oltre a quella per violazione di segreto. “Il pubblico ministero napoletano — scrive il quotidiano — è indagato per falso, in concorso con l’ex capitano del Noe Gianpaolo Scafarto, autore di comunicazioni su una presunta auto dei servizi segreti che avrebbe spiato le mosse dei suoi carabinieri impegnati negli accertamenti sull’imprenditore Alfredo Romeo. Secondo l’accusa, quando inserì questo dato nell’informativa trasmessa agli inquirenti Scafarto già sapeva che i Servizi non c’entravano, ma poi è stato lo stesso ufficiale a chiamare in causa il magistrato; quella scelta non fu sua, ma «indotta» dal pm, avrebbe detto in un interrogatorio, prima di trincerarsi nel silenzio tenuto negli ultimi mesi”.

Rivelazione del segreto d’ufficio: la Procura di Roma chiede l’archiviazione per Woodcock

Il 2 ottobre, la Procura di Roma chiede l’archiviazione del pm di Napoli, Henry John Woodcock, e della giornalista Federica Sciarelli. I due erano stati indagati nel giugno scorso “per violazione del segreto d’ufficio” dopo le fughe di notizie avvenute durante il passaggio dell’inchiesta sugli appalti Consip da Napoli a Roma.

Nuovi accuse ai carabinieri Scafarto e Sessa: sospesi dal servizio

I giornali il 12 dicembre pubblicano la notizia che la Procura di Roma ha presentato nuove accuse di depistaggio nei confronti del colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa e del maggiore Gianpaolo Scafarto. Secondo i magistrati i due avrebbero “distrutto prove utili agli inquirenti su WhatsApp. E lo avrebbero fatto quando già sapevano di essere indagati”, scrive il Fatto quotidiano. Sulla base di queste nuove accuse Sessa e Scafarto sono stati sospesi dal servizio per un anno. Sessa, ex vice comandante del Nucleo operativo ecologico (NOE), era già indagato nell’inchiesta Consip, con l’accusa di depistaggio per aver mentito nel corso di un’audizione testimoniale con i pm. Scafarto deve invece rispondere anche di falso e rivelazione del segreto.

Due giorni dopo, il 14 dicembre, la sospensione nei confronti di Scafarto e Sessa viene annullata dal Gip di Roma per un vizio di forma. Ad eccepire il vizio di forma, si legge sui media, erano stati i difensori di Sessa, secondo i quali l’articolo 278 del Codice di procedura penale prevede che l’indagato sia sottoposto all’interrogatorio prima di vedersi applicata la misura interdittiva della sospensione dal servizio.

L’interrogatorio è stato poi eseguito il 20 dicembre e il 25 gennaio 2018 lo stesso Gip di Roma conferma la sospensione dal servizio di un anno per Scafarto, mentre nei confronti di Sessa il giudice delle indagine preliminari non emette una nuova ordinanza perché nel frattempo il colonnello dei Carabinieri si era auto sospeso.

Il Riesame annulla la sospensione di Scafarto

Il tribunale del Riesame, il 27 marzo 2018, annulla la misura cautelare interdittiva dal servizio per l’ufficiale dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, scrive il Fatto quotidiano.

Giovanni Bianconi sul Corriere della sera spiega che secondo i giudici del Riesame “non c’è alcuna prova che l’ufficiale dell’Arma abbia manipolato l’informativa indirizzata ai magistrati per danneggiare Tiziano Renzi e di conseguenza suo figlio Matteo; ha commesso degli errori, come tante volte accade, senza la volontà di nuocere all’ex premier”. Ad esempio, i giudici del Riesame sottolineano che in una circostanza Scafarto corresse l’interpretazione di una frase intercettata così da evitare di tirare in ballo Marco Carrai, stretto amico di Matteo Renzi: «La vicenda è decisamente rilevante, perché smentisce la tesi dell’accusa in ordine alla volontà dell’indagato di coinvolgere nella vicenda Consip l’allora presidente del Consiglio». Secondo i giudici, inoltre, non è dimostrato che abbia voluto eliminare le tracce del proprio comportamento con la manomissione del telefonino del suo superiore.

Questa nuova decisione dei giudici, continua il giornalista, rappresenta “un ribaltamento delle tesi dell’accusa pressoché totale, che riscrive un pezzo importante della storia dell’indagine Consip; almeno per il momento, giacché la Procura farà ricorso in Cassazione”.

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