Terremoto, fragilità del suolo e abusivismo edilizio

Valigia Blu
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8 min readAug 23, 2017

«È allucinante morire per un sisma di questa entità». Le parole del presidente del Consiglio nazionale dei geologi, Francesco Peduto, riassumono il tenore delle considerazioni fatte subito dopo il terremoto che ha colpito Ischia, provocando il crollo di diverse abitazioni e causando la morte di 2 persone e almeno 36 feriti. Secondo il capo del dipartimento della protezione civile, Angelo Borrelli, gli sfollati sarebbero 2600 (2 mila a Casamicciola, 600 a Lacco Ameno, i due comuni maggiormente colpiti). L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha rilevato che la scossa è stata di magnitudo 4, ha avuto una profondità di 5 chilometri e si è verificata al largo della costa nord-ovest dell’isola vicino al comune di Casamicciola.

via INGV

Come è possibile, dunque, che un terremoto dalla magnitudo così bassa possa aver avuto conseguenze così grandi? Le riflessioni di esperti, magistrati, rappresentanti delle istituzioni si sono concentrate su più aspetti, dalla fragilità del territorio alle responsabilità della politica (dalle istituzioni locali a quelle nazionali), dalla necessità di mettere in sicurezza il territorio all’importanza di una maggiore informazione che renda i cittadini più consapevoli. Ancora una volta, come già accaduto in passato, solo lo scorso anno con il terremoto che ha colpito il centro Italia, la parola più utilizzata è stata prevenzione.

Fragilità del suolo o abusivismo edilizio?

Non è la prima volta che un terremoto di magnitudo bassa abbia effetti devastanti a Ischia. Negli ultimi mille anni, scrive l’INGV in un aggiornamento pubblicato ieri sul proprio sito, l’isola è stata interessata da almeno cinque grandi terremoti. Il più forte, nel 1883, causò più di duemila morti e distrusse il centro di Casamicciola.

via INGV

Tutti questi sisma hanno avuto stime di magnitudo modeste ed effetti molto elevati e distruttivi (nel caso di Casamicciola, nel 1883, i danni furono calcolati per il decimo grado della scala Mercalli), che hanno interessano un’area molto limitata e poco estesa. Secondo l’INGV, più fattori insieme hanno concorso a provocare conseguenze così drammatiche nei terremoti che hanno colpito Ischia: la superficialità dell’ipocentro, la particolare geologia dell’isola e la fragilità del suolo, la vulnerabilità del patrimonio edilizio e l’alta densità abitativa.

In particolare, la fragilità del suolo sarebbe resa evidente anche dalla frequenza delle frane: “la più antica ben documentata storicamente risale alla seconda metà del Duecento, la più recente è avvenuta il 10 novembre 2009 quando un costone del monte Epomeo si è staccato a causa di abbondanti piogge causando una frana che ha raggiunto il porto di Casamicciola, causando una vittima e numerosi feriti”.

Valutando la storia dei sisma dell’isola, la fragilità del suolo, dunque, potrebbe aver giocato un ruolo importante negli effetti del terremoto. Ma, nell’indicare le cause di crolli e vittime, l’INGV non esclude la vulnerabilità del patrimonio edilizio (case vecchie o abusive) e l’eccessivo numero di abitazioni presenti.

Proprio su questo aspetto ha puntato l’attenzione Legambiente. Secondo l’associazione ambientalista esisterebbe un collegamento diretto tra i crolli e l’abusivismo edilizio.

“Ischia è da sempre simbolo di abusivismo edilizio, di cementificazione disordinata e di impunità. Davanti a questa ennesima tragedia speriamo che chi in queste settimane sta cavalcando il tema dell’abusivismo di necessità, per ricercare consenso elettorale, si fermi”, si legge in un comunicato diffuso il giorno dopo il terremoto. Nello specifico, l’associazione fa riferimento a una legge approvata dalla Regione Campania lo scorso mese di luglio, che disincentiva di fatto la demolizione degli edifici abusivi permettendo di adottare soluzioni alternative. Proprio ieri, dopo i crolli, il presidente della Regione, aveva sottolineato come l’abusivismo sia un’emergenza trentennale e che proprio «a Ischia sono stati compiuti abusi di tipo criminale, con strutture costruite in zone a rischio idrogeologico che vanno abbattute il prima possibile».

Secondo il rapporto Ecomafie 2017 di Legambiente, nell’isola ci sono 600 edifici in attesa di demolizione e ben 27mila domande di condono edilizio in attesa di valutazione su un area di poco meno di 50 chilometri quadrati. In un altro rapporto, “Mare monstrum 2017“, l’associazione ha inserito Ischia tra le quattro località con i più numerosi e peggiori abusi edilizi del paese, insieme a Pizzo Sella a Palermo, il villaggio di Torre Mileto a Lesina in provincia di Foggia e le 35 ville nell’area archeologica di Capo Colonna, a Crotone.

«A Ischia l’abusivismo è pratica consolidata e diffusa, alimentata dalla politica, che in maniera trasversale chiude un occhio, e dalle scappatoie legali», dice a Repubblica Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania. «Vige la prassi di costruzione abusiva “per necessità” e all’interno di questo concetto rientra di tutto, dagli ampliamenti poi affittati ai turisti, a interi nuovi edifici che diventano alberghi. Tutto avviene in una situazione di diffusa illegalità. Abbiamo accertato che sopraelevazioni e ristrutturazioni abusive sono fatte con lavori che si concludono in 48/62 ore».

Sulla fragilità delle abitazioni si sono concentrate le riflessioni del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, e dell’ex procuratore aggiunto di Napoli e coordinatore della sezione tutela del territorio, Aldo De Chiara. «C’è un discorso di specificità dell’isola d’Ischia che è in area vulcanica. Quello che però ho potuto vedere oggi è che molte costruzioni sono realizzate con materiali scadenti che non corrispondono alla normativa vigente, per questo alcuni palazzi sono crollati o rimasti danneggiati», ha detto Borrelli in una conferenza stampa a Casamicciola.

Parole che sembrano riprendere quanto detto da De Chiara in precedenza in un’intervista al Corriere. L’ex procuratore aveva sottolineato come negli anni in cui era coordinatore della sezione tutela del territorio (tra il 2007 e il 2012) in molti casi fosse stato accertato l’utilizzo di cemento impoverito e fosse stato lanciato l’allarme del rischio di crolli anche in caso di scosse non particolarmente forti. Molte delle costruzioni si trovano in aree dove non sarebbe possibile edificare. «Si può dire che molte delle costruzioni realizzate negli ultimi anni non avrebbero mai dovuto esistere», ha aggiunto il procuratore. «L’isola è gravata da una serie di vincoli e tutte le costruzioni degli ultimi anni sono in gran parte fuori legge. Entro i 500 metri dal mare c’è un vincolo di inedificabilità assoluta. Ci sono poi i vincoli idrogeologici. Ricordo che alcuni anni fa ci fu un grosso temporale proprio a Casamicciola che provocò una frana e la morte di alcune persone. Anche in quel caso per il mancato rispetto della legge».

In una nota congiunta, i sindaci dei sei comuni dell’isola hanno negato una connessione tra crolli e abusivismo edilizio: «I crolli hanno interessato per lo più strutture antiche tra le quali una chiesa già distrutta dal terremoto del 1883 e poi riedificata». Antonio Oliviero, architetto urbanista che sta redigendo il piano urbanistico di Forio, uno dei comuni di Ischia, sposta invece l’attenzione sulla vulnerabilità del territorio: «La zona di Casamicciola è storicamente la più vulnerabile ai terremoti a Ischia. Lo dicono i dati storici. Parlare di abusivismo edilizio in questi casi vuol dire strumentalizzare la vicenda».

Trovare un’unica causa non è quindi ancora possibile, sarà necessario studiare il terremoto ed esaminare la storia e le condizioni degli edifici crollati.

Leggi anche > Terremoto e prevenzione: perché l’Italia non è come il Giappone

Cosa fare?

«Quello che lascia più interdetti è la mancanza di atti concreti per la prevenzione», dice ancora Francesco Peduto. Stando alle parole presidente del Consiglio nazionale dei geologi, siamo ancora fermi al dibattito nato dopo il fortissimo terremoto che ha colpito il centro Italia quasi un anno fa.

Tra spendere tanti soldi subito nell’adeguamento antisismico di case, ospedali, scuole e chiese e spenderli dopo nella ricostruzione, si continua a scegliere la seconda opzione. Secondo una stima del Consiglio nazionale degli ingegneri, l’Italia ha speso negli ultimi 50 anni 120 miliardi in ricostruzione.

All’indomani del sisma di Amatrice, le soluzioni proposte erano diverse: misure di detrazione associate all’adeguamento anti-sismico delle abitazioni, assicurazione obbligatoria contro i disastri naturali e soprattutto microzonazione sismica e conoscenza del territorio. Lo scorso anno, il Consiglio Nazionale dei Geologi denunciava che le «istituzioni da sempre hanno investito pochissimo nella conoscenza del territorio e ancor meno nella prevenzione, ed anche quando si è investito in conoscenza, le risultanze sono state spesso disattese».

Per Francesco Peduto uno strumento importante potrebbe essere il fascicolo del fabbricato: «Far conoscere lo stato di sicurezza delle case dove un cittadino abita o lavora è un fatto di etica innanzitutto, un principio morale prima ancora che una misura di salvaguardia e di prevenzione civile. Le misure per la prevenzione non possono non essere al centro dell’agenda del prossimo governo».

Quanto costa mettere in sicurezza l’Italia?

Lo strumento principale messo in campo dal governo è il cosiddetto sisma-bonus, la misura che consente di detrarre le spese per interventi di adeguamento anti-sismico e per la messa in sicurezza degli edifici.

La legge di bilancio 2017 ha prorogato il bonus fino al 31 dicembre 2021. Questa agevolazione si applica sia alle abitazioni sia alle attività produttive per il 50% delle spese sostenute fino a un massimo di 96mila euro. Una percentuale che può salire al 70% e all’80% nel caso in cui gli interventi portano a una diminuzione di una o due classi di rischio sismico. Le agevolazioni sono valide non solo per gli edifici ubicati nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zona 1 e 2) ma anche per quelli ubicati in zona sismica 3 dove, anche se raramente, possono verificarsi forti terremoti.

Lo scorso 28 febbraio il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha firmato il decreto sulle linee guida per la classificazione di rischio sismico delle costruzioni e le modalità per l’attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati. Le linee guida consentono di attribuire a un edificio una specifica classe di rischio sismico. Il “rischio sismico” è la misura matematica/ingegneristica per valutare il danno (perdita) atteso a seguito di un possibile evento sismico. Dipende da un’interazione di fattori messi in relazione: la pericolosità (zone sismiche) la vulnerabilità (capacità degli edifici) e l’esposizione (contesti).

Ieri il Sole24Ore ha presentato i contenuti del “Rapporto sulla promozione della sicurezza dai rischi naturali del patrimonio abitativo” a cura di Casa Italia, la struttura affidata al rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone, e ora arrivata al termine del mandato ricevuto dal governo nel 2016.

Il rapporto analizza i costi della messa in sicurezza sismica dell’Italia e dell’applicazione del sisma-bonus. Casa Italia ha calcolato che applicare l’agevolazione ai soli edifici in muratura portante che si trovano nei 648 Comuni più pericolosi richiederebbe allo Stato un costro di quasi 25 miliardi di euro “sotto forma di minori imposte”. Il costo della messa in sicurezza del paese oscillerebbe, invece, da un minimo di 36,8 miliardi a un massimo di oltre 850 miliardi di euro, a seconda della tipologia costruttiva degli edifici e della classe di rischio del comuni in cui sono stati costruiti. La diagnosi dei soli edifici realizzati in muratura portante e che si trovano nei 648 comuni a maggior rischio sismico costerebbe 36,8 miliardi di euro. Cifra che salirebbe a 46,4 miliardi se si includono gli edifici in calcestruzzo armato realizzati prima del 1971 (prime norme anti-sismiche), a 56 miliardi con quelli in cemento armato realizzati fino al 1981 il costo sale a 56 miliardi, a 850,7 miliardi se si fa riferimento a tutti i Comuni.

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