Biennale di Venezia in un venerdì di pioggia, il racconto

Caterina Longo
venti3
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5 min readApr 24, 2022

Lo scorso sabato 23 aprile ha aperto la Biennale Arte di Venezia: finalmente! Racconto di un momento ritrovato tra pioggia (molta), vento, frutta, spaghetti bolognese e gli stimolanti “compromessi” dell’arte contemporanea.

I tre giorni che precedono l’apertura al pubblico -da mercoledì a venerdì- sono quelli dedicati alla stampa e ai professionisti/e del settore (ma come ogni preview esclusiva che si rispetti, ha ovviamente la sua pre-preview). Decido di andare il terzo giorno, il venerdì, per seguire la conferenza stampa del Padiglione che mi interessava, quello della Germania. Da mercoledì si vedono sfilare sui social foto dei Giardini e di Venezia, volti sorridenti e cielo blu come non mai. E file per entrare: lunghe file, nonostante l’accesso teoricamente “esclusivo”. Per il venerdì le previsioni sono brutte. Ma brutte brutte: pioggia e vento. L’interesse e la volontà superano tutto, e poi questa volta ci ho scritto della Biennale, sul cartaceo di Exibart, e la voglia di “chiudere il cerchio” è troppa. Mi preparo all’impresa come a una prova di resistenza: vestiti caldi e comodi, borsina con kit di sopravvivenza, barrette muesli, ovetti di cioccolato avanzati da pasqua, ombrello e cappello anti pioggia. E acqua. Si ma piccola, per non appesantire la borsa e non obbligare a nuove file nei bagni.

Padiglione Germania, la frutta offerta alla Preview Stampa

Partiamo all’alba con Italo, messo il piede appena fuori da Santa Lucia finisce direttamente in una vagonata d’acqua di una pozzanghera. Poco male, avevo calzini di riserva. Dato il meteo opto per il vaporetto sprint, trovato grazie a “chebateo.it” e arrivo giusto in tempo per la preview ai Giardini. Sospiro di sollievo, non c’è fila per entrare. Sospiro di sollievo 2, la preview stampa al Padiglione Germania non è troppo affollata e si riesce a parlare e chiedere info. All’ingresso offrono frutta, il pubblico giornalistico apprezza e qualcuna non si fa scrupoli d’addentare un’enorme prugna mentre parla il curatore. Fuori pioggia e vento non danno tregua.

Gli spaghetti bolognese non esistono!
Finita la preview mi incontro con Massi, che intanto si era fatto un giro a Venezia (sic!) e notoriamente si ostina a non voler utilizzare mai, ma proprio mai, ombrelli in vita sua. Zuppo che nemmeno Franco Cerri quando faceva l’uomo in ammollo per la pubblicità del Bio Presto.

Massi inzuppato arriva in via Garibaldi

Pranziamo in via Garibaldi con sarde in saor e pasta alle vongole in un ristorante gestito da asiatici, dove eravamo stati in passato — le condizioni non permettono di essere troppo selettivi. Mentre aspettiamo, Massi mi mostra gli stracci gialli (si, quelli per lavare il pavimento) presi al supermercato per asciugarsi dall’acqua. Intanto accanto a noi una coppia tedesca benvestita ordina “spaghetti bolognese”, sempre per la disperazione di Massi, che da bolognese doc vorrebbe spiegare che gli “spaghetti bolognese” NON esistono. Ma ormai sono una pietra miliare dei menu turistici di tutta Europa.

Il sarto
Secondo round: torno ai Giardini e faccio un primo giro per il Padiglione Centrale, tra “vecchie conoscenze” e artiste da scoprire. E poi i Giardini, ma per una visita vera toccherà tornare in un momento più tranquillo. Al di là dei progetti nei Padiglioni, alcuni più, altri meno coinvolgenti e convincenti, è evidente che, almeno in un primo momento, il piacere di ritrovare la Biennale dopo questi anni prevale su tutto. Per le analisi ci sarà tempo. Al Padiglione della Danimarca mi ritrovo a fare lunghe ipotesi con una signora sull’inquietante “centaura” partoriente sdraiata a terra dell’artista Uffe Isolotto: è una persona vera, non lo è? Finzione o realtà?

Uffe Isolotto, We Walked the Earth, Danish Pavillon, 2022 (detail), courtesy of the artist

Al Padiglione Uruguay lascio che il sarto — Demis Marin, un signore gentilissimo, che ha il laboratorio a Marghera- mi prenda le misure, per il progetto “Persona” dell’artista Gerardo Goldwasser. Mentre, metro alla mano, si accinge a mettersi all’opera, mi spiega come procederà e parliamo del progetto dell’artista, che prende le mosse dalla storia del nonno, ebreo tedesco sopravvissuto al campo di Buchenwald perché era un sarto.

Il sarto nel Padiglione Uruguay, progetto “Persona” di Gerardo Goldwasser.

Dietro enormi rulli neri realizzati con resti di stoffa riciclata è possibile ritrovare un momento speciale, intimo e dimenticato all’epoca del fast fashion: il sarto che ti misura, misura proprio te, il tuo corpo, che è unico .”I marchi di abbigliamento ci considerano tutti uguali e simmetrici, ma non è così”, spiega Marin. Mi racconta anche che una volta, quando la biancheria intima era diversa, il sarto doveva prevedere, per i pantaloni da uomo, della stoffa in più e chiedere al cliente “dove lo portava”. Intanto, una coppia di giapponesi guarda curiosa e attende il suo turno. Prima di me anche un signore anziano si è fatto prendere le misure. “C’è molta gente che si fa misurare?” Chiedo al sarto, mentre strappa il foglietto e mi consegna gli appunti. “Si, ne ho già consumati tre di questi taccuini”, risponde. Viene da sorridere, è chiaro che c’è un elemento giocoso o quantomeno una disponibilità a mettersi in gioco -mia, dei giapponesi, del signore anziano, di quelli e quelle passati prima. Farsi prendere le misure senza nessuno scopo immediato, a Venezia, nei Giardini, mentre fuori piove. E accettare il compromesso. Ne accettiamo tanti ogni giorno, molto meno stimolanti.

Quando, alla fine di questo primo giro, è il momento di tornare, le spalle pesano per le borse con i cataloghi e le informazioni raccolte, ma il tempo si è acquietato, non piove più. Uscendo una ragazza mi mette in mano un invito “alla mostra di mio fratello, fuori qui a destra”, dice sorridendo in inglese. Torniamo con Massi passando per quelle calli che nel novembre 2019 avevamo attraversato con l’acqua alta fino alle ginocchia. Allora la Biennale si intitolava “May you live in interesting times”. Mai titolo fu più profetico, visto quello che è successo pochi mesi dopo, e ancora succede. Dopo un giro al ghetto e in pasticceria si rientra. Ma torneremo.

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Caterina Longo
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Amo l’arte, i(l) boschi, le immagini e le storie che fanno dei giri immensi e poi ritornano.