”Fantozzi è lei?!”

Massimiliano Boschi
venti3
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5 min readMar 7, 2021

Il primo incontro con Giorgio Antonucci e la prima visita a un ospedale psichiatrico. Come un giornalista si trasformò nel più famoso dei ragionieri.

(Seconda puntata, qui la prima)

L’articolo pubblicato da “Diario della settimana” lo scrissi senza incontrare L.S. che, pochi giorni dopo, riuscì a tornare a casa assistito da Antonucci che continuava a tenermi aggiornato sulla situazione.
Circa un anno più tardi, L.S venne nuovamente ricoverato e e Giorgio mi chiese se ero disposto ad accompagnarlo per fargli visita al reparto psichiatrico di Santa Maria Nuova a Firenze. Dissì di sì, ma ero e sono un giornalista free lance, per cui dovevo trovarmi una testata disponibile a pubblicare l’articolo.
Su “Diario” avevo già affrontato la questione, per cui provai con “L’Unità” con cui, però, avevo pubblicato un solo articolo in precedenza.
Per non generare false illusioni, chiesi a Giorgio di non avvisare L.S e di presentarmi come Massimo, un laureando che stava preparando una tesi sui ricoveri psichiatrici. Era un tema delicato e l’Unità avrebbe potuto rifiutare la pubblicazione anche dopo che avessi scritto l’articolo.

Fu così che in un soleggiato pomeriggio di novembre del 2005 incontrai per la prima volta Giorgio Antonucci. Avevo assistito alla sua conferenza a Imola, ci eravamo sentiti spesso per telefono, ma non ci eravamo mai incontrati vis a vis. Ci demmo appuntamento appena fuori dalla stazione di Firenze e ci incamminammo a piedi verso l’ospedale.
Superato l’ingresso, ci fecero accomodare nella stanza dedicata alle visite, c’eravamo solo noi due. Appena ottenuto il permesso di entrare, Antonucci, come da accordi, si avvicinò a L.S. con l’intenzione di presentarmi come un laureando. Non mi sono sentito mai così vicino al ragionier Fantozzi.

“Ti presento Massimo, uno stud…”.
“Ah Boschi il giornalista, piacere, sono contento che sia potuto venire”…

Un perfetto remake di “Fantozzi è lei?!”, ero diventato il protagonista di una delle gag più note del personaggio interpretato da Paolo Villaggio.

Purtroppo, però, quello fu l’unico ricordo divertente di un pomeriggio che non ho più dimenticato. Gli sguardi dei ricoverati, l’atteggiamento dei medici, le sbarre di vetro alle finestre, lo stagnante odore di fumo all’interno del reparto… Pochi giorni dopo quella visita, il 29 novembre 2005, uscì questo articolo sull’Unità

“Mi è sembrato di tornare indietro di quarant’anni. E’ come se la legge Basaglia non fosse mai stata approvata. Di nuovo reparti chiusi a chiave, gente impedita negli spostamenti e nelle comunicazioni, l’uso diffuso degli psicofarmaci”. Giorgio Antonucci, medico e psicanalista, una vita spesa a chiudere manicomi, non crede ai propri occhi. Recatosi a visitare un paziente presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di S.Maria Nuova, nel cuore di Firenze, ha dovuto litigare con un infermiere, e minacciare l’intervento dei carabinieri, per essere ammesso nel reparto e poter parlare con il ricoverato. “Il reparto è chiuso, bisogna suonare per essere ammessi, io insieme ad un altro medico, Giulio Murero, abbiamo chiesto di poter parlare con L. S. che abbiamo in cura da diversi anni, ma volevano impedircelo. Ci avevano invitato di tornare nell’orario delle visite. Queste sono regole da carcere non da ospedale”.

Il reparto “psichiatria uomini” di S.Maria Nuova non è certo una struttura all’avanguardia, poche camerate al primo piano dell’ospedale, un salottino con la televisione, un divanetto basso lungo il corridoio. Le finestre sono sbarrate con lastre di vetro, invece delle “odiose” barre di metallo. Dall’esterno non si notano, dall’interno garantiscono una vista migliore sul “panorama”, composto da muri fatiscenti e calcinacci. Le visite dei familiari non sembrano frequenti, la saletta d’attesa è vuota, la sensazione d’isolamento è molto forte. Lungo il corto corridoio del reparto, due degenti camminano avanti e indietro, uno fumando, l’altro sorseggiando acqua da un tetrapak. Su un letto un paziente fissa il soffitto, un altro, seduto in poltrona fissa il vuoto. L. S. è magrissimo, i lunghi capelli sono sparati per aria, ma il suo sguardo è vivacissimo e un fiume di parole esce dalla sua bocca non appena incontra Antonucci. Sa di avere pochi minuti per cui cerca di concentrare tutto in poche frasi, la voglia di uscire, il disprezzo per i medici, il desiderio di confrontarsi con qualcuno sui suoi temi: la filosofia, la storia della scienza. S., infatti, è un brillante studioso dell’Accademia di Scienze e Lettere “la Colombaria” che ha sede proprio di fronte all’ospedale. Condisce le imprecazioni contro i medici con citazioni di Democrito e di Aristotele, il suo sguardo si abbassa solo una volta quando non riesce a pronunciare la parola “diseredati”: “sono i farmaci — sospira- io parlo benissimo, sono loro a ridurmi così”. Poi rialzando la testa sbotta: “ma a voi sembro matto?”.

La domanda non è retorica e sulla risposta, evidentemente, non esistono pareri univoci. S. è un filosofo, ha scritto testi importanti, tra cui un saggio sulla logica comparativa aristotelica e vorrebbe confrontarsi con i medici anche sulle cure e sui risultati delle terapie. Parlandogli è inevitabile non coglierne la genialità. Ovviamente, senza scendere in dettagli inutili, i disturbi e i problemi sono reali, ma sulle soluzioni esistono posizioni diverse. S., dal canto suo, anche dopo due settimane di ricovero tenta ancora di collegare il suo caso ad una errata impostazione della scienza medica, poi racconta di quando è stato prelevato in casa e trasportato con la forza in ospedale, infine scuote la testa e chiede di allontanarsi per poter andare a prendersi un pezzo di cioccolata che Antonucci gli ha appena portato. “Gli ho portato spazzolino, dentifricio e sapone, gli porto le sigarette e i dolci che mi chiede. Le domanda a me, che sono il suo medico. E’ evidentemente una persona isolata che, a mio avviso, sta peggiorando la sua situazione restando in ospedale. La legge dice che può essere sottoposto a Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) chi rifiuta le cure, lui non le ha mai rifiutate, anzi, i suoi due medici hanno dovuto litigare per poterlo incontrare. S. è capace di intendere e di volere, può tenere discussioni di altissimo profilo, che vantaggio può avere restando recluso in ospedale? Il discorso vale, ovviamente, per chiunque, non solo per i filosofi. Basaglia ci aveva insegnato a trattare i ricoverati da persone libere. Se siamo ancora a questo punto per cosa abbiamo lottato?”.

La vede molto diversamente il medico responsabile del reparto in cui è ospitato S.: “il Tso è solo l’inizio di un progetto terapeutico, in molti casi efficace. Non risponde a nessuno scopo di normalizzazione sociale, abbiamo come unico obiettivo la protezione dell’individuo. Non vogliamo che resti abbandonato a se stesso e tentiamo di evitargli conseguenze che possono essere anche molto gravi. Noi abbiamo percentuali di Tso molto più basse della media nazionale, non lo utilizziamo come scorciatoia, pensiamo di fare il bene del paziente, con lui come con tutti gli altri. Il discorso su Basaglia è ovviamente complesso e importante, ma non ci sentiamo in contrasto con lo spirito della legge, anzi. Non è nostra intenzione limitare la libertà di nessuno. Al di là del caso specifico, che libertà c’è nel vivere isolati a casa, senza poter interagire con nessuno, rischiando di causare danni irreparabili?”. E’ vero, l’argomento è complesso, servirebbe un filosofo.

Qui la prima puntata

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Massimiliano Boschi
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Collaboro con “Alto Adige Innovazione” e “FF- Das Südtiroler Wochenmagazin”. In passato con “Diario della settimana”, “Micromega” e “Il Venerdì di Repubblica”.