Guardare è un’arte, compie 80 anni l’artista Hans Peter Feldmann

Caterina Longo
venti3
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4 min readJan 17, 2021

La cosa che ho saputo fare meglio, guardare”, il 17 gennaio 1941 nasceva il grande artista tedesco

Hans Peter Feldmann, immagine tratta dal suo libro “1941”, dettaglio

Per ragioni diverse, le installazioni non sono eseguite realmente ma sono soltanto descritte. Problemi finanziari, difficoltà pratiche, l’assenza di spazi perfettamente adeguati e altre complicazioni, sono alcune delle ragioni per le quali le opere non sono realizzate. Tuttavia è anche la possibilità di giungere a una migliore comprensione — a condizione di un benevolo interesse — che ha suggerito questo tipo di presentazione”
Questo annuncio potrebbe far pensare, per certi versi, all’ennesima mostra non realizzata per via del solito motivo, il Covid. In realtà è una dichiarazione che l’artista Hans Peter Feldmann (*Hilden, Germania, 1941) scrisse a macchina su un foglietto nel 1995 in una mostra collettiva a Parigi, presso la Galerie Liliane et Michel Durand Dessert*. Invece di presentare le installazioni, l’artista aveva appeso dei foglietti in cui queste erano solo descritte. Le descrizioni, che in termini tecnici si chiamo o èkphrasis o ecfrasi potevano essere acquistate a poco prezzo. Un gioco concettuale e un po’ provocatorio, certo. E un paradosso: come Feldmann spiega alla fine del testo, non vedere fisicamente le opere poteva aiutare a capirle meglio “si apre la possibilità di giungere a una migliore comprensione”. La vista e le immagini possono ingannare, si sa, e lo sa bene Feldmann, che dalle immagini è stato sempre ossessionato. Le raccoglieva e ritagliava dalle riviste fin da bambino, per poi bruciarle. Del resto, Feldmann non si è mai definito artista, ma piuttosto un raccoglitore di immagini “la cosa che ho saputo fare meglio, guardare”. Nel pieno spirito dei nostri tempi, per Feldmann l’arte non è creazione, ma abile riproduzione e riassemblamento dell’esistente, in un gioco infinto di specchi e rimandi tra copia e originale (e infatti non firma le sue opere).

Hans Peter Feldmann, Voyeur, 2011. Copertina

Decenni prima dei social e quindi del trionfo di Instagram e degli hashtag, Feldmann ha maniacalmente e puntualmente cercato e ritagliato immagini e, a sua volta, ha fotografato persone, oggetti e ritagli di giornali. Nei suoi celebri libri d’artista volti di donne, capigliature, ginocchia, vestiti, ritratti, gente che fuma, coppie di tutti i tipi e tempi, persone e personaggi sono stati raccolti tematicamente e ricomposti in un nuovo, personale ordine o disordine. A parte qualche scarna indicazione iniziale, i suoi sono libri senza testo e spesso somigliano a quaderni, mai esuberanti nel formato, asciutti, normali e incredibili allo stesso tempo, come la vita (Sono pubblicati dalla sua stessa casa editrice “Feldmann Verlag” e da Walther König, Colonia). Di pagina in pagina le immagini, estrapolate dal contesto originario e presentante nel nuovo ordine feldmaniano, si aprono a nuovi significati. Nella sequenza e ripetizione si svelano. Solo guardandola insieme alle altre, vediamo veramente la singola fotografia: ne scopriamo nuovi dettagli, ne capiamo la struttura. Ma anche i trucchi, le differenze e gli inganni che cela: basta un taglio di luce, la scelta di un’inquadratura, un clic scattato un secondo dopo per cambiare quello che vediamo e l’effetto che ha su di noi. Come un orologiaio smonta l’orologio per capire come funziona il tempo, Feldmann raccoglie immagini per sezionarle e carpire i meccanismi della visione.

In un’intervista realizzata per il Louisiana Art Museum di Copenhagen l’artista ha paragonato la sua ossessione per le immagini a un meccanismo simile a quello della febbre: come l’alzarsi della temperatura uccide i virus, così l’esporsi ripetuto e parossistico alle immagini ha un effetto catartico, liberatorio. Del resto secondo lui “Tutti siamo artisti, io di più, perché ho più problemi”.
Feldmann dice di non essere artista, ma è considerato un maestro dell’arte concettuale. Ed è sicuramente un personaggio. Nato a Hilden, Germania il 17 gennaio del 1941, ha rinunciato alla laurea in chimica il giorno dell’esame finale. Düsseldorf, l’incredibile città della Kunstakademie, in cui Joseph Beuys insegnava scultura monumentale, è la sua città da sempre . Qui ha di fatto vissuto a lungo del negozio che aveva aperto con la moglie: una Wunderkammer di oggetti trovati al limite tra kitsch, arte e sublime, che egli sceglieva accuratamente. Il negozio, Laden 1975–2015, è stato musealizzato ed esposto al Lenbachhaus di Monaco, nel 2020 nella mostra ”I’m a Believer. Pop-Art und Gegenwartskunst”. Naturalmente sorge la domanda: dove finisce il negozio e dove inizia il museo? Per una possibile risposta — o solo nuove domande- basta guardare a quanto avvenne quando Feldmann ricevette il prestigioso Hugo Boss Prize nel 2010: egli utilizzò l’intera cifra assegnatagli, ben 100mila dollari, per creare la scultura da esporre nella mostra, anche questa parte del premio, presso il Guggenheim di New York. Un’enorme installazione composta letteralmente da banconote da un dollaro, una ad una, fino ad arrivare a centomila. Quale sarà il suo valore e quale il suo prezzo?

Per quanto incredibile — o forse arrivati a questo punto no- Feldmann ha anche attivato un fiorente commercio con un servizio di ordini postali per collezionisti di ditali da cucito. Non abbiamo dubbi che il suo sguardo pungente sia entrato per sempre nelle crune delle visioni contemporanee. Tanti auguri maestro!

*Denys Riout, L’arte del ventesimo secolo, Piccola Biblioteca Einaudi, p. 279

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Caterina Longo
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Amo l’arte, i(l) boschi, le immagini e le storie che fanno dei giri immensi e poi ritornano.