Atterraggio su quattro ruote.

Annalisa Benaglia
Viaggiatori d’Occidente 2023
4 min readApr 15, 2023

In viaggio per New York attraverso la provincia americana

“Gentili passeggeri, siamo spiacenti di dovervi annunciare che, a causa delle avverse condizioni climatiche, tutti i voli in partenza per New York sono stati cancellati”.

Stiamo atterrando all’aeroporto di Montreal quando nella cabina risuonano queste parole. Paura: l’atterraggio è rocambolesco, a causa della tempesta invernale. Poi, rabbia: mi dirigo al banco di Air Canada, intenzionata a salire sul primo aereo che decollerà per New York. Sennonché, l’addetta, con fare a dir poco insolente, mi risponde candidamente che il primo volo disponibile sarà solo dopo quattro giorni… “Che problema c’è? Montreal è una città molto carina che potrà visitare in tutta tranquillità”.

Montreal la vedrò un’altra volta. E pazienza se è la citta francofona più grande del mondo dopo Parigi. Infatti decido di non farmi sopraffare dagli eventi e di prendere l’ultima auto a noleggio disponibile nell’intera città. Destinazione New York City dunque, con l’incognita delle condizioni delle strade; i media riportano, con toni sempre più catastrofici, che migliaia di americani sono rimasti senza elettricità e che le temperature sono scese di gran lunga sotto lo zero.

Dopo avere trascorso la notte in un anonimo Holiday Inn nei pressi dell’aeroporto, inizia l’avventura. Sferzata da un vento gelido paralizzante, in men che non si dica, mi trovo in aperta campagna. L’atmosfera è ovattata per l’impressionante coltre di neve che copre il tutto. Il paesaggio è vuoto, appiattito e desolato: un orizzonte in cui cielo e terra non si distinguono nemmeno più a causa del bianco accecante, rendendo tutto sfumato e indecifrabile.

Mentre procedo a passo lento a causa del ghiaccio che si è formato sulle strade, mi vengono in mente alcune scene del film Fargo, dei fratelli Coen, in cui un’agente di polizia si trova alle prese con alcuni omicidi che sconvolgono la vita di una placida cittadina della profonda provincia americana. Scaccio questa leggera inquietudine guidando. Il paesaggio appare deserto e glaciale; l’unico elemento di rottura è rappresentato dai vividi colori della bandiera che svetta pressoché su ogni casa. Altro comune denominatore è l’ordine, ripetitivo e quasi maniacale, delle abitazioni, con le loro facciate tinteggiate di fresco, i vialetti di accesso perfettamente puliti, le cataste di legno ordinate, gli ingombranti pick-up parcheggiati. Ritrovo quella stessa atmosfera da provincia americana quando giungo alla frontiera tra Canada e USA dove un poliziotto, minaccioso e goffo nello stesso tempo, mi invita, senza troppi convenevoli, a consegnare le chiavi dell’auto e ad entrare velocemente nell’ufficio. Convinta di dover sbrigare solo pratiche burocratiche di routine, vengo, invece, sottoposta ad un vero e proprio interrogatorio durante il quale mi vengono rivolte domande assurde: “Per quale motivo vuole entrare negli USA? Perché viaggia in auto?”

In qualche modo esco indenne dai controlli e solo in quel momento mi rendo conto della stranezza della mia situazione: è il 25 dicembre, il giorno di Natale! Mi assale un leggero senso di sconforto al pensiero di essermi ribellata ai riti delle festività ed accetto, quindi, come giusta punizione, il pranzo in una mediocre area di ristoro appena fuori dall’autostrada. Mi accoglie una cameriera rubiconda con divisa rosa e grembiulino bianco, visibilmente seccata per il fatto di essere al lavoro proprio quel giorno. Mi offre, con fare svogliato, un burroso muffin al cioccolato (che digerirò dopo circa una settimana) e una coca cola d’annata. Del resto, questi sono gli alimenti più sani sugli scaffali di questa rivendita, oltre ad un caffè americano che più lungo non si può.

Piano piano lo sconforto si attenua e trovo i primi motivi d’interesse. Per esempio, questa strada dall’apparenza anonima ha visto susseguirsi importanti battaglie che hanno forgiato la storia degli Stati Uniti e del Canada. In corrispondenza del Lake George, si narra di un duro assedio dei francesi aiutati dagli indiani, e concluso con un vero e proprio massacro di inglesi. Viaggio dentro a un libro della mia infanzia: l’epico romanzo di James Fenimore Cooper “L’ultimo dei Mohicani”. Proseguo il mio viaggio e giungo nella zona degli Adirondack, catena montuosa che fa parte degli Appalachi. Dalla storia passo allo sport: Lake Placide ha ospitato i giochi olimpici invernali del 1932 e del 1980; scorgo a distanza i trampolini per il salto. Questi spazi sconfinati cominciano piacermi e medito di tornarci d’estate: m’immagino già con la mia tenda nel bosco.

Di scoperta in scoperta il viaggio lungo s’è fatto breve. Quasi con sorpresa scorgo a distanza Albany, la capitale dello Stato di New York. Per la sua posizione sul fiume Hudson è stata considerata nel tempo un punto strategico per i commerci ma i miei interessi sono di altra natura e tiro dritto. Improvvisamente, il traffico si intensifica e le strade si moltiplicano, fino a formare una ragnatela d’asfalto. Arrivo finalmente nella Grande Mela.

Attraverso, come in una tipica parata americana, tutta la metropoli da nord, dal Bronx: un tempo malfamato, oggi ha un aspetto decisamente migliore. Arrivo a Brooklyn con le sue caratteristiche Brownstones, le case di mattoni rossi.

Mi scorrono davanti i punti di riferimento classici della città: Central Park, Times Square, la 5th Avenue, Grand Central Station. Percorro anche i quartieri più residenziali ed a misura d’uomo che mi piacciono tanto, quali il Greenwich Village con le sue strade alberate, la stilosa Soho e la cinematografica Tribeca. Sono alla fine di un viaggio e all’inizio di un altro. Lascio quasi con dispiacere la mia auto all’aeroporto JFK. Nei prossimi giorni visiterò New York ma negli anni a venire mi capiterà spesso di ripensare a quello strano viaggio in auto tra campi innevati.

--

--