Bassano tra alpini, libri ed asparagi

Anna Maria Torriglia
Viaggiatori d’Occidente 2023
6 min readApr 12, 2023
Il Monte Grappa visto dal Ponte degli Alpini

Diceva Derrida che la parte più interessante di un testo si trova nelle note a piè di pagina. E’ nella semioscurità del margine che si svelano passaggi dimenticati e itinerari inconsueti. Mi chiedo se il segreto secondo cui l’identità — personale e collettiva — si declina, si possa indagare in questa zona chiaroscurale, talvolta poco esplorata. Alla ricerca di una qualche specificità veneta, decido di cercarla in provincia.

Ne seguo le tracce a Bassano del Grappa, cittadina ai piedi dei monti teatro della Grande Guerra, attraversata dal fiume Brenta, un’arteria intensamente solcata, ai tempi della Serenissima, da barche e burchielli che da Venezia arrivavano in contado. Càpito in un giorno di mercato e vengo assalita da un incessante cicaleccio. I banchi si snodano come un serpentone per tutta la cittadina: dai vicoli in basso alle piazze centrali in alto. Merce di tutti i tipi: frutta e verdura, tra cui il pregiatissimo asparago bianco di Bassano, carciofi, erbette. Poi le tende da interno: ce ne sono di molto belle, macramè, organza e quant’altro. Alcuni banchi di scarpe mostrano calzature di marca e un banchetto monotematico vende solo piumini di qualità. Non mancano espositori più modesti, con merce economica. Uno, di lingerie, promuove mutande ascellari come supersexy, all’invidiabile prezzo di 1,5 euro al paio. E dappertutto risuona il dialetto veneto, qui lingua nazionale, rigorosamente ostile alle doppie e refrattario alle gutturali.

L’asparago bianco di Bassano, orgoglio cittadino

Al termine del mercato mi imbatto nella Libreria Palazzo Roberti. Ha sede su tre piani in un palazzo nobiliare e l’interno seicentesco è arredato con massicci scaffali di legno. Offre una ricca esposizione, curata per case editrici, generi, autori. Presenta anche un’ampia sezione dedicata ai bambini, che arrivano qui a scolaresche intere e ai giovani adolescenti, attratti dai Manga e dalle graphic novels. Chiedo a Vittorio Campana, autodefinitosi “spacciatore di libri”, come possa una libreria così ricca e varia, trovarsi in una cittadina di 43.000 anime.

La libreria Palazzo Roberti, ospitata in un edifico seicentesco

“In effetti la nostra è una realtà quasi unica di libreria indipendente — mi risponde con un certo orgoglio — avviata ormai 25 anni fa. Nel 1998 il signor Manfrotto, padre delle attuali proprietarie, acquistò lo stabile e ne fece una libreria. Da allora ci siamo sempre impegnati per essere una realtà culturale viva e dinamica al servizio del territorio e dei nostri utenti.”

L’entusiasmo per la cultura lo si respira a pelle ed è contagioso. Lo si vede dalla passione con cui i titoli vengono selezionati e proposti. In un apposito scaffale troneggiano i testi di due case editrici, che vengono scelte con cura ogni mese. Ad aprile sarà il turno di Sette Colori, che pubblica autori dimenticati dell’800 e di Edicola, specializzato in scrittori sudamericani. E’ evidente l’attenzione a quelle piccole realtà editoriali, a quel “margine” che farebbe contento Derrida.

Lo “spacciatore di libri” Vittorio Campana, pronto a soddisfare i lettori più esigenti

La libreria serve tutto il circondario, nel raggio di una trentina di chilometri. A giugno organizza un festival estivo gratuito: incontri con gli autori, disseminati per strade e piazze della città. La rassegna si intitola Resistere, dal motto che la libreria stessa si è data.

Congedandomi, faccio a Vittorio una domanda ineludibile da queste parti. Gli chiedo cosa rappresentino gli alpini per Bassano: “Tutto” è l’immediata risposta. Una risposta che sentirò esattamente uguale, ripetuta come un mantra, ogniqualvolta la riproporrò.

Bassano è medaglia d’oro per la Resistenza. Il 26 settembre del ’44, 31 partigiani vennero impiccati agli alberi del Viale che oggi si chiama Viale dei Martiri. E i morti della seconda Guerra Mondiale, si aggiungono a quelli della prima. Nella vicina pasticceria Dolci Bassano, chiedo alla proprietaria se l’eredità della Grande Guerra sia oggi ancora sentita. Lei mi risponde senza esitazione: “Certo. Mio nonno era un ragazzo del ’99. Sono cresciuta con la sua foto sulla credenza di casa. Ogni famiglia, qui e nei dintorni, ha qualche parente morto o ferito nella Grande Guerra. La memoria è incisa nella genealogia, distillata nelle storie familiari: non possiamo e non vogliamo dimenticare. Qui abbiamo insegnanti sensibili e i ragazzi delle scuole superiori visitano le trincee. I miei figli ci hanno anche dormito.”

Ogni albero porta il nome del partigiano caduto nel ’44

Percorro il Viale dei Martiri. Ogni albero ha la foto del partigiano che vi è stato impiccato. Di fronte a me si erge, imponente, il Monte Grappa, e, sotto c’è il Parco Ragazzi del ’99. Arrivo al famoso ponte progettato da Palladio, ora monumento nazionale, che fu fatto saltare proprio dai partigiani nel ’45, per bloccare i tedeschi. Al termine c’è la Taverna degli Alpini e, nelle stanze interrate, l’omonimo museo. Mentre mangio un piatto di sarde in saor, in alternativa ai taglieri di formaggi e salumi, e bevo un bicchiere di prosecco, il gestore mi si siede accanto per raccontarmi qualcosa.

“Cosa rappresentano gli alpini per Bassano?” gli chiedo

“Cosa rappresentano gli alpini per Bassano?” ripete quasi gli avessi fatto una domanda del tutto superflua. “Tutto, ciò, tutto.” Raccontando, si infervora “Qui abbiamo 10.000 iscritti: la sezione non capoluogo di provincia più numerosa d’Italia. Sebastiano Favero, il Presidente nazionale che si avvia a ricoprire il quarto mandato, viene da un paese qui vicino.”

“E quali sono i valori dell’alpino di oggi?”

“Servizio, sempre — mi risponde come se la mia fosse una domanda dalla risposta più che ovvia — servizio per qualsiasi richiesta. Gli alpini raccolgono cibo nei supermercati, medicine. Sono pronti a dare una mano nelle emergenze. Costruiscono asili in Africa. Anche il ponte qui, l’hanno ricostruito loro e non hanno messo solo la manodopera, ma anche i soldi.”

Chiedo di visitare le stanze del museo. Sulle note del Capitan della Compagnia, guardo vetrine che esibiscono oggetti vari: gamelle, granate, maschere antigas, ghette. E’ chiaro che la parte del leone la fa la guerra ’15-’18, ma ci sono anche reperti e fotografie della Russia, dell’Eritrea , della Libia. C’è una linea arretrata ricostruita con manichini a grandezza naturale, scrivania da campo e oggetti vari; si vede un plastico del sistema trincerato. Impossibile non farsi prendere da una qualche emozione, al pensiero dell’incredibile sofferenza, fisica e psicologica, affrontata da ragazzi imbevuti di ideali patriottici e mandati al macello senza tanti scrupoli. All’uscita confesso il mio stato d’animo alla cuoca. Ha gli occhi lucidi. Le chiedo se è commossa e mi dice che il padre di suo nonno, quando è tornato, a 35 anni, non ha più parlato.

La Grande Guerra la si respira anche nel Tempio Ossario all’ingresso della città, dove sono seppelliti seimila soldati e poi, seguendo il Brenta, alla villa Ca’ Erizzo Luca, dove soggiornò Ernest Hemingway, a cui sono dedicati numerosi pannelli fotografici. Che portano, in quest’austero patriottismo, una nota leggera di swing e di modernità.

Il Brenta. Seguendolo per il sentiero che lo costeggia si arriva a Ca’ Erizzo Luca

Così, su questi colli di una rara bellezza, disposti a raggiera ai piedi del Grappa, capisco che la memoria non è qualcosa che si possa mantener viva con giornate ad hoc. Sì certo, servono anche quelle, ma il ricordo nasce da quelle foto in divisa appoggiate sulla credenza della nonna, dalle medaglie al valore; dal cappello con la piuma di corvo appeso sopra la porta.

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