Fantasmi, morti, santi e risorti a Monteverde

Michele Bononi
Viaggiatori d’Occidente 2023
6 min readApr 12, 2023
Villa Pamphili and, on background, Monteverde’s ights.

Vedere i fantasmi è già una stranezza,

se poi ti piacciono è ancora peggio.

E se addirittura li trovi rassicuranti è la fine,

eppure quando vedevo i suoi tratti così delicati,

il corpo minuto, mi dicevo che vivere, come morire e

come tutto il resto, non poteva essere poi così male.

Questo pensavo ogni mattina,

mentre intorno a me la città si svegliava.

E non c’era poi una grande differenza

se a trasmettermi quelle sensazioni

era una persona viva o morta.

Chi era, perché era lì?

Sono le 8.30 di sabato mattina e il parco giochi davanti a me è tanto affascinante quanto un luna park abbandonato a Chernobyl.

Una leggera nebbiolina si alza dall’asfalto e le nuvole grigie e gonfie non promettono bene. A una settimana dall’inizio della primavera, a Roma, non me lo aspettavo.

L’atmosfera lugubre non mi intimorisce affatto. Anzi, è la cornice perfetta per la passeggiata di oggi, “Fantasmi, morti, santi e risorti a Monteverde”.

Sfoglio l’elenco dei ragazzi che hanno aderito e vedo il nome di Raffaele, 1a media. Mi accendo: qualche giorno fa Raffaele mi ha confessato, nell’ordine: di credere ai fantasmi; di vedere i morti della sua famiglia e di parlarci pure; di avere una paura tremenda della passeggiata perché non voleva incontrare altri fantasmi. Io mi sono subito calato nel ruolo di prof-esorcista e — imponendogli la destra sul capo — gli ho naturalmente promesso che non avrebbe incontrato alcun ectoplasma e che, nel caso — lo avrei protetto.

«Vedrai, alla fine del cammino non avrai più paura.»

Alzo la testa e dall’angolo della piazza vedo avvicinarsi una sagoma verde scuro. Alza le mani, come in segno di resa. È Matteo. Strano. Non è mai venuto, né era iscritto per oggi. «M’hanno costretto, prof. Io non ci volevo venire, non mi sveglio mai così presto di sabato! Le pare? Ma Raffa mi ha stressato ed eccomi. A proposito, dov’è?». In pochi minuti arrivano Raffaele e anche tutti gli altri con qualche genitore.

«Prof, Martino non è venuto, che aveva mal di gola — mi annuncia una mamma — però visto che aveva aderito son venuta io, va bene?»

Io la guardo nella sua tuta adidas e con le scarpe da trekking, allargo le braccia e metto su un sorriso tirato: «Certo! Che problema è?»

Poi mi giro e «Giulio! Lorenzo, che fate con quella palla?»

Ma Lorenzo alle 14 ha la partita con la squadra, che gli si può dire?

Partiamo. La colonna si muove lenta e assonnata. Cicaleccio delle mamme, piedi strascicati dei ragazzi.

«La sa la strada, prof.?» insinua Clotilde.

Io non colgo la provocazione e le affido le fotocopie con l’itinerario che seguiremo e qualche didascalia sui misteri del quartiere.

«Oggi parliamo dei fantasmi che abitano a Monteverde. Ne vedremo delle belle, ma state tranquilli: ho portato con me l’aglio per tenerli tutti lontani da noi!» e mostro ai giovani due teste del prezioso talismano. I loro sguardi sono la personificazione del disgusto. Metto via il bulbo e si riassestano.

In via di San Calepodio troviamo palazzi anni 50, qualche villino con edera e glicini. Oggi i sampietrini brillano per le goccioline di pioggia che lievitano nell’aria.

Qui abita il fantasma di Luca de Marchettis, un marchese che adescava giovani nobildonne romane — pare fosse un gran ballerino — per poi trucidarle nella sua villa. Si getterà da una finestra della sua dimora, pensando di essere indemoniato. Oggi ogni tanto si sente la sua voce per la strada che urla «Tornerò!»

Raffaele si nasconde sotto la giacca di Matteo, che sbadiglia a piene mascelle. Mi affretto a dire che si tratta di una bufala dei monteverdini, invidiosi di non poter dare i natali ad un fantasma “storico” e blasonato come accade in altri quartieri della città. Mormorii, Matteo si divincola da Raffaele. Le madri continuano a cinguettare e si indicano palazzi e appartamenti delle amiche.

«Che storia fascinosa» prova a esordire una di loro. Ma siamo già ripartiti in salita alla volta della Basilica di san Pancrazio.

«Avete fatto i compiti per Lunedì, ragazzi?»

Sguardi trasognati. Compiti? C’erano compiti? Ma oggi è sabato, c’è tempo! I ragazzi confabulano e borbottano indispettiti dalla domanda, sotto lo sguardo giudicante delle madri.

«No, tranquilli. Ve lo chiedo perchè il santo che abita in questa basilica punisce i bugiardi. A volte li fa svenire, altre volte li ammazza sul colpo quando si presentano dentro la chiesa!»

«Prof andiamo, non è cosa per noi, questa!» suggerisce Clotilde svicolando oltre il cancello del V secolo d.C.

Prendiamo allora l’ingresso di villa Pamphili. Giulio e Lorenzo approfittano subito del bel prato umido per tirare due calci al pallone. Gli altri si accodano alla ridda e mi lasciano solo, in balia delle loro madri: mettono alla prova la mia erudizione ma soprattutto la mia pazienza.

Qualche goccia cade dalle cime dei pini marittimi, un merlo nero fischia e tra un calcio e un richiamo all’ordine ci ritroviamo davanti al ristorante Scarpone.

«I proprietari del palazzo, che è un villino di primo ‘800, nel secondo dopoguerra si danno alle sedute spiritiche. Pensate a quanti son passati di qui: qui garibaldini, francesi, anticlericali e filo papali. Poi i nazisti, gli ebrei…» faccio un cenno a Giulio che nasconde la palla dietro la schiena.

«Pare che i proprietari attuali qualche anno fa abbiano addirittura chiamato degli esperti del paranormale per verificare la causa di rumori e fatti inspiegabili. Comunque da 60 anni l’ala del palazzo che stiamo guardando è abbandonata.» concludo, ma Raffaele si è già defilato con Matteo e Lorenzo.

Patrizio si avvicina, il braccio sulle mie spalle; mi ringrazia della bella giornata che stiamo passando: «Prof, posso dirle una cosa?», ma continua subito: «Vede quella finestra là? Sulla sinistra, l’ultima della fila?»

Annuisco.

«Ho visto qualcuno» la voce di Patrizio, estatica, mi raggela. Gli adulti della comitiva sono dal parapetto della villa, scrutiamo il palazzotto giallo alla ricerca di indizi e chiediamo compulsivamente a Patrizio in che punto ha visto le “ombre”. Poi arriva alle nostre spalle Clotilde e ci riporta alla realtà:«Prof, ho fame. Quando facciamo merenda?»

Al bar del Gianicolo cappuccini e cornetti — ma anche panini al salame, alla porchetta e diversi muffin, oltre a salutari centrifughe– riscuotono gli animi e riportano tutti nel mondo saporito dei vivi. Le chiacchiere esorcizzano sicuramente la paura degli spettri. La mamma di Raffaele distribuisce patatine e salatini al figlio e a Matteo, ancora mezzo addormentato nonostante sia uscito anche il sole. I calciatori riempiono il serbatoio per la partita imminente. Clotilde tiene banco con i pettegolezzi che arrivano dalla chat di classe. È tempo di ripartire per l’ultimo fantasma.

Davanti alla chiesa di san Pietro in Montorio la storia di Beatrice Cenci, parricida e per questo decapitata a Castel Sant’Angelo davanti a una folla di romani curiosi e sgomenti, commuove tutti. Malediciamo il rinascimento e le sue leggi barbare ed ingiuste che non avevano saputo difendere Beatrice dalle angherie del padre. Poi, infervorato dalla critica ai tempi passati, racconto che durante l’assedio alla Repubblica Romana due fanti francesi trovano il teschio di Beatrice Cenci e ci si mettono a giocare a calcio. Al culmine della tensione, mi interrompo qualche istante: sono tutti sospesi nella mia affabulazione. Allora d’un fiato annuncio che i calciatori improvvisati raggiungono l’aldilà il giorno dopo la loro nefanda partita.

Clotilde urla di terrore, dietro di lei Raffaele e Matteo, poi le mamme.

Abbasso lo sguardo e qualcosa rotola tra i miei piedi e urlo pure io.

«Scusi prof! Scusi! Mi è sfuggita la palla!»

Raffaele si è rifugiato in lacrime sotto la giacca di mamma, Matteo si tiene il cuore e Clotilde si appoggia al lampione.

Vorrei voltarmi torvo verso Lorenzo, ma quando mi giro è così mortificato che mi viene pure da consolarlo. «Dai, fa niente. Abbiamo finito. Inizia ad andare che fai tardi alla partita».

Ci salutiamo.

Il sole ormai è alto, il panorama del centro storico di Roma mi riconcilia col mondo del soprannaturale. Sto rileggendo una citazione da Banana Yoshimoto che avrei voluto leggere, me l’ero tenuta per Raffaele e la sua paura. La ripongo in tasca e scendo dal parapetto, diretto verso casa.

Ma davanti a me c’è proprio Raffaele, gli occhi ancora arrossati e il naso che cola.

«Prof, ma quand’è la prossima passeggiata?»

Non ha importanza che ci siano o no i fantasmi,

che li si veda o no, che siano vivi o morti.

È tutta un’illusione.

Quel che c’è è lì di sicuro.

Sono gli esseri umani a vedere solo ciò che vogliono vedere.

Basta sbilanciarsi un attimo per vedere tutto il resto.

È perché vogliamo che il mondo risponda alle nostre aspettative

che non ci rendiamo conto di essere tutti uguali,

concittadini capaci del medesimo amore.

(Banana Yoshimoto, Il dolce domani)

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Michele Bononi
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