L’abbraccio dei giganti

Mariapaola De Santis
Viaggiatori d’Occidente 2023
4 min readApr 11, 2023

In viaggio fra Pietrapertosa e Castelmezzano

Nella camera più bella della Casa di Penelope e Cirene il pianoforte convive con una finestra che si immerge nel verde smeraldo della vegetazione appena bagnata di pioggia. Non ha persiane e, per la verità, neppure una tenda. Una scelta di Teresa: «Sarebbe un peccato aprire gli occhi al mattino senza guardare fuori». Eccole lì, le dolomiti lucane, l’arenaria grigia plasmata in gole di roccia e guglie segnate dalle simmetrie del vento e dall’inesorabile scorrere del tempo. Si affacciano lungo la strada che percorriamo in auto per arrivare a Pietrapertosa. Il borgo lucano è noto per il Volo dell’Angelo che lo collega a Castelmezzano: i film, negli anni, li hanno resi famosi, infarcendo di stereotipi l’immaginario di chi non c’è mai stato. Teresa che mi accoglie e mi accompagna in giro, non accetta l’idea distorta di un paese di montanari fuori dal mondo. Una come lei che ha sfidato lo scetticismo aprendo il suo b&b, nel 2000, dove albergano i ricordi di famiglia assieme a pezzi di arte contemporanea, che ama la musica, la fotografia e i viaggi, non ci sta a vedere ridotto il suo borgo a cartolina di altri tempi di cui fanno parte le donne con il fazzoletto nero sulla testa. La capisco. Rincorriamo scatti fotografici ad effetto e “vedute mozzafiato” care all’immaginario turistico.

Ho intrapreso questo viaggio cercando di cogliere il silenzio di una valle, la tenacia delle radici, l’umanità palpitante dei luoghi, di chi li abita e di chi li ha abitati. Pietrapertosa è l’abitato lucano più vicino al cielo, a 1080 metri di altitudine. In questa fortezza di speroni ed arenaria emersa, il castello troneggia sulla sommità delle dolomiti lucane. Ai suoi piedi c’è la Rabata o Arabata, risalente al IX secolo, il rione più antico del borgo, testimonianza della dominazione saracena. Le abitazioni sono adagiate alla roccia, quasi a volersi accontentare di un pertugio, separate da strade strette e con una scalinata d’accesso. Il quartiere settecentesco, invece è nella parte sottostante. Gli angoli in bianco e nero di Pietrapertosa sono anche tra gli albi della fotografia umanista di Henry Cartier Bresson. Le scalelle, vicoli e gradinate, connettono i diversi livelli dell’abitato in una sintonia viscerale fra comunità e paesaggio che sembra manifestarsi nelle fantasiose forme delle rocce: un’incudine, un soldato, due gemelle. In via dei Portali, il fascino delle suggestioni è sugli edifici nobiliari con mascheroni in ferro battuto per legare gli animali al portone di casa ma anche per scacciare il malocchio. Il Percorso delle sette pietre anticamente era la via per andare a scuola da Castelmezzano a Pietrapertosa.

Sette installazioni rimandano ai racconti della tradizione, trasmessi da generazioni, su cui si fonda il romanzo Vito ballava con le streghe di Mimmo Sammartino. Un profumo di ginestre si diffonde da una orgogliosa vegetazione alle porte dell’estate in cui i riti arborei sono gioiose feste popolari che accompagnano il ritmo delle stagioni. U’ Masc’, il Mascio, oggi è canto di mani, di buoi e di fatica celebrato in onore di Sant’Antonio da Padova. A Pietrapertosa coesistono affreschi e cappelle gentilizie, accenni di nobiltà e cultura contadina, accenti eruditi e raccolti dei monaci. Il convento francescano risalente al XVI secolo sui resti di una fortezza romana, riaperto nel 2021 dopo 40 anni di chiusura, racchiude il respiro tardo rinascimentale delle maestranze locali nella chiesa di San Francesco: una devozione alla bellezza della scuola umbro- marchigiana. Il silenzio è interrotto dal miagolare di un gatto e poi dai rintocchi delle campane. Di sera le luci rossastre illuminano gli usci delle case e punteggiano il paesaggio. I bambini che rincorrono il pallone e le donne fuori dagli usci sono parte di un percorso che rinnega le nostre abitudini. È la nostalgia di un tempo che vorremmo ci appartenesse ed invece non ci è mai appartenuto.

Al mattino presto i muggiti nella valle sottostante ci attendono insieme ad una nuova tappa. Poco più di 10 km di strade tortuose dividono Pietrapertosa da Castelmezzano. Piazza Emilio Caizzo è una balconata fiorita sulle dolomiti lucane e sul paese vecchio.

Dopo aver rovistato in un negozietto fra le conserve al peperone crusco e le confetture di fragola candonga, mi soffermo in una viuzza semideserta, con i portoncini in legno verde scrostato, dove si legge la storia di Giuseppe Calvello, detto “Ferramosca”. Personaggio controverso, amico della povera gente ma anche donnaiolo e imbroglione, “Zio Giuseppe”, agli inizi del ‘900, fu uno dei maghi contadini più famosi della Basilicata. I tetti irregolari delle case aguzzi e squadrati spiccano fra le tonalità giallastre e bianche della pietra.

Ogni palazzo nobiliare ha la sua storia con tracce dei Cavalieri Templari che tra queste fortezze naturali ospitarono cavalieri e pellegrini in viaggio verso Gerusalemme. Su un album fotografico regalato da Teresa c’è scritto che i luoghi sono destini. Ogni luogo si rivela, mostra il proprio senso, quello a cui apparteniamo o semplicemente la concretezza del mondo.

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