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HIKIKOMORI BOOMER

I diecimila passi al giorno sono una leggenda sopravvalutata.

Per fortuna lo dicono finalmente studi: anche nel camminare la sostanza è la costanza, non la quantità. Basta organizzarsi.

Certo, in cinquantadue metri quadrati uso promiscuo casa-lavoro, l’allenamento mentale è alla base, a prescindere dalle situazioni. E la “situa” del freelance imbruttito sembra già claustro di suo, ti mandano cocktail pronti in busta col rider per gli implacabili allegri incontri su Zoom… Dilettanti, i professionisti hanno il gin in frigo.

Quindi non è successo niente.

Devi solo imparare a muoverti stando ferma.

La base del metodo è ventidue per sei. Variabili: più cinque o più diciotto.

Ventidue gradini per sei piani cioè centotrentadue gradini, per scendere e per salire quindi duecentosessantaquattro (anche se quelli in su dovrebbero valere di più, soprattutto dal quarto piano).

Son dieci di più — duecentosettantaquattro — con la rampetta da cinque del portone se si esce. O trentasei (diciotto più diciotto) per arrivare al locale spazzatura: cosa che dà una soddisfazione tonda, perché la cifra finale è trecento.

Quindi semplicemente differenziando la consegna della differenziata ecco trecento tosti e inizialmente sfidanti gradini al giorno — che un upgrade del metodo ha portato presto a cinquecentoventotto: perché il ritiro della posta comporta un raddoppio mica male (speriamo di non smettere mai, cosce e glutei ringraziano).

Il graduale incalzare dei corrieri porta a un ulteriore passaggio di livello: perché per carità, per solidarietà ti fiondi giù con l’ascensore, ma poi ecco i cinque più cinque più centotrentadue, e insomma son giornate in cui puoi gratificarti con un dolcetto, da addentare o bere, come punge vaghezza.

Il livello pro arriva quando capisci che monitorando il delivery serale con la app puoi calcolare i tempi per scendere a piedi a ritirare: centrotrentasette gradini (evvai!) e se è sushi non si fredda e puoi fare bingo, arrancando anche lentissimamente in su per altrettanti.

Un tempo l’avrei trovata una perdita di tempo.

Un tempo non avevo tempo.

In realtà è più complessa la questione del camminare: non potendo uscire tutti i giorni, bisogna abituarsi a organizzare i percorsi — anche mentali.

Sul fronte esterno diventa strategico pianificare le centellinate uscite per procacciarsi cibo e sole. Mai la definizione “punti vendita” usata nel marketing suonò più appropriata: una astuta mappa dei supermercati consente di fare blitz o giri laschi unendo punti successivi, camminando innocentemente lungo un percorso variabile.

I miei due obiettivi principali sono uno a settecento metri l’altro a un chilometro, distanti fra loro un chilometro: andando prima a quello sempre pieno, coi vincoli della fila ho l’alibi per spingermi fino a quello tranquillo. E alla fine, cazzeggiando all’interno, mi porto a casa con una minima spesa un triangolo di tre chilometri, cioè cinquemila rispettabilissimi passi.

Anche qui c’è un livello pro.

Se svolto per l’edicola (meta indenne e benedetta), l’uscita quotidiana diventa un quadrato e aggiungo settecentocinquanta metri o milleduecentocinquanta passi per due, andata e ritorno: così l’ora d’aria consente quattro chilometri e mezzo, cioè settemilacinquecento passi.

Le circostanze incidono sulla salute in modi inaspettati.

Certo: tutti i giorni non si può. Quindi si rende necessario un affinamento sul fronte interno.

Per i tapis-roulant pieghevoli improvvisamente c’è la lista d’attesa.

Intanto, posso ottimizzare i gesti al contrario: aumentandoli, estendendoli. Pratica e meditazione.

Perché portare tutto in tavola in un colpo solo? No: distanza cucina-tavolo della sala con un piatto, dodici passi e ritorno (se smetti di mangiare “apparecchiata”, è la fine). Tavolo-armadio per la tovaglia: nove, armadio-tavolo-mettila giù altri nove, tavolo-cucina per le posate e ritorno, altro giro per il bicchiere, e poi l’insalata, e poi… Facile arrivare a cent’ottantaquattro, che sono almeno cento utili metri.

E poi devi sparecchiare.

E poi replichi il principio a tutto.

Per dire.

In anni rosei scelsi pavimenti da esterni, era destino scavar solchi nella monocottura grigia?

Un tempo mi sarei sentita perduta.

Un tempo ero persa.

Un tempo non avevo il mio tempo.

… Deve essere successo qualcosa.

Finalmente c’è silenzio.

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