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Accetto l’ invito di Antonella, una saurana doc conosciuta alcuni anni fa. Non sono mai stata a Sauris di Sopra, i suoi 1300 metri di altitudine sono già troppi per me. Andrò coi mezzi pubblici. Come sempre in Italia il trasporto locale ha sigle impronunciabili e misteriose: SAF, FVG ecc. Mi salva la app TPLFVG (un’altra sigla, e che sigla!) che tiene assieme questo mondo di autobus di linea.

Partenza: Udine. Arrivo: Sauris. Il viaggio, circa 120 km, dura oltre tre ore, con tre cambi. Acquisto il biglietto online, un QR code è il mio titolo di viaggio. Tutto smaterializzato. In compenso l’autostazione di Udine è anche troppo materiale, un edificio degli anni Settanta, un po’ malandato, se non fosse per l’illuminazione a terra super moderna che indica le banchine: un velo di trucco su un volto pieno di rughe. “Scusi da quale banchina parte la corriera per Tolmezzo?” chiedo ad un signore dall’aspetto di chi ne sa qualcosa. Con espressione stupita, risponde “Come sempre dalla banchina 12!” Come se dovessi conoscere a memoria le banchine di partenza! Mi siedo ad attendere nella sala d’aspetto.

È un breve viaggio a medio-lungo raggio: al mio fianco un gruppo di badanti probabilmente moldave o ucraine, il loro abbigliamento e le loro acconciature, ne tradiscono la provenienza, che si intrattengono nella loro lingua. Intenti a guardare il tabellone delle partenze un gruppo di immigrati con la pelle scura rigirano tra le mani il biglietto appena acquistato e dubbiosi cercano di individuare il bus che li porterà a destinazione. Dall’altra parte della sala, davanti al bancone del bar, studenti di tutte le età si affrettano ad acquistare qualcosa da mettere sotto i denti prima di iniziare la faticosa giornata.

Raggiungo la corriera, in realta è un bus doppio, un double decker se fossimo in UK. Salgo al primo piano, il posto panoramico davanti è il mio. Postazione ideale per una lezione di geografia del territorio. Davanti a me scorre prima la campagna coltivata, poi le colline moreniche e il castello di Colloredo di Montalbano, dove trovò ispirazione Ippolito Nievo : “Il Friuli è il compendio dell’universo”. Ecco ora il letto del fiume Tagliamento, il Tiliment, il nostro fiume, oltre 150 chilometri dalla sorgente alla foce, e tutti in terra friulana. L’arrivo a Tolmezzo è in perfetto orario. Cambio del mezzo. Qui l’autostazione è un vero porto di mare, persone che scendono e salgono da una corriera all’altra. È lo snodo principale di tutti i collegamenti della Carnia. Scendo, un’autista mi chiede dove devo andare e mi indica la banchina del bus per Ampezzo. Che gentilezza! Secondo lo stereotipo sarebbe merce rara in Carnia, ma oggi mi piace pensare che non sia un’eccezione. Proseguo il mio viaggio con una corriera ad un solo piano, le fermate non sono così importanti e i passeggeri scarseggiano.

Alla prima fermata, Villa Santina, scendono quasi tutti. Il bus ferma davanti all’ex Stazione Ferroviaria; dall’altro lato della strada c’è un albergo con le serrande abbassate, forse per chi giungeva in villeggiatura in un passato che sembra essere molto lontano. La corriera ferma in tutti i paesi, vedere dall’alto le loro piazze, entrare nell’intimità delle case da una postazione elevata è un privilegio. L’aspetto esteriore di tutti di questi luoghi si assomiglia: una fontana pubblica al centro, il municipio, la scuola. Molte sono le case chiuse. Chissà dove sono i proprietari… Morti o emigrati? Mi resta il dubbio.

Ampezzo è il capolinea di questa corsa, scendo al centro della piazza principale, ancora una fontana, poi una chiesa enorme circondata da casette variopinte: una nota di colore a spezzare la monotonia di un cielo spesso grigio. Nel bar del paese all’angolo ci sono pochi avventori, intenti a sorseggiare il loro bicchiere di vino; sono le undici, l’ora ideale per il “Tajut” ( il bicchiere di vino in friulano).

Ultima tratta. La corriera è piccola, intima e familiare, deve percorrere tredici chilometri di curve e gallerie. Salgono a bordo cinque persone, sembrano di casa, io sono l’unica “forestiera”. I passeggeri si contano sulla punta delle dita di una mano, ma seppure il numero sia esiguo la varietà dei personaggi è notevole. Un ragazzo, vent’anni o poco più, abbigliamento super di tendenza, capelli color viola, cuffiette nelle orecchie, saluta la signora più anziana del gruppo, che lo incalza con numerose domande. Le risposte evasive del giovane però non la soddisfano e allora la donna avvia una fitta conversazione a quattro con tutti gli altri passeggeri. Lei, la protagonista, sembra appena uscita dal salone di una parrucchiera ignara delle nuove tendenze della moda. Sfoggia infatti un’acconciatura in stile anni ’50, riccioli perfetti e composti, lacca abbondante. Al suo fianco un signore dall’aspetto giovanile, ma con diverse decine di anni alle spalle. Poi altre due signore, una mamma attempata e sua figlia. L’autista è molto loquace, conversa volentieri con i passeggeri, incurante del cartello ben evidente che in teoria lo vieterebbe. Argomento preferito i necrologi che appaiono sul giornale locale, il “Messaggero Veneto”, e la pandemia. Non riesco a comprendere tutto ciò che dicono perché la conversazione è multilingue: italiano, friulano e saurano, una lingua di origine germanica che si parla soltanto lì. Il tono della voce e le espressioni mi fanno capire che l’argomento ora sono i tempi moderni, anche perché di tanto in tanto fanno capolino termini in italiano: telefonino, internet… La lingua saurana non li contempla. La corriera percorre tre gallerie, piuttosto buie, ricavate nella roccia, ma il pubblico a bordo sembra indifferente, per abitudine. All’uscita dall’ultima galleria, la vista sul lago artificiale di Sauris, che ha inghiottito case e ha trascinato con sé la storia di chi vi abitava. Ancora pochi minuti e arrivo a destinazione. La fermata è nello storico Borgo di San Lorenzo. Ad attendermi le maschere: è Carnevale.

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