Montecristo, l’isola che c’è

Dalla costa lo sguardo la cerca sempre. Il suo profilo nella foschia è inconfondibile. Montecristo, severa e inaccessibile, la terra più lontana da qualsiasi altra terra del Tirreno, solitaria, selvaggia e disabitata, lontana e separata da tutto, misteriosa ed inspiegabile. Diversa da tutte le altre sei isole dell’Arcipelago toscano, “sembra la sorella inafferrabile, nata e cresciuta arcigna”. Montecristo, che esercita un richiamo irresistibile, che alimenta un desiderio divorante

Riserva naturale integrale dello Stato, oltre ad aver ricevuto riconoscimenti importanti dal Consiglio d’Europa e dall’UNESCO, Montecristo è accessibile ogni anno solo ad un numero limitato di persone. Per essere tra i (pochi) fortunati che riescono a visitarla si è disposti ad attendere mesi, a volte anni.

Quattro volte ho ricevuto l’autorizzazione alla visita, quattro volte è andata male, perché il mare, quel mare che abbraccia e difende Montecristo, mi ha respinto, tutto annullato, tutto rimandato, forse al prossimo anno, quattro delusioni, quattro bastonate (o forse quattro medaglie, complimenti, in una gara di sfortuna saresti in testa alla classifica…), toccare Montecristo con un dito e vedersela, sentirsela strappare dalle mani. Poi finalmente arriva il giorno giusto. Tempo bello, mare calmo e dopo quasi tre ore di navigazione, eccola. Montecristo non è più solo sogno, è roccia e terra, non è più un punto distante all’orizzonte ma verticalità, con le bianche pareti granitiche che si gettano in mare, promontori e creste aguzze. La motonave rallenta, fiancheggia pigramente l’isola ed entra a Cala Maestra, l’unico punto di approdo, riparato dal vento e dagli umori del mare, acqua turchese, la piccola banchina.

La visita dell’isola consiste in un’escursione su un percorso prestabilito, con l’accompagnamento di guide ambientali e sotto il controllo dei carabinieri forestali. Vietato muoversi in autonomia, vietata la fruizione della spiaggia e ça va sans dire, vietata la balneazione. I divieti non sono capricci o velleità: Montecristo, per il suo alto valore naturalistico e paesaggistico e per le eccezionali caratteristiche ambientali è sottoposta ad una tutela specialissima. L’isola è un ecosistema sensibile, delicato e prezioso, uno scrigno di biodiversità.

Montecristo è uno scoglio di granito, una vera e propria montagna in mezzo al mare. Qui domina la macchia mediterranea, eriche, cisto, rosmarino, maro, elicriso, una vegetazione tenace ma anche fragile, che si è conquistata con fatica la poca terra disponibile, che impiega anni ed anni a crescere, strapazzata dal vento e dalle maree. In alto tra le rocce, nella parte più severa dell’isola resistono alcuni esemplari di lecci secolari. Animale simbolo dell’isola è la capra selvatica, dalle grandi e maestose corna ricurve. Sull’isola nidificano il gabbiano corso e la berta minore, particolarmente sensibili al disturbo causato dalle attività antropiche, fragili e considerate a forte rischio di estinzione. Inoltre per la sua posizione Montecristo insieme alle altre isole dell’arcipelago rappresenta un luogo di sosta per molte specie migratorie. Nelle acque attorno all’isola, comprese nel santuario dei cetacei, sono frequenti gli avvistamenti di delfini, balenottere, balene e capodogli. Queste sono solo alcuni esempi della ricchezza e della varietà di flora e fauna che rendono Montecristo un ambiente unico. L’isola è tutt’oggi luogo di studio e ricerca. Vi si svolgono attività di monitoraggio delle specie marine e terrestri, di sorveglianza e controllo del territorio, di conservazione e ripristino di habitat, mirate all’eradicazione di specie aliene introdotte dall’uomo nel corso dei secoli e alla protezione di quelle autoctone.

Accanto a questo patrimonio naturale di grande valore esiste un patrimonio storico-culturale costituito dalla storia monastica-religiosa e dalle numerose vicende umane di cui l’isola è stata teatro. Il monastero i cui resti si vedono nella più bella (e faticosa) delle tre escursioni possibili, è uno dei pochi segni dell’uomo lasciati sull’isola al di fuori di Cala Maestra. Il sentiero ripido e impervio, guadagna quota rapidamente. Si sale tra titubanza e fiducia, in bilico lungo i liscioni, le placche di granito che disegnano il profilo del pendio e intanto, passo dopo passo prende forma la storia dell’isola. Compare la figura di San Mamiliano, vescovo di Palermo che esule sbarcò a Montecristo, ebbe la meglio sul drago che la abitava (in una leggendaria e metaforica lotta tra il bene e il male) e vi si stabilì in aura di santità diventando eremita. Dopo la sua morte i suoi seguaci dettero origine ad una comunità monastica che edificò la chiesa e il convento e che in breve tempo vide accrescere notevolmente la sua importanza, la sua fama e la sua ricchezza. Da qui probabilmente nacque la leggenda del tesoro di Montecristo, alimentata nel tempo dall’aspetto aspro e misterioso dell’isola.

La piccola chiesa, una costruzione severa, essenziale, imponente è quello che rimane di questa millenaria storia monastica a cui posero fine le frequenti incursioni ed i continui attacchi dei pirati, il più terribile dei quali, nel 1553 da parte del saraceno Dragut, causò la distruzione del monastero. Per Montecristo iniziò un lungo periodo di desolazione e per molto tempo l’isola rimase disabitata. Arrivare quassù ripaga della fatica del cammino. Tutto intorno una vastità che mette le vertigini. E poi il silenzio. Solo la voce del vento. È da qui davanti alla vista del mare a perdita d’occhio, che si capisce quanto l’isola sia particolare, che si può conoscere la sua essenza, il suo fascino, il suo carattere duro e solare nello stesso tempo.

Dall’alto Cala Maestra sembra un’oasi nel deserto roccioso dell’isola. Tra le chiome verdi dei pini si scorge il piccolo borgo dai tetti rossi, tra cui spicca la Villa Reale. È la storia più recente di Montecristo, quella di Georg Watson Taylor eccentrico dandy inglese, sognatore e romantico, il primo abitante dell’isola in età moderna. Ci provò Taylor a vivere a Montecristo, costruendo la villa e le dipendenze, cercando (invano) di trarre sostentamento dalle scarse risorse disponibili, ma la sua fu un’avventura senza lieto fine. E anche il tentativo di fondare sull’isola una piccola colonia agricola penale, destino comune di tutte le isole dell’arcipelago, fallì per la stessa ragione.

Sul finire del 1800 l’isola fu data in concessione al marchese Ginori di Firenze che ne fece una riserva di caccia personale, introducendovi per scopi venatori cinghiali e fagiani, e ospitando molte delle personalità più importanti dell’epoca. Tra gli ospiti più assidui del marchese, il principe ereditario Vittorio Emanuele III. Vedere l’isola ed innamorarsene per il futuro re fu una cosa sola (come dargli torto?) tanto che decise di farne la sua residenza esclusiva. “A Montecristo il re desidera di godere di tutta la sua libertà”, si legge nelle cronache dell’epoca”, libertà va cercando e ce la trova. Non concede permessi e non fa inviti. Montecristo è per sé e per la sua famiglia”.

La lontananza e l’isolamento difesero Montecristo dalle vicissitudini storiche di inizio ‘900. L’isola tornò ad essere incustodita e disabitata fino agli anni ’50. All’abbandono rischiò di seguire la speculazione: sotto lo slogan “Montecristo, o del privilegio” la società privata Oglasa, che aveva acquisito dallo Stato i diritti di gestione dell’isola, progettò di trasformarla in un resort esclusivo, un paradiso per soli ricchi. Ma la bellezza e l’unicità di Montecristo mossero l’opinione pubblica e le associazioni ambientaliste: perché rovinare questo gioiello? La protesta non restò inascoltata e fortunatamente intervenne lo Stato che impedì quello che sarebbe stato uno scempio, istituendo la riserva integrale e limitando l’accesso all’isola.

Oggi Montecristo è presidiata dai carabinieri forestali che si danno il cambio ogni quindici giorni. Fino a pochi anni fa vivevano a Montecristo le famiglie dei custodi. Estati, inverni, solitudine, silenzio, cieli stellati, ecco l’isola di Montecristo che traspare dalle parole di coloro che l’hanno vissuta e conosciuta veramente. Sono testimonianze preziose ed emozionanti che descrivono bene cosa voglia dire trovarsi soli e lontano da tutti su un’isola deserta e impervia. “Quando i venti soffiano e il mare s’ingrossa, l’Elba e il continente appaiono lontanissimi, e Montecristo fa paura. Eppure tutti l’hanno amata”.

Montecristo ha un modo tutto suo di essere isola, terra di tutti e di nessuno. La scelta di farne una riserva integrale, di limitarne la fruizione l’ha protetta e salvaguardata, quella di aprirla alle visite guidate, seppur ad un numero chiuso di visitatori, ha permesso e permetterà di conoscerla in modo consapevole e con il massimo rispetto. Adesso è tempo di tornare. La motonave rivolge lentamente la prua verso il continente. L’isola rimpicciolisce piano piano, quasi scolora, lontana e indistinta sembra già quasi un’illusione. Svanirà nella sua concretezza ma rimarrà per sempre nelle sensazioni e nei ricordi. Montecristo è diventata anche un po’ mia.

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