Una gita alle Murchison Falls

Gli ippopotami escono la notte
Racconto scritto da Silvana Rugolotto
12 Marzo 2022

Ancora esaltati dalla visione luminosa delle acque impetuose e nebulose delle cascate Murchison e storditi dal frastuono delle stesse con le calme, spumose acque del Nilo, non ci accorgiamo che il battello, come un anatroccolo-giocattolo nella vasca da bagno, si gira e fa una completa inversione di rotta.

La luce del sole equatoriale ora rasenta le assi del pavimento al di sotto delle panche del battello. Un paio di ore prima i viaggiatori si torcevano sul fianco destro per la dovuta abbronzatura, contando che nel ritorno avrebbero fatto la stessa cosa con il fianco sinistro. Ma qualcosa non va.

Un viaggiatore, che tra noi è il più esperto in navigazione, si alza di scatto e richiamando l’attenzione urla: “Captain: stiamo navigando nel verso sbagliato! Noi dobbiamo attraccare dall’altra parte del fiume. Là ci aspettano i colleghi con le macchine!”. Con calma africana la guida si gira verso di noi, già in stato di allerta, e dichiara: “Sì, abbiamo fatto inversione di rotta e ora rientriamo da dove siamo partiti. Causa inagibilità dell’attracco…”.

Alcuni tentano la chiamata via WhatsApp per confrontarsi con i compagni a terra: no, non c’è campo. Così, dopo varie ipotesi di comunicazione sostenute da fantasiose imprecazioni, il pensiero va’ a come raggiungere il lodge Red Chilly una volta sbarcati. L’informazione che calma tutti arriva dalla guida: “No problems, dovrete fare a piedi una salita di qualche centinaio di metri e subito a sinistra vedrete le bandas del lodge”.

Così, dopo una profonda riflessione sugli imprevisti di questa gita, si accetta la situazione. Ciascuno si isola nell’ombra privata dei propri occhiali da sole e, finalmente, si apprezza nei dettagli l’ambiente equatoriale. Seguo il Martin Pescatore che, nei suoi innumerevoli tuffi e decolli, mi fa riflettere su quanto io, che non so nuotare né volare, sia una specie di disabile in confronto a lui. I due grandi coccodrilli del Nilo sono ancora là straiati sulla riva sabbiosa a prendere il sole. Un terzo uscendo dal fiume si unisce ai due. Meglio non penzolare piedi e mani fuori dal battello A tratti la parete rocciosa delle sponde cade a strapiombo nelle acque offrendo cosi la possibilità di residenza a centinaia di uccelli che li scavano il loro nido. Mi ripropongo di approfondire le conoscenze della flora e della fauna equatoriale nella mia guida Uganda un paradiso all’Equatore, Edizioni Polaris.

Le ultime birre a disposizione sul battello vengono distribuite e condivise dal gruppo.

È già tardo pomeriggio, il motore del battello si spegne, la navigazione rallenta, ci si avvicina alla sponda: siamo al molo. Sulla piazzetta qualche battello a secco racconta che ci sono stati tempi migliori.

Dai vicini isolotti sommersi da erbe acquatiche spuntano tante paia di orecchiette e a una regolare distanza tra loro, compaiono altrettante paia di grandi globi oculari che ricordano i disegni animati di Disney.

“Sono ippopotami” ci informa la guida.

“Carini” esclamiamo in coro. Con la stessa lentezza con cui noi accostiamo al pontile, un ippopotamo riaffiora dalle acque: prima il lungo muso e poi la mole del corpo. Con leggerezza sulle sue tozze zampe raggiunge lo spiazzo di sabbia sulla riva. “Peso: circa 2 -3 tonnellate, lunghezza dai 3- ai 4 metri. È un animale rissoso se incontra delle persone sul suo territorio ma, erbivoro” ci spiega la guida. Il gruppo non commenta.

All’imbocco della salita che, bisogna dirlo, richiede un po’ di trekking, due entusiaste guardie della Uganda Wildlife Authority si assicurano che sappiamo dove andiamo: “Red Chilly camping — Bandas lodge?”. Confermiamo annuendo. Ci sentiamo quasi protetti. Una siepe di cespugli, un sentiero guidato da sassi sbiancati con calce, come si usa in Africa, ci conduce al lodge.

Il percorso si dirama tra alberelli di acacia spinosa e erbetta rasata. Ai lati vedo casette verde scuro di legno e cemento con regolare porta e finestra. Ecco, mi dico, ora capisco, sono le bandas, gli alloggi dei rangers delle passate stagioni dei Grandi Safari! Per fortuna, sulla sinistra l’area reception/restaurant è già più solida e nello spazio panoramico che dà sulla valle del Nilo Vittoria arde un falò.

Il disbrigo alloggi presenta delle complicazioni e, il fatto che noi donne siamo assegnate all’ultima bandas in fondo al vialetto e addossata al cespuglio di confine, con questa stanchezza e fame e sete, non solleva proteste.

I compagni di viaggio che ci hanno invano atteso dall’altra parte del fiume, dall’alto delle Murchison Falls — ma dal panoramico Top of the Falls — ora più che mai sono gioiosi e rilassati e ci accolgono divertiti.

Ci uniamo a loro e ad altri pochi “umanitari persi in missione”, come li chiamo io, che tra racconti personali di imprese selvagge, attraversate di laghi e savane sono poi atterrati qui al vicino aeroporto del Paraa National Park. Consumiamo insieme un ottima cena a base di riso e piccantissimo stufato di carne al curry .

Si sa, dopo un certo numero di birre il corpo deve eliminare i liquidi in eccesso. Identificati i due servizi esterni — cioè le latrine — a turno ci allontaniamo imboccando i vialetti laterali illuminati da una luna che ammanta tutto di un tono grigio argento. Qualcuno ritrova il falò frettolosamente, ansimando e rivelando che ha sentito nei cespugli circostanti un muggito. Altri affermano che dietro la siepe qualcosa si muoveva e l’espansiva compagna di viaggio spagnola, afferma di aver visto un ippopotamo.

Lo staff del camping non si allerta troppo. La nostra guida, ranger di professione, ci raccomanda di non usare la torcia e di seguire il camminamento segnato dai sassi bianchi. E poi con una luna che ci rende traslucidi siamo al sicuro, dice. Decido di credergli.

La notte avanza e oramai ogni viaggiatore racconta la sua avventura senza che nessuno lo ascolti.

Nonostante la bellezza di questa notte africana mi cala una sonnolenza estrema. Chiedo se qualche altra co-inquilina rientri all’alloggio con me. Ma sono tutte immerse in qualche monologo irrinunciabile. Decido di rientrare da sola. Avvolta dal chiaro di luna e vestita di chiaro, come previsto per safari africani, mi inoltre nel camminamento.

Di lì a poco e a una distanza che non riesco a valutare, all’altezza dei miei occhi incrocio altri due grandi, rotondi e spalancati occhi. Realizzo la gravità della situazione: è un ippopotamo! Terrore. Sento l’adrenalina che mi dà lo scatto per la fuga.Scarto di lato,per uscire dalla visuale della bestia. Abbraccio con tutte le mie forze il primo alberello che trovo. Sono nascosta, la bestia non mi vede. Per rafforzare questa convinzione chiudo fortemente gli occhi. E ancora con più forza abbraccio l’alberello, i sui rami e suoi ramoscelli!

Sì, è proprio un ippopotamo, avverto il ruggito e percepisco la mole del suo corpo passarmi vicino e andare oltre, avanti, verso lo spazio erboso. Cerco di chiamare aiuto, piano-piano, sottovoce e poi più forte. Sento il ranger che grida verso di me: “Madame, glielo avevo detto di non andare con la torcia! È già capitato altre volte! Dov’è? Esca, sono qui !”

Le lacrime mi riempiono gli occhi, ho difficoltà a staccare il viso dai rami, le mie guance sono umide e pungenti… Il mio albero salvatore era un’acacia spinosa! Così impreco: “Qui non è un posto sicuro! Mai più qui! Voglio tornare a casa!” e di concerto il ranger mi risponde: “Glielo avevo detto! Glielo avevo detto!”. Ora tutta la compagnia mi viene incontro e ognuno celebra l’evento con tutta l’emozione che conviene.

Nel frattempo il mio viso si riempie di rivoli di sangue e, come per tutti i feriti, sono costretta a subire le più bizzarre pratiche di pronto soccorso. Mi libero con forza da questi prodigi. “Faccio da sola, ho solo bisogno di acqua e un panno pulito”, dico, ma a parte le ferite da spine, sento che questo incontro ravvicinato mi ha proprio traumatizzato. Allo stesso tempo penso che, probabilmente, l’ippopotamo mi ha scambiato per un pericoloso fantasma bianco!

Niente di più di un evento traumatico rinvigorisce gli animi delle persone, quasi tutte ubriache, nel bel mezzo della notte. E così la compagnia si riunisce a grappoli. Si lascia il falò, ormai spento, per sedersi attorno ai piccoli tavoli. Si indaga se il bar ha qualcosa di un po’ forte per tirarci su. Io continuo con gli impacchi umidi sul viso. Non sanguino più. Rifiuto tutte le proposte di vedermi allo specchio. Nello zaino ho una crema multiuso, anche questa volta si rivelerà preziosa.

La notte è diventata buia, la luna è tramontata. A gruppi ci si accompagna da una bandas all’altra. Io e le altre viaggiatrici ci sistemiamo sulle brandine assicurandoci che la porta sia ben chiusa, ma le finestre devono restare aperte, con il caldo che fa! Noto che loro sono sfinite e cadono in un sonno ristoratore.

Io resto lì, a contemplare l’altezza e la larghezza delle finestre e comincio a fare supposizioni su quale altro animale dei dintorni, potrebbe, con un semplice balzo, entrare e attaccarmi. Leoni, leopardi, babbuini, proboscidi di elefanti che si attorcigliano attorno al mio corpo… Ma no, gli animali dormono tutti.

Di sicuro il mio ippopotamo, o più di uno, è rimasto lì nel camping a mangiare l’erbetta del prato. Perché, come ci ha informato il ranger “Gli ippopotami del Nilo escono la notte e arrampicandosi su per le sponde arrivano fin qui per mangiare l’erba nuova. È il loro ambiente!”. Forse non serve dirlo ma, pur rispettando i diritti degli ippopotami, per me è stata una notte di luna da non ripetere, mai più!

--

--

Scuola del Viaggio
Viaggiatori d’Occidente Master Class 2022

Scuola di scrittura, fotografia e carnet di viaggio_comunità di viaggiatori