18 fantastici e dove trovarli

Nicolò Fagone La Zita
Virgola
Published in
4 min readMar 3, 2017

Mirafiori sud, ore 7.40, piazzale Caio Mario.

Sguardi persi nel vuoto, occhi agitati, corpi addormentati.

L’autista, in piedi alla fermata dinnanzi al pullman, getta a terra la sigaretta, che erutta come un vulcano tra le imperfezioni del marciapiede. Successivamente sale sul veicolo e prende posizione. Il chiacchiericcio degli studenti si fonde con le facce pesanti degli operai, che tuttavia cedono il posto ai più anziani.

Questa è Torino, con il suo cervello meccanico e il suo cuor di cioccolato. Ad un tratto, a pochi metri dalla sede della Fiat, il guido schiaccia il pulsante di chiusura delle porte, si parte.

Il bus è pronto a riprendere quel percorso che ormai conosce come il suo deposito.

Prendo posto nella parte anteriore accanto a una liceale, capelli neri come il buio, occhi azzurri. Tira fuori dal suo zaino un quaderno rosso, spesso e consumato, sembra intenzionata a ripassare con Sere nere di Tiziano Ferro nelle orecchie.

Il pullman è uno di quelli lunghi, quasi doppi, che non finiscono mai, con la fisarmonica nel mezzo.

Lo sguardo dell’80% della popolazione presente in questo microsistema cade su un monitor. Iphone, tablet, portatile, ognuno utilizza il suo bene di consumo preferito. Poco importa in realtà, gettando infatti lo sguardo su questi demoni tecnologici, si possono intravedere con una certa frequenza le home dei principali social network. The technology is the new drug of 2017.

Alcuni studenti al fondo invece sono occupati in una discussione prima della verifica della prima ora. “Ma te li hai fatti i brani?”, domanda un ragazzo con voce disperata. “Li ho letti ma non mi ricordo un cazzo”, gli risponde l’amico, con la faccia di chi prenderà un 10 pulito.

Dopo appena cinque fermate, il pullman inizia a vomitare studenti davanti al liceo scientifico Niccolò Copernico. Questo per la felicità della mia compagna di posto, che non ha smesso un secondo di fissare le lancette dell’orologio, quasi potesse farle tornare indietro col pensiero.

La seconda migrazione avviene davanti alla stazione del Lingotto: a esultare questa volta sono i pendolari e i pochi turisti presenti.

Per loro il viaggio non è ancora iniziato.

Adesso all’interno del pullman è pensabile guardarsi i piedi ed alzare le braccia, non essendo più i suoi passeggeri pezzi incastrati dello stesso puzzle. La mia nuova compagna è una signora peruviana di più o meno 50 anni, ciccionissima e piena di buste della spesa. Sono felice si sia seduta proprio accanto a me. Discute animatamente in spagnolo, con i suoi auricolari fucsia. Forse è così agitata perché si è anche lei accorta che siamo circondati. Ovunque in alto intorno a noi piccoli spazi pubblicitari rettangolari si contendono l’attenzione dei più annoiati, solitamente coloro che non hanno trovato posto a sedere. “Corsi professionali per cuochi e pasticceri” annuncia uno slogan, “Cameriere, barman, pizzaiolo” ribatte un altro.

Il viaggio prosegue ed ecco che anche i vecchietti sono costretti a scoprire le proprie carte. Alla fermata Spezia infatti si possono vedere i loro occhi riflettere con orgoglio le bancarelle di un mercato, strabordanti di frutta e verdura fresca.

Il via vai di persone continua e fa sì che nessun posto si senta trascurato. Dopo 45 minuti si arriva al cuore della città: via Po. Il simbolo di Torino, la Mole Antonelliana, è distante pochi metri, ma non la si riesce a scorgere. Anche gli ultimi studenti salutano il mezzo, destinazione Palazzo Nuovo.

In sole sei fermate l’atmosfera cambia completamente. Dalla Torino borghese si passa a via Bologna, Barriera di Milano.

Alla fermata Ponchielli un gruppo composto da cinque zingare quarantenni sale a fatica dalla porta a me più vicina. Non sembrano risentire dello sguardo severo e giudicante di chi gli sta attorno.

In fondo al pullman musiche rap hanno preso il sopravvento, sospinte dalle movenze ritmiche di un gruppo di adolescenti agitati. Una signora sulla cinquantina espone una delle fatidiche domande a uno di questi: “Scusa, scendi?”. Il ragazzo cerca di scansarsi per farla passare, ma lo spazio di manovra è inesistente, nonostante l’insistenza e la fermezza della donna.

Infine cinque minuti più tardi, una voce elettronica femminile avvisa tutti i passeggeri che la prossima è l’ultima fermata, in piazza Sofia. Dopo un’oretta di viaggio il mio itinerario era dunque terminato. Ma l’escursione non era finita per tutti.

Un sessantenne ubriaco, occhi socchiusi e sguardo assente, era pronto per un nuovo giro di giostra. Un sacchetto tra le dita, contenente una bottiglia, nascondeva il suo diavolo.

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