Cascais, note oceaniche e venti jazz

Angelica Damiani
Virgola
Published in
8 min readSep 30, 2017

S u Largo Cidad da Victòria 36, una voce femminile calda e sensuale viene diffusa da un amplificatore collocato sopra un locale seminterrato illuminato da luci basse. Il riverbero si mischia all’aria settembrina, della costa ovest portoghese, di notte fredda e pungente.

A Cascais, un piccolo paese sull’oceano, a pochi chilometri di distanza da Lisbona, case pastello si specchiano nei riccioli geometricamente perfetti delle onde atlantiche. L’intellettuale di Bucarest Mircea Eliade, dal 1941 al 1945, oltre a Lisbona, scelse questo villaggio di pescatori come dimora per la legazione romena in Portogallo come addetto stampa, periodo in cui scrisse Diario Portoghese; lo stesso Eliade che quando incontrò Antònio Salazar, rimase affascinato dai modi sobri e dalla modestia della scrivania del dittatore e da quello che gli disse. In Rua da Saudade 13 una targhetta tonda è affissa ai muri bianchi della casa in cui visse insieme alla moglie Nina.

A differenza di molti luoghi del Portogallo, questa tranquilla cittadina sembra mantenere la propria autenticità, senza vendere l’anima al turismo incontrollato da crociera; azulejos originali e gabbie di metallo per la pesca delle aragoste resistono alla minacciosa e vorace modernità che, a tratti, si distribuisce lungo il litorale. Come un richiamo onirico, la stessa aria fredda e pungente, e la stessa voce calda e sensuale spingono a scendere le scale, varcare la porta d’ingresso ed entrare nello spazio interrato, all’apparenza uno scantinato. La voce che un attimo prima si disperdeva amplificata nell’aria oceanica, ora ha le forme e le sembianze della donna che canta.

Il locale è il Jazz Club di Cascais; in fondo sulla destra, sopra il palco la Big Band accompagna la cantante. I suoni della batteria, contrabbasso e pianoforte si mescolano tra loro in una jam session. Tavolini di legno scuro sono disposti in tre file e le sedie in coordinato rivolte verso il palco. Due coppie occupano i tavoli delle ultime file, il club è come permeato da un romanticismo assopito. Fermo immagine di una calma fittizia.

Appena nota i nuovi clienti, la donna termina la canzone e scende dal palco per accoglierli, lasciando che la musica continui senza di lei. Con un cenno della mano li invita a seguirla nella saletta al lato opposto dell’ingresso, simile al salotto di un appartamento. Due grandi tappeti in pelle di mucca ricoprono il pavimento. Uno è un patchwork di quadrati marrone scuro, l’altro è di quelli che hanno mantenuto la sagoma originale dell’animale; ad ogni passo i peli dell’animale scricchiolano sotto le suole.

La voce della donna è quella di Maria Viana e, mentre si avvicina al bancone, esordisce dicendo che i suoi gin tonic sono i migliori gin tonic al mondo, la sua è una ricetta speciale. Il timbro vocale è squillante, intervallato da risate fragorose; a seconda del luogo di provenienza dei clienti, a quei luoghi lega aneddoti e persone conosciute. A ottobre il jazz club ospiterà il pianista e compositore genovese, Gianluca Tagliazucchi, attivo sulla scena jazz dal 1985. Quando parla di lui, gli occhi sono illuminati dalla stima che nutre e dalle considerazioni affettuose che rivolge all’amico e collega.

Quadri di arte contemporanea tappezzano ogni angolo libero delle pareti, il jazz club è anche galleria d’arte. In un perimetro ulteriore rispetto alla sala del bancone, le opere conducono in una terza stanza: i tagli larghi del muro, adiacente la sala principale, lasciano intravedere i musicisti frazionati. Una porta semi aperta mostra la scrivania dell’ufficio di Maria, in cui altre tele sono affastellate in ogni parte. Maria da quell’ufficio entra ed esce in continuazione, ora sola, ora con qualche cliente, ora con i musicisti. Le stanze sembrano un set cinematografico pronto a raccontare su grande schermo la storia di Chet Baker o John Coltrane.

Presidentessa dell’associazione culturale senza fini di lucro Jam Session, dal 2011 dirige il Jazz Club di Cascais che ha ospitato alcuni dei più importanti nomi del panorama jazz. Celebre artista della scena musicale portoghese, Maria si è esibita lungo i quarant’anni della sua carriera in tournée nazionali ed internazionali con il suo trio la Big Band di Jorge Costa Pinto e il progetto Voci Tre. Ha collaborato con Kirk Lightsey, Ze Eduardo, Sheila Jordan, Peter King, Giacomo Aula e Andrea Pozza.

Dietro il bancone una targhetta dorata è affissa alla parete: “Sala Manuel “The Smile” Franco”, in memoria del suo defunto marito. Mentre ne parla simula i modi di fare: lo sguardo serrato, i cenni di dissenso con la bocca, l’aria composta, lo sguardo diffidente con cui teneva sotto controllo la situazione. Era lui a intendersi di affari, a strattonarla e a chiamarla a denti stretti “Maria!” quando lei sorrideva o perdeva il senso di aspetti finanziari estranei. Maria, che come lei stessa racconta, di affari non ne ha mai capito nulla.

Una cascata triste di capelli scuri le cadono deboli sopra le spalle e sfiorano le guance gonfie e piene. Maria ripercorre la storia del jazz club, un sogno dentro il sogno di aprire un ristorante, del marito Manuel e di un amico di infanzia. Quando i due si ritrovano a Cascais, dopo anni in cui si erano persi di vista, l’amico divenuto multimilionario decide e suggerisce un investimento in quel sogno. Maria però propone di gestire il locale se avessero aperto un jazz club.

Mentre parla passa velocemente dal portoghese all’italiano all’inglese, come fossero un idioma unico. Dopo aver avviato tutte le pratiche di apertura l’amico fallisce. Si ritrovano quindi, lei e il marito, ad affrontare l’impegno di un progetto al quale non possono sottrarsi. Passano anni di lavori, pratiche burocratiche e il marito di Maria muore. E si ritrova sola a gestire un intero locale; ad occuparsi dell’amministrazione, dell’organizzazione degli eventi, della preparazione dei drink, ad accogliere e accudire i clienti, il tutto alternato dalle esibizioni live.

Prepara i cocktail con gli stessi eleganti movimenti di quando canta, aiutata da una signora sulla settantina; taglia i limoni, li spreme e l’odore acerbo arriva diretto nei canali olfattivi. Le vibrazioni che si sentono sono incessanti, e non sono quelle della musica. Durante questi anni tanti i controlli da parte delle autorità portoghesi. Maria racconta quanto sia stato difficile far credere loro che non ci fossero smerci di droghe e prostituzione all’interno del locale. Continua a ridere, a gesticolare, e a dire a voce alta che lì dentro sono tutti matti, e l’avviamento del jazz club è stata una follia. Le due salette inizialmente non c’erano, sono state create in un secondo momento. In una giravolta fluttuante, solleva il braccio destro per indicare quelle creazioni e mostrarne il soffitto basso, troppo basso per essere in regola. Ora però le autorità hanno capito che il club si occupa solo di musica, e li aiutano dando consigli sulle normative che regolano i locali.

Continua a tagliare fette di limone e a sfregarle sul bordo del bicchiere, alcune le spreme e le mette insieme al ghiaccio, poi con il manico del coltello gira tutto. Le sue mani nodose e laccate di uno smalto rosso sbeccato danzano tra il succo del frutto che scorre tra le dita e le bottiglie di Gordon’s.

La signora che la sta aiutando si chiama Margherita; il collo incassato tra le spalle, ricurva su se stessa, il viso nascosto dai capelli neri e cotonati. Quando non aiuta Maria, si aggira per le stanze lentamente e claudicante, sostenuta da un bastone di legno la cui impugnatura curva è ricoperta d’argento. Non parla mai, ogni tanto staziona sopra una delle poltrone della saletta, ogni tanto torna dietro il bancone per togliere i bicchieri ammucchiati sul bancone e strofinare quelli appena lavati. Quando il marito di Maria è morto, Margherita si è offerta di aiutarla con il locale in cambio di un po’ di compagnia. Le due donne vivono insieme legate dall’amicizia.

Maria ora torna sul palco a cantare, la sua voce di velluto scivola nei corpi insieme ai gin tonic ghiacciati. I versi di Summertime, Corcovado, e My funny Valentine si riverberano nel locale.

Summertime, and the livin’ is easy
Fish are jumpin’ and the cotton is high

Ogni dipinto sembra vivere di vita propria, i sassofoni disegnati escono dai quadri per contribuire al ritmo della musica e alle vibrazioni del luogo. Alcune delle opere sono proprietà di Maria, altre sono in conto vendita.

L’amore per l’arte l’ha eredito dal padre José Viana, pittore, attore e cantante, il quale ha avuto Maria dalla prima moglie, l’attrice e cantante brasiliana Jujù Baptista. Appoggiando in un primo momento il regime dittatoriale di Antònio Salazar e aderendo in un secondo tempo al Partito Comunista Portoghese, José Viana fu una figura controversa per lo scenario politico portoghese. Maria lo ricorda come un uomo a parlare “tra le righe”anche durante l’appoggio al regime. Una dittatura che fino al 1935 non fu considerata analoga al fascismo, tanto che le posizioni di alcuni grandi intellettuali risultarono ambigue. Lo stesso Fernando Pessoa, per alcuni testi, rimane ancora oggi in balia di critiche e oggetto di discussione.

La donna era proprietà del marito, con la democrazia ha guadagnato emancipazione e privilegi. Ma Maria sottolinea la difficoltà, non solo per le donne, di gestire la libertà dopo un regime dittatoriale di quarantotto anni, il rischio è di rimanerne spiazzati, di abusarne e sentire la necessità di avere una figura che guidi.

Da sette anni accumula quadri di artisti importanti, tra cui quelli del padre, ma per esporli sta aspettando il momento giusto. Persone continuano ad arrivare, il locale è grande ma tutti sono accalcati al bancone. Maria sembra esercitare un diafano magnetismo. Mentre parla fuma una sigaretta dietro l’altra, girando il tabacco nelle cartine o strappandole dai pacchetti ai clienti. Le persone la osservano come custodisse un segreto che potrebbe svelare da un momento all’altro; e prima di andarsene, i saluti sono rituali solenni.

Muita calma pra pensar, E ter tempo pra sonhar
Da janela, ve-se o Corcovado, O Redentor, que lindo

Il fumo di sigaretta della saletta inizia a diffondersi intrecciandosi alle pennellate dei quadri e alle note musicali che provengono dalla sala principale. Avvolge persone, bicchieri e la piccola statua di una cantante afro. L’odore acre del fumo ora attraversa e supera quello del gin, del limone e delle persone, per essere risucchiato via da un bocchettone posto sul soffitto.

Maria ora è di nuovo dietro il bancone, impossibile non perderla con lo sguardo. Volteggia da una parte all’altra del suo locale in preda ad un’euforia che destabilizza e incanta i presenti. Ogni tanto si ferma a parlare, ogni tanto le scappa un acuto. Sorride in continuazione, occhi, bocca, zigomi ogni muscolo impegnato a distanziarla da qualsiasi sentimento negativo. Musicisti e clienti ora sono seduti ai tavoli, davanti ai loro drink, in un cerchio al cui centro Maria calpesta i tappeti in mucca con il suo andamento deciso.

Momenti perduti e persone scomparse e occasioni mai presentate e luoghi mai conosciuti. La Saudade, un mito qui in Portogallo, se ne sente parlare in continuazione senza riuscire ad afferrarne il senso. Maria è quello, intrappolata nell’essenza di quella sensazione difficile da elaborare. L’incarnazione di un sentimento di malinconia e solitudine, tanto astratto quanto in lei tangibile. Un limbo sospeso in cui i ricordi, i rimpianti e i rimorsi vagano alla rinfusa inebriati da quella voce di velluto; e la trasportano da una parte all’altra del suo locale e della sua vita, che in fondo, per lei, sono un po’ la stessa cosa.

My funny valentine
Sweet comic valentine
You make me smile with my heart
Your looks are laughable
Unphotographable

Yet youre my favourite work of art.

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