Di vuoto in vuoto

Non prendete mai il 52 in un pomeriggio di nebbia

Giorgio Penna
Virgola
Published in
3 min readMar 5, 2017

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La grigia foschia mista fra nebbia e smog circonda gli alberi secchi con le foglie superstiti a far da tomba a loro stesse nel terreno circostante. Questo è il capolinea in via Scajola, vuoto e cupo. Subito dopo la partenza cogliamo l’alta industrializzazione torinese, con aria irrespirabile, grandi casermoni, palazzi vetrati e numerosissime insegne; continuando per la via, si può notare l’abbondanza dell’utilizzo delle mattonelle rosse per i palazzi. La prospettiva in lontananza dà solo case e palazzi, uno si nota più degli altri per l’altezza e per il suo color celeste sbiadito che va confondendosi con la caligine dell’aria. Dopo una lunga tratta, dalla monotonia dei mattoni rossi al menefreghismo delle case dalle vernici scorticate e con i colori ormai privi della loro lucentezza. Le strade si allargano, in un vomitevole zigzagare di rotonde e controviali, i palazzi puntano sempre più al cielo di più variopinte forme e strutture ma con balconi tutti simmetrici. Appare una chiesa, del tutto spoglia come il suo santo protettore, San Francesco d’Assisi, con una particolare attenzione per il campanile. Usciti dalla zona industriale le strade tendono all’infinito, con schiere di alberi che ne delimitano i confini riuscendo a contrastare il grigiore del cielo. Lo spazio si stringe improvvisamente: Via Ignazio Giulio, via Bligny, doppietta claustrofobica del degrado con case lasciate a loro stesse, una comparsata nella sistemata via Garibaldi e poi di nuovo noncuranza delle vie. I lavori in Corso Ferraris fanno rallentare il percorso, schiere di uomini in arancione intenti a scavare e picconare, ricordano la fatica del bus a passare per la strada. Fermo al semaforo una finestra di una casa regala la vista di un enorme lampadario a neon circolare, come un’aureola a protezione della casa. L’imponenza della rotonda in Corso Vittorio Emanuele II, catapulta la via verso una scena simile a Silent Hill, con la città che va perdendosi pian piano nella nebbia sul fondo. Alcuni negozi conservano nostalgicamente le luminarie natalizie sulle loro piante espositive. Sulla grande via una chiesa con una scritta a lettere cubitali mi suggerisce di “credere in Dio per essere salvato”, subito a fianco una tipica scena di casa appare ai miei occhi, due donne si parlano da un balcone all’ altro fumandosi una sigaretta, in tuta e ciabatte. Al passaggio del ponte, il fiume, di un blu torbido come il cielo, scorre lento. Spostando la vista più in fondo spunta l’ombra di uno scheletro lampeggiante ancora in costruzione simile al grattacielo della San Paolo. Il cambio di prospettiva è notevole, il verde mi circonda, le colline si innalzano di fronte. Le case hanno più cura, le strade sono più percorribili, l’aria è più tranquilla. Aumenta il numero di salite, un albergo di nome “six love”, lascia spazio all’ immaginazione per il suo utilizzo. L’aria del posto è indipendente dal centro, la privacy è il comandamento. Arrivato al capolinea, un giardinetto è pronto ad accogliere bambini e famiglie con panchine e altalene, intorno a me case, verde e silenzio, il vuoto assume un altro significato.

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