Goodbye Spagna: dai Paesi Baschi alle Canarie, chi vuole salutare Madrid

Gabriele Sebastiani
Virgola
Published in
7 min readNov 22, 2017

La Catalogna saluta la Spagna, la Spagna se la riprende e depone Puidgemont e colleghi. Anche se il referendum del 1º ottobre nella sostanza sembra aver portato a un nulla di fatto, si è tornati a far luce sui tanti animi che si trovano a vivere tra malumori più o meno forti sotto la corona di Felipe VI.

L’indipendentismo scemante dei Paesi Baschi

Come si inserirebbe il Paese Basco nella geografia europea

Inevitabile che il pensiero vada immediatamente ai Paesi Baschi. La volontà di creare quello che è definito Euskal Herria o Euskadi — letteralmente Paese Basco, che allo stesso tempo indica chi parla la lingua basca — è un sentimento che non si arresta soltanto alle province del nord est della Spagna, come le vicine Álava, Biscaglia, Guipúzcoa, ma si propaga anche attorno ai Pirenei, dalla spagnola Navarra fino alle francesi Lapurdi, Zuberroa e Navarra Beherea.

A unire le sette province oltre i confini, è una forte identità linguistica e culturale figlia di un popolo antichissimo, le cui radici sono avvolte ancora dal mistero. Solo per breve tempo — ormai mille anni fa — il Paese Basco venne unito sotto il Regno di Pamplona. Furono poi a turni alterni Spagna e Francia a deciderne il destino.

L’unica garanzia riconosciuta al popolo basco fu il mantenimento dei fueros, consuetudini e leggi a carattere locale tipiche della penisola iberica: i baschi poterono quindi regolarsi con le proprie norme, conservando una vaga idea di autodeterminazione almeno fino al 1876. Fu allora che la corona spagnola stabilì che tutti i sudditi fossero nient’altro che cittadini spagnoli: sparirono i fueros e cominciò a emergere la necessità di una rappresentanza politica che parlasse a nome dei baschi. Ecco quindi nascere nel 1895 il Partido Nacionalista Vasco, con cui l’ideatore Sabino Arana Goiri auspicava di confrontarsi con il Parlamento madrileno. Con una crescente approvazione nelle province basche storiche, il PNV ottenne piccole ma importanti vittorie, ad esempio il riconoscimento dello Statuto di Estella (1936) che concesse importanti competenze, come trattare direttamente con la Santa Sede.

Il simbolo dell’ETA

Con l’avvento del Franchismo nel 1937, la poca autonomia guadagnata fu cancellata da una politica centralista, poco avvezza a concessioni di autonomia. L’incapacità di opporre un’azione contrastiva adeguata da parte del PNV portò alla nascita di Ekin, movimento nazionalista basco, nel 1952. Incapaci di collaborare, PNV ed Ekin rimasero troppo distanti nelle visioni politiche, specie da quando, nel 1959, il secondo si trasformò in Euskadi Ta Askatasuna — ben più noto come ETA — intraprendendo un percorso fortemente reazionario.

Comincia un periodo costellato da attentati: bombe vengono piazzate a Bilbao, Vitoria-Gasteiz, Santander e nel mirino dell’ETA finiscono poliziotti e fedelissimi di Franco, come Carrero Blanco, già nominato suo successore ed assassinato nel 1973. Solo nel 1979 vi fu un referendum per ottenere l’autonomia delle tre province occidentali del Paese Basco, tagliando fuori dalla proposta la Navarra: nonostante il favore del 53,1% dei votanti, il processo si arrestò con l’avvento al governo del Partito Socialista nel 1982.

Per tutti gli anni Ottanta diverse furono le mediazioni tra Governo e forze basche per cessare le ostilità e chiedere l’autodeterminazione, ma senza successo. La situazione precipitò definitivamente nel 1989, quando l’ETA organizzò nuovi attentati e le trattative si interruppero definitivamente. Negli anni Novanta fu invece la rappresentanza basca nei media a subire un duro colpo: il quotidiano Egin e la radio Egin Irratia vennero chiusi per collusione con l’ETA, così come l’unico giornale scritto totalmente in basco, Euskaldunan Egunkaria. A cavallo del nuovo millennio che l’ETA trova il suo rappresentante politico in Batasuna, partito fondato nel 2001 e dichiarato fuorilegge in Spagna appena due anni dopo, rimanendo legale nelle province basche francesi.

La bandiera Ikurriña, esposta in ogni dove nelle città basche (Credits: losmininos su Flickr)

Sprovvisto del braccio politico e sociale della lotta armata, l’azione dell’ETA si riduce drasticamente, tanto che nel 2006 si dichiara apertamente il cessate il fuoco, intavolando trattative con il governo Zapatero. Oggi, la volontà di una maggiore autonomia e di indipendenza da Madrid è sempre presente, per quanto sopita: l’ETA lo scorso aprile ha persino rinunciato a tutto il suo arsenale. Se alle ultime elezioni regionali del 2016, gli indipendentisti si sono portati a casa il 60% di seggi, il PNV si è invece alleato con il Partido Popular, alla maggioranza al Parlamento di Madrid e tra i più contrari a rivalse indipendentiste: una mossa per avere più finanziamenti nei Paesi Baschi da parte del governo, che però minerebbe i sogni di distacco dalla Spagna.

I dirigenti del PNV parlano infatti ormai solo di autonomia, consci che essa sia il compromesso migliore per una convivenza soddisfacente. La mediazione del presidente basco Iñigo Urkullu tra governo centrale e Barcellona nella questione catalana ne è una prova lampante. Dello stesso avviso sembrano essere gli stessi baschi, tant’è che in un recente sondaggio di Euskobarometro soltanto il 28% della popolazione ha espresso desideri di indipendenza, contro un 60% per cui le cose, alla fine, sembrano andare bene anche così come sono.

Gli altri — e meno famosi — indipendentismi spagnoli

Un murales che chiede la liberazione delle Asturie (Credits: Fai! asturies)

Anche per la sua conformazione amministrativa, in Spagna sembra vigere un movimento centrifugo che spinge le regioni più esterne a rivendicare la propria sovranità. Tra queste, il tentativo più suggestivo e antico si ebbe nelle Asturie. A inizio ottobre del 1934, a seguito di un’insurrezione organizzata dalle forze sinistra, si proclamò la Repubblica Socialista delle Asturie, rigettando di fatto la Costituzione spagnola del 1931: molto coinvolti nella rivolta furono i minatori della zona. Dopo aver destituito il potere centrale, la rabbia dei protestanti si riversò sui civili che non si erano schierati per la loro causa: giustiziati preti, militari e cittadini benestanti, incendiate chiese, stuprate le donne delle classi agiate. Da Madrid venne inviata la Legione Spagnola — comandata da Franco — che in pochi giorni sedò, con pugno duro, la rivolta e riportò le Asturie all’obbedienza. Tre anni dopo ci fu un simile tentativo di indipendenza che includeva anche la provincia di León, anch’esso soppresso. Ancora oggi sono diversi i partiti autonomisti e separatisti attivi sul territorio.

L’Estreleira, la bandiera del Socialismo Nazionalista galiziano

Movimenti simili si trovano anche nella confinante Cantabria e nella provincia di León, parte della Castiglia-León, che vorrebbe non solo affrancarsi dall’enorme comunità di cui fa parte, ma dall’intera nazione spagnola. Proseguendo verso ovest, è la Galizia la regione in cui le ragioni del separatismo si sono fatte sentire in ambito politico e sociale: il nazionalismo galiziano, spinto anche in queste zone dalla comunanza linguistica e culturale molto forte, ebbe una netta impennata ad inizio anni Settanta. Moncho Reboiras, rappresentante dell’UPG — il partito Unione del Popolo Galego — cercò di organizzare una lotta armata contro le forze di Franco: ma la deriva armata scemò quasi completamente alla morte dello stesso Reboiras, ucciso dalla polizia nel 1975. Alla fine del decennio essa riprese per alcuni anni, con la maggioranza delle forze nazionaliste che scelse comunque la strada democratica e non violenta per far sentire le proprie ragioni. Azioni violente si sono registrate anche nei primi Duemila, con rappresaglie e sabotaggi compiuti dal gruppo Resistance Galega a danno di banche, società di immobili ed energia: la RG venne dichiarata, nel 2010, di stampo terroristico dal Tribunale Supremo spagnolo. Se il nazionalismo galiziano si è battuto per difendere la regione dalle dalle catastrofi naturali che l’hanno colpita nei primi Duemila, il governo della comunità sta abbozzando un nuovo Statuto di autonomia che definisca la Galizia una nazione, titolo senza valore legale.

Stesso procedimento tentato dall’Andalusia, comunità che però si è vista riconoscere solo lo stato di Nacionalidad, nazione storica: anche qui una forte comunanza culturale ha portato alla crescita di partiti nazionalisti, di cui solo alcuni però chiedono l’indipendenza da Madrid. Situazione simile si registra anche in Aragona, dove i partiti sostengono che la comunità abbia una storia così forte da rendere sensata la richiesta di una maggiore autonomia.

Una manifestazione indipendentista alle Canarie (Credits: Nación Canaria)

Praticamente estinti, invece, i gruppi nazionalisti presenti un tempo in Extremadura e in Murcia, mentre è alle Canarie che il nazionalismo ha ancora buon seguito. Governate da quasi venticinque anni dal nazionalista Coalición Canaria, nelle Isole serpeggia anche un fronte che fa leva sulle possibili radici identitarie berbere, indicando la Spagna come nazione usurpatrice. Nell’altro arcipelago spagnolo, le Baleari, è forte il senso di vicinanza e appartenenza alla causa catalana: insieme alla Comunità Valenzana, esse sono spesso incluse nei cosiddetti Països Catalans. Il catalano è lingua corrente, la vicinanza culturale è innegabile e il sostegno alle rivalse indipendentiste della Catalogna è forte. Non universale, come dimostra l’esistenza del Blaverismo, una corrente nazionalista valenzana che rifiuta l’inglobamento della propria identità in quella catalana, ritenuta troppo diversa ed egemone.

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