Il caso Spotlight: quando il giornalismo d’inchiesta diventa da Oscar

Gabriele Sebastiani
Virgola
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8 min readFeb 22, 2017
Da sinistra a destra: Rachel McAdams (Sacha Pfeiffer), Michael Keaton (Robby Robinson), Mark Ruffalo (Mike Rezendez), Marty Baron (Liev Schreiber) e Matt Carroll (Brian d’Arcy James) in una scena del film.

È ormai passato quasi un anno dalla vittoria come Miglior Film agli 88esimi Premi Oscar de il Caso Spotlight, il film che tratta dell’avvincente storia del pool investigativo del Boston Globe — chiamato per l’appunto Spotlight — che dall’inverno del 2001 riuscì a portare alla luce migliaia di storie di abusi su minori da parte del clero cattolico della città del Massachusetts. Una vittoria, almeno a mio parere, ampiamente meritata: al di là dell’appeal e dell’interesse che una trama simile riesce a richiamare nello spettatore, la regia, le luci, le ambientazioni e il ritmo forsennato con cui i reporter cercano di dar voce a chi non l’ha mai avuta, denunciando il lato più oscuro della Chiesa romana di Boston, rendono il film diretto da Tom McCarthy uno dei più grandi esempi di giornalismo trasposto su pellicola. A distanza di quindici anni dal primo articolo sul caso — pubblicato in prima pagina sul Globe il 6 gennaio 2002 — è bene sottolineare l’importanza di un lungometraggio come questo, capace di svelare i delicati meccanismi del giornalismo d’inchiesta nella loro interezza, dall’inizio di un’indagine fino all’esplosione di un caso che, per la sua vastità, rischia di sfuggire dalle mani di chi lo ha individuato.

Michael Keaton, Rachel McAdams e Brian d’Arcy James sul set.

Non meno importante, però, ripercorrere la storia del caso dalla sua nascita, cercando di capire se realtà e finzione cinematografica coincidono. Stando alle parole dell’ex direttore del giornale, Martin “Marty” Baron (Liev Schreiber nella pellicola), oggi a capo del Washington Post, il primo incontro avuto con la redazione del Globe andò esattamente come ci viene mostrato nel film. Baron, fino a poco tempo prima editor del Miami Herald, quotidiano della sua città natale, si potrebbe definire come l’outsider che spariglia le carte in tavola. Non sa nulla di Boston, dove viene inviato a dirigere il più diffuso giornale cittadino; è un tipo solitario, non ha famiglia; odia il baseball, lo sport più in voga da quelle parti. Per di più, non è minimamente a conoscenza delle dinamiche e del funzionamento della stampa locale: così, una volta accettato l’incarico di direttore del Globe, Baron si fa inviare mentre è ancora in Florida diverse copie del quotidiano per studiarlo, vedere che clima aspettarsi in una città così diversa da Miami. Ed è allora che si imbatte in un articolo incredibilmente, per lui, relegato in cronaca locale: padre John Geoghan, classe 1935, veniva accusato di aver violentato ottantaquattro minorenni per chissà quanti anni. Il giorno prima dell’insediamento di Baron al Globe, Eileen MacNamara (Maureen Keiller) pubblicò sul giornale un trafiletto in cui si racchiudevano le accuse di un legale bostoniano di origini armene, Mitch Garabedian (Stanley Tucci) che accusava il cardinale della città, Bernad F. Law (Len Cariou), di aver insabbiato tutto: pur essendo a conoscenza del comportamento di Geoghan, il religioso era stato infatti solamente riassegnato a un’altra parrocchia invece che dimesso dalla sua carica.

Per Baron non c’erano dubbi: la storia andava approfondita. Una volta arrivato in redazione, per il suo primo giorno, chiese quindi delucidazioni ai giornalisti sulla scelta di non trattare un caso così scottante. Silenzio. Qualcuno azzardò a dire che se anche ci fossero stati gli estremi per una storia da raccontare, i documenti che avrebbero potuto provare tutto erano sicuramente secretati. Baron sottolineò come, almeno a Miami, con una causa il giornale avrebbe potuto desecretare tutti i documenti utili alle indagini: possibile che nessuno al Globe ci avesse pensato? Fu così che prese il via un’inchiesta che di lì a poco avrebbe travolto la tranquilla e ultra religiosa comunità di Boston.

Liev Schreiber, Marty Baron nel film

Le rimostranze, però, non mancarono: più del 53 per cento dei lettori del giornale si professava cattolico, così come gran parte della redazione lo era, almeno per formazione. Andare a scavare in profondità negli anfratti più torbidi della religiosità locale poteva scatenare un vespaio che avrebbe di certo irritato la Chiesa Cattolica bostoniana. Ma il ruolo di outsider di Baron fu decisivo per mettere sul caso la squadra investigativa più longeva del paese: Spotlight, per l’appunto. Il pool investigativo venne creato da Timothy Leland negli anni Settanta, con il benestare dell’allora direttore del Globe, Tom Winship: in pochi però credettero veramente nel progetto, a cui diedero a malapena un anno di vita prima di chiudere i battenti. E invece Spotlight crebbe e continuò a lavorare, facendo luce su casi di corruzione e assenteismo a Boston, o indagando sull’altissima percentuale di malati di cancro e leucemia tra i dipendenti del cantiere navale di Portsmouth, nel vicino New Hampshire.

Ecco quindi che Michael “Mike” Rezendez (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Matt Carroll (Brian d’Arcy James), coordinati dal redattore capo Walter “Robby” Robinson (Michael Keaton) e dall’editor del Globe Ben Bradlee Jr. (John Slattery), cominciarono ad occuparsi di un caso di cui, per loro stessa ammissione, non sapevano più di tanto. Il team di Spotlight aveva infatti bollato il caso Geoghan, così come altri, come sporadico episodio di violenza da parte di un religioso isolato.

Un periodo, quello, in cui internet ancora non aveva preso il sopravvento, in cui una notizia, a meno che non fosse lanciata a gran voce dai canali all news o dai giornali di New York, difficilmente riusciva ad essere afferrata in tempo. Raramente si sentiva parlare di un caso di un altro stato della federazione, a meno che non fosse di eclatanti proporzioni: la disgregazione dell’informazione a livello nazionale era quindi riuscita a tenere i tasselli lontani, evitando che tanti casi simili potessero essere messi a confronto e assimilati in breve tempo. Come si vede nel film, inizialmente i quattro giornalisti si occupano di un caso che appare isolato, concentrandosi sulle ottantaquattro vittime di Geoghan.

Mark Ruffalo nei panni di Mike Rezendez

È con l’intervento di una vittima di abusi, Phil Saviano (Neal Huff), che il team finalmente si rende conto di avere in mano qualcosa di veramente grosso. I preti coinvolti diventarono molti, con il caso che si estese a macchia d’olio su tutti i quartieri di Boston, con una concentrazione maggiore nelle zone più difficili della città. Rezendes, Pfeiffer, Robinson e Carroll cominciarono a decifrare quello che si rivelò il modus operandi della Chiesa per evitare che lo scandalo venisse notato: i preti sospettati o accusati di molestie, come il team scoprì consultando gli albi parrocchiali di Boston dei decenni precedenti, poco dopo aver commesso le violenze venivano costretti a lasciare l’incarico e a trasferirsi altrove con giustificazioni non veritiere, molto spesso per “malattia”. Altrettanto importanti i colloqui con le vittime, colpite nel profondo da un passato di disagi e abusi: i loro dolorosi racconti aiutarono i giornalisti a validare quelli che per anni erano rimasti sospetti troppo a lungo taciuti e relegati alla cronaca locale.

Nel gennaio del 2001, inoltre, il giudice Costance Sweeney decise di permettere l’accesso ai documenti e alle deposizioni del processo Geoghan ai giornalisti del Globe: solo sul religioso il faldone conteneva oltre diecimila documenti. Mai, però, nelle carte si leggeva traccia di preoccupazione per la salute dei bambini coinvolti nelle violenze. L’unica preoccupazione era tenere segreta la faccenda per non minare la reputazione della Chiesa: i reati erano definiti “peccati” per i quali i religiosi si erano pentiti ed erano stati prontamente perdonati. Secondo Sacha Pfeiffer questa fu una delle chiavi di volta del problema: le violenze non venivano considerate atti da punire legalmente. Bastava una confessione, un formale perdono per un piccolo incidente di percorso.

Il Team di Spotlight al lavoro con Ben Bradlee Jr (John Slattery)

L’aiuto forse più determinante per Spotlight arrivò però da Richard Sipe, fonte importantissima per riuscire a stabilire la reale entità del problema. Secondo lui nella sola Boston il dieci per cento dei preti poteva essere considerato autore di molestie: una stima spaventosa, quella di Sipe. I religiosi colpevoli venivano quindi spediti in un centro di recupero, da dove poi venivano rilasciati con una certificazioni pseudo-scientifica che determinava come fosse possibile riabilitarli presso un’altra parrocchia. A questo punto il materiale in mano al team cominciò a diventare così vasto da dover tralasciare il singolo caso per andare a far luce su tutto il sistema, ormai consolidato chissà da quanto. La sfida, secondo Baron, non era più l’indagine individuale, ma accertare come per anni la Chiesa fosse stata capace di nascondere le violenze. E soprattutto: il Cardinale Law era al corrente di tutto? Dal caso delle novizie obbligate ad avere rapporti sessuali con un prete che si definiva Cristo in Terra per “entrare in comunione con Dio”, alla confessione di un anziano del Maine, che trovò il coraggio, dopo la pubblicazione del primo numero dell’inchiesta, di raccontare gli abusi subiti nel 1926, quando era solo un dodicenne: la questione della diffusione dei reati di violenza sui minori negli Stati Uniti assunse risvolti agghiaccianti. I giornalisti del Globe diventarono persone stimate, con cui confidarsi, alle quali le migliaia di vittime di inimmaginabili abusi scaricarono un macigno che si portavano dietro da chissà quanto tempo.

La copertina del Boston Globe del 6 gennaio 2002. Il pezzo di testa “La Chiesa ha permesso abusi da parte di preti per anni” è il primo articolo dell’inchiesta che valse il Pulitzer a Spotlight

Una delle cause per cui molte vittime non parlarono fino a quando Spotlight trattò la notizia dipese dalla granitica infallibilità che la comunità di Boston attribuiva all’autorità spirituale della città: la singola vittima vedeva la sua storia stracciata, inascoltata, ancora prima di averla raccontata a qualcuno. Lo dimostrano i documenti di Phil Saviano inviati al Globe anni prima sull’argomento e mai studiati, così come la soffiata perduta di un avvocato della Chiesa che faceva i nomi di alcuni dei preti coinvolti nelle violenze e per questo fatti sparire dalla propria parrocchia.

Dopo mesi di estenuanti indagini, il Globe decise di far uscire il 6 gennaio del 2002, in prima pagina, il primo articolo di quello che oggi è conosciuto come il “Massachusetts Catholic sex abuse scandal”, per il quale Rezendez, Pfeiffer, Robinson e Carrol vinsero il premio Pulitzer nel 2003. Il film termina proprio a poche ore dalla diffusione della notizia in tutta la città e nel New England, “all’inizio della vicenda”, sostengono i membri del team, di cui oggi fa parte il solo Rezendez: da quell’edizione del quotidiano, il Globe pubblicò poi quasi seimila articoli sull’argomento, dando voce a chi credeva che non l’avrebbe mai avuta e portando alle dimissioni dopo quasi 19 anni il Cardinale Law, reo di aver taciuto quello che poi si delineò come un problema su scala mondiale. Nel 2003 l’Arcidiocesi di Boston fu affidata a Sean O’Malley, cardinale che in precedenza si era occupato di abusi su minori, il quale garantì 85 milioni di dollari di risarcimento per le vittime di un clero violento e omertoso.

Sopra il cast degli attori, sotto i veri protagonisti della vicenda. Da sinistra: Rezendez, Brandlee Jr, Pfeiffer, Robinson, Baron e Carroll.

Il Caso Spotlight non assume importanza solo per la sua vittoria agli Oscar, ma perché è riuscito a mostrare a tutti come il giornalismo — in un periodo storico in cui sembra che non si sappia che farsene — sia ancora fondamentale e imprescindibile per dare voce alla verità, per far vedere come stanno davvero i fatti e, come in questo caso, garantire una qualche giustizia per quelle persone oppresse e soffocate da un potere troppo più grande di loro.

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