In foto : Ryszard Kapuściński

Il cinico non è adatto a questo articolo.

Per comprendere l’empatia leggete Ryszard Kapuściński

Giorgio Penna
Virgola
Published in
5 min readSep 30, 2017

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Frequentavo la terza superiore, in un istituto tecnico industriale di una piccola città pugliese, seguivo l’ora di religione. Un’ora per me stranamente fantastica, con il professore avevamo deciso che per tutto l’anno avremmo letto, studiato e analizzato il libro “Gomorra” di Roberto Saviano, così da poter aprire dibattiti sulle mafie.

In una classe di soli maschi, con il testosterone ai livelli massimi, volavano critiche, battute e analisi piuttosto superficiali, non erano attente ne impegnate. Fu così che il professore ci illuminò con un consiglio che solo per alcuni sarebbe diventato realmente significativo: << Ragazzi per comprendere cos’è l’empatia vi consiglio di leggere i libri di un giornalista polacco: Ryszard Kapuściński, vi aiuterà a capire cosa vuol dire immedesimarsi negli altri.>>.

Autore di memorabili opere di storia contemporanea a cavallo tra reportage giornalistico e grande letteratura, privilegiando in tutti i casi la presa diretta, la chiacchierata informale con la gente comune, << Kapuściński — spiega Maria Nadotti in una sua intervista — riesce a “sparire tra la gente”, a farsi prendere ovunque per uno del posto.>>.

Il primo libro lo scelsi dal titolo, senza nessuna logica temporale, senza cercare magari il suo primo scritto per poter poi procedere con ordine. Il mio viaggio verso la conoscenza di questo giornalista sarebbe iniziato con: “Il cinico non è adatto a questo mestiere”.

Edizione Tascabili.

Un libro piuttosto piccolo, 107 pagine dove si discute, in varie interviste poste nel 1999 allo scrittore, sul buon giornalismo. In quelle poche pagine si comprende subito quella che può essere la natura di quest’uomo con tutti i suoi annessi interrogativi.

Nato nel 1932 a Pinsk oggi Bielorussia, Kapuściński visse a seguito della sua vita, la Seconda Guerra Mondiale, il comunismo di Stalin, la Guerra Fredda, prima di poter lentamente uscire dal suo paese per poter vedere il mondo. Ingenuamente la prima immagine che sale alla mente è quella di un uomo distrutto o comunque profondamente colpito, come molti lo sono stati avendo vissuto le sue stesse esperienze, invece no, le sue prime parole che appaiono nel libro mi fanno comprendere l’abilità di analisi e immedesimazione di quest’uomo: << Oggi, per capire dove stiamo andando non bisogna guardare alla politica, bensì all’arte. Come l’arte postmoderna insegna, forse ci si potrebbe accorgere che c’è spazio per tutti e che nessuno ha più cittadinanza di altri>>.

L’intervista continua, il suo modo di vedere la figura del giornalista mi piace sempre di più, rendendo questa professione sempre più affascinante ai miei occhi. Solo una persona realmente dedita a questo mondo riesce a descrivere la professione per quello che veramente è, elencando vari elementi fondamentali come il sacrificare qualcosa di noi per poter rendere veritiero e il più possibile imparziale un’informazione; come questa professione sia un costante approfondimento delle nostre conoscenze o come per diventare realmente giornalista non sarà il direttore a deciderlo ma i lettori.

Nel corso del libro Kapuściński racconta i suoi viaggi, di come per poter raccontare una storia è necessario vivere il posto del quale si sta parlando, anche non conoscendo la lingua è importante vivere fra la gente “comune” per poter comprendere realmente la condizione di vita di un paese.

Ma la lezione più importante che inconsapevolmente mi è stata insegnata è avvenuta leggendo le parole di Ryszard: << Credo che per fare del giornalismo si debba essere innanzi tutto dei buoni esseri umani. Se si è una buona persona si può tentare di capire gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi, le loro difficoltà, le loro tragedie. È una qualità che in psicologia viene chiamata “empatia”. Attraverso l’empatia si può capire il carattere del proprio interlocutore e condividere in maniera naturale e sincera il destino e i problemi degli altri.>>.

In queste sue parole capisco la necessità dello “scomparire”, del dimenticarci della nostra esistenza, così da poter entrare in una storia senza essere bloccati inizialmente dai nostri preconcetti che ci distaccherebbero dal racconto.

Ed è così che mi sono appassionato al mondo del giornalismo, tanto da tentarne gli studi. Tolti quindi i problemi esistenziali, come conoscere realmente chi abbiamo di fronte?

Ryszard Kapuściński risponde anche a questa domanda con il secondo libro che ho preso tra le mani: “L’altro”.

Edizione Feltrinelli

In questo saggio viene spiegato e contestualizzato storicamente come la definizione “l’altro”, “gli altri” può essere usata per svariati significati e contesti, ma tutti per indicare una differenza di genere che sia generazione, nazionalità, religione, sesso e via dicendo. Raccoglie le conferenze che Kapuściński ha tenuto in diverse occasioni, dal 1990 al Simposio Internazionale degli Scrittori a Graz, fino ad arrivare a quella tenuta nel 2004 presso l’Institut für die Wissenschaften vom Menschen di Vienna. Il tema affrontato, quello dell’”altro”, ossia del diverso, di ciò che è altro rispetto a noi, viene sviscerato con grande accuratezza, indagato, fino ad arrivare a toccare le corde più profonde dell’essere e dell’animo umano. Partendo proprio dalla definizione d’altro in senso lato, Kapuściński sottolinea che ogni incontro con qualcuno diverso da noi è un indovinello: <<Qualcosa d’ignoto se non addirittura segreto>>.

<<Questi estranei — dice lo scrittore — oltre a rappresentare una delle più ricche fonti di conoscenza del mondo aiutano anche il nostro lavoro in molti altri modi, che vanno dal favorire i nostri contatti con altre persone al metterci a disposizione la loro casa, fino al salvarci addirittura la vita.>>.

Realizzato stabilendo una suddivisione interna delle parti, questo volumetto di sole 77 pagine delinea sapientemente un tema scottante com’è quello del “diverso”, il bárbaros greco. Senza esclusione di colpi, tuttavia mantenendo un buon equilibrio e un tono intelligentemente pacato, il reporter polacco dimostra, ancor una volta, d’aver còlto nel segno, illuminandomi con una lezione sulla curiosità di superare i confini — fisici e mentali — , nel rispetto di sé stessi e degli altri. Quattro conferenze che diventano il testamento spirituale di Ryszard Kapuściński.

Vi lascio con un messaggio che lo scrittore polacco ha lasciato per tutti noi, per chi in futuro come me vorrà diventare giornalista o semplicemente per chi avrà voglia di capire le persone che ha intorno: << La nostra professione non può essere esercitata al meglio da nessuno che sia cinico. Occorre distinguere: una cosa è essere scettici, realisti, prudenti. Questo è assolutamente necessario, altrimenti non si potrebbe fare il giornalismo. Tutt’altra cosa è essere cinici, un atteggiamento inumano, che allontana automaticamente dal nostro mestiere, almeno se lo si concepisce in modo serio. Naturalmente qui parliamo solo di grande giornalismo, che è l’unico di cui valga la pena occuparsi, non certo di quel cattivo modo di interpretarlo che vediamo di frequente>>.

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