Il lago lo amo, anche se c’ho preso tutti i mali del mondo

Natalia Pazzaglia
Virgola
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7 min readSep 18, 2017

Il primo articolo sui luoghi delle vacanze della redazione di Virgola

Ho sempre pensato che fosse sacro, con quei tramonti di sangue, d’inverno. Da piccola lo scambiavo per il mare, dove non volevo andare mai: mi dava fastidio il sale e mi mancavano i lattarini, i pesci che avevo imparato a pescare con le mani. La mattina l’acqua era quasi sempre limpida, fredda di tramontana. Si vedevano sul fondo i sassi marroni e neri, li raccoglievo per farli rimbalzare a pelo d’acqua. Il lago di Bolsena è un lago calmo, nato nell’Alto Lazio dalla caldera di un vulcano, in un paesaggio influenzato dalla spiritualità umbra e dai colori toscani. C’è chi sostiene che fosse il centro della civiltà etrusca, chi parla di corridoi sotterranei tra l’Isola Martana e la terra ferma, e chi giura di sentire, quando le acque sono agitate, il grido della regina Amalasunta, imprigionata e uccisa in una delle due isole.

Da Biagio arrivo tardi, alle sette e mezza. Come me, anche lui è bolsenese, fiero cittadino di questo borgo medievale ricordato per il lago e per il miracolo eucaristico del 1263.

Mi accoglie la moglie, mi scuso per aver fatto ritardare la cena. Mi fa sedere, offrendomi da bere.

Biagio arriva dopo qualche minuto, in camicia celeste e jeans. Ha la pelle abbronzata e macchiata dal sole. Occhi azzurri e lo sguardo di chi ne ha viste tante. Ci sente poco, bisogna ripetere le cose un paio di volte. Quando inizia a parlare mi dà del lei.

“Sono settant’anni che faccio il pescatore, da quando avevo nove anni.

Eravamo dieci persone in casa, così, quando ero ancora deboluccio, ho smesso di andare a scuola e sono andato con papà a pescare. Nella mia vita di pescatore non ho avuto altro che soddisfazioni, barcate piene di pesce: persici, cefali e coregone. M’è capitato di pescarne tre quintali in una mattina. Le pesche che mi piacevano di più, però, erano quelle dei cefali. In primavera, quando andavano in amore, si mettevano a galla con la schiena fuori e giravano in tondo. Sembrava un sogno.

Si muovevano lentamente, dandomi il tempo di andare a cercare aiuto: per prenderli tutti servivano almeno due barche e quattro persone esperte. Un paio di volte all’anno ne pescavo trenta, quarantacinque quintali. Davanti all’hotel “Le Naiadi” ho avuto la più grande soddisfazione: ho dovuto portare a terra la rete con quarantacinque quintali di pesce”.

Il Lago di Bolsena

Il Lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d’Europa. Si trova nell’Alto Lazio, quasi al confine tra Umbria e Toscana. Ha una forma ovale, 300.000 anni e otto paesi intorno: Marta, Capodimonte, San Lorenzo Nuovo, Montefiascone, Gradoli, Valentano, Grotte di Castro e Bolsena, da cui prende il nome. Le coste sono basse, di sabbia nera, sulle rive ci sono canneti dove vivono uccelli acquatici: morette, folaghe e aironi cinerini. Ci sono anche i migratori, che vi trovano riparo durante gli spostamenti dal nord al sud dell’emisfero. È un lago molto esposto ai venti, diversi a seconda della direzione di provenienza. Il libeccio, ad esempio, arrivando da sud-ovest, rende le acque della zona di Bolsena agitate. È un vento caldo, che soffia quasi sempre di pomeriggio. La tramontana, invece, arriva sulle coste di Bolsena quasi sempre la mattina, portando una calma piatta, senza onde, e un’acqua fredda che lascia intravedere sui fondali pietre ocra, grigie e marroni.

Le acque del lago sono limpide, alimentate da sorgenti sotterranee che forniscono un ricambio continuo. Per questo si trovano anche pesci pregiati, come il persico, il cefalo, il gambero di fiume e i capitoni, oltre ai più comuni: coregoni, tinche, anguille, lattarini e carpe. Sulle rive spesso si vedono grandi reti, lasciate ad asciugare accanto a barche col fondo piatto. Pare che la loro forma, così elegante e regolare, derivi dalle imbarcazioni etrusche, il popolo colto e misterioso che si insediò nella zona a partire dal VII secolo ac.

“La mia barca è piccolina, ma è sempre andata bene, tranne quella volta in cui l’acqua del lago era troppo bassa per la pesca dei cefali. Perché — lo sa vero? — la rete deve prima andare giù una cinquantina di metri, poi si chiude e si tira all’interno, da sotto. Io le reti me le sono sempre armate da solo, ore e ore a lavorarle a casa, prima di andare a pescare, per dare il peso giusto perchè andassero bene a fondo. Un giorno mi ricordo che c’erano solo sette, otto metri d’acqua. Per riuscire a fare il lavoro abbiamo dovuto portare tutto a traino col motore e poi prendere dalla riva, col guadino, tutti i pesci. Eravamo in quattro per quarantacinque quintali di cefali.

I pescatori — lo sanno tutti — sono ignoranti. Io la scuola non l’ho proprio fatta e c’ho da spiegare poche cose. Non so nemmeno parlare, al massimo imbroglio su qualcosa.

La vita del pescatore è una vita di sacrifici. Se il tempo è buono ci si alza alle tre, si va a mettere le reti e poi alle sei le si va a ritirare. Stamattina, per esempio, ho preso un coregone da un chilo e tre. Era bello, sembrava uno squalo. Ne ho pescati, però, anche di più grossi: quando avevo nove anni uno da tre chili. Il coregone è uno dei pesci più speciali: si trova solo nei laghi, qui, in quello di Bracciano, sul lago d’Iseo e su quello di Garda. Al Trasimeno no, è troppo basso. È un pesce che per vivere ha bisogno di almeno quaranta, cinquanta metri di profondità. Il nostro lago arriva fino a 150 metri, quindi va benissimo. Poi con gli incubatori hanno fatto un gran lavoro. Lo sa come funzionano, no?

Che poi, mò te do del tu, va bene?

Beh, insomma, gli incubatori funzionano con dei bottiglioni dove mettono le uova con il latte del maschio, per favorire la riproduzione e aumentare la quantità di pesce. Lo fanno con quasi tutte le specie: la tinca, il persico, il luccio, il persico trota (il boccalone, per capirci), il coregone. Manca solo il persico reale; di quello la semina non la fanno, e infatti nel lago ne sono rimasti pochi. Quando ero ragazzo, però, col mio papà ne ho presi due quintali.

Il persico è un pesce speciale: magro ma gustoso…Anche il luccio è buono. C’è stato un periodo in cui ne pescavo tanto con la turlindana, un filo di rame al quale si lega un pescetto con un amo. Il luccio è curioso, lo morde e resta preso nella rete.

Non ci crederai: una volta sono andato con la turlindana davanti al Lido Camping, sulla strada verso Montefiascone, e ho preso dieci chili di luccio. Un pesce, però, quello più grosso, di cinque, sei chili, è riuscito a scappare via. Aveva abboccato, l’amo gli si era infilato sotto la mascella. Però lui è stato furbo: è andato a marcia indietro e ha staccato l’amo. Ma dopo un mese l’ho ripreso. Era proprio lui, aveva un ematoma nella mascella.

La cosa più strana, però, mi è capitata quella volta che tornavo da Gradoli, dovevo essermi fermato a dormire dalle parti del Purgatorio. Si dormiva dove capitava, vicino al posto dove si mettevano le reti; ogni spiaggia era buona.

Era mattino presto, c’era la nebbia. Ho visto un affare nero; pensavo che fosse un cane che cercava il padrone. Invece era un cinghiale. Non ci crede nessuno quando lo racconto, ma era lì, nell’acqua. Probabilmente gli avevano dato fastidio nella zona del Monte di Bisenzio, s’era buttato e non aveva trovato più la riva. Quando mi ha visto ha dato un salto!

Io, capirai, mi sono impaurito. Ho capito che non era aria e me ne sono andato come un fulmine.

Biagio Puri, pescatore di Bolsena

Cosa mi piace più del lago?

Mah, guarda, del lago mi piace tutto. Son proprio malato, è tutto bello. Intorno all’isola, poi, c’ho fatto la vita fino a trent’anni. È una miniera di pesce, una volta c’ho preso una trota da undici chili. Mamma mia, che spettacolo era! Non è che l’acqua sia profonda ma ci sono tanti scogli. È come un incubatorio, stanno tutti lì i pesci. Parlo dell’Isola Bisentina, eh. Quell’altra, la Martana, non mi piace. Rimane magra”.

Nel lago ci sono due isole: la Martana e la Bisentina. La Bisentina è la più grande, diciassette ettari per lo più coperti da boschi di lecci centenari. Per decenni proprietà dei Principi Del Drago, i nobili della città di Bolsena, ospita un convento francescano, una villa e sette cappelle. In passato a chi faceva il giro completo era concessa l’indulgenza plenaria. L’isola Martana è più piccola, dieci ettari di boschi e pareti di rocce vulcaniche. Si racconta che qui fu relegata Amalasunta, regina dei Goti, dal cugino e marito Teodato, prima di essere strangolata mentre faceva il bagno.

Me la ricordo bene, la storia di Amalasunta. Me la raccontavano da piccola, parlando di un corridoio sotterraneo tra l’Isola Martana e la terraferma, un percorso semi-sconosciuto che avrebbe potuto — forse — salvare la vita alla regina.

Biagio continua a parlare, seduto su una seggiola in giardino. Gesticola spesso, specialmente per assicurarsi che io abbia capito le lunghezze dei suoi pesci. La cena non è ancora pronta.

“ “Ormai noi pescatori della vecchia generazione siamo rimasti pochi. Igiovani hanno barche e attrezzature diverse con le quali è tutta un’altra cosa rispetto alla fatica che facevamo noi. Che poi, sai, io nella barca ci sono proprio cresciuto; da quando avevo nove anni è stata come una casa. Ero nell’età dello sviluppo e mi sono rovinato. Ormai c’ho la colonna tutta storta, che pende da una parte come una canna. Anche le gambe ho rovinato; sono una più corta dell’altra. Ho fatto mille visite, ma niente da fare. Ormai sono malandato, quando mi prende il dolore mi tocca mettermi seduto fermo fermo, per farlo passare.

Però, io glielo dico sempre a la mì moglie e ai figli: “Non me levate il lago se volete che campo qualche altro anno”. Io lo amo, il lago, anche se c’ho preso tutti i mali del mondo”.

“Biagio, che dice, domani farà bel tempo? Andrà a pescare?”

“Sì. Mi alzo alle tre e vado. Però zitta, mi raccomando, che sennò la mì moglie non me ce manda”.

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Natalia Pazzaglia
Virgola

Reporter, traveller and storyteller, with a passion for social and gender issues