La leggenda di un uomo comune

Gabriele Gentile
Virgola
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4 min readFeb 23, 2018

Il primo oro “azzurro” in un’olimpiade invernale? Settant’anni fa, nello skeleton: a Saint Moritz. Per merito di un fruttivendolo!

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In principio fu la noia. Quel sentimento di apatia connaturata all’assenza di azione. O così vuole la leggenda del primo oro azzurro in un’olimpiade invernale. La leggenda di Nino Bibbia.

1948, Saint Moritz. La quarta edizione dei giochi olimpici si tenne nella famosa località svizzera, a distanza di vent’anni dalla prima, disputata sempre in terra elvetica. Il ritorno dei giochi nella città dei Grigioni comportò il reinserimento dello Skeleton nel programma olimpico. Questa particolare disciplina, versione prona del più tradizionale Bob, comparve sulla scena olimpica nella prima edizione dei giochi, per poi essere accantonata nelle successive (1932–1936), per motivi economici — i costi ingenti della pista — e di sicurezza. Saint Moritz, tuttavia, era stata dotata di un’apposita struttura già al volgere dell’800, proprio per combattere la noia di alcuni vacanzieri inglesi. Dopotutto gli inglesi, proprio per la loro avversione al dolce far nulla, nella loro storia hanno prima conquistato il mare, e successivamente posto la propria bandiera sulle terre di mezzo mondo.

Il mitico Cresta Run pertanto, fu la prima, e per lungo periodo unica, pista adibita per le gare di Skeleton. Fu costruita per permettere agli annoiati vacanzieri di sperimentare il brivido di sfrecciare lungo rapide discese innevate. La pista seguiva il letto di un fiume, si protraeva per oltre 1200 metri, e il punto più alto dalla quale partiva era nei pressi di una Chiesa in rovina del XII secolo. Per non sembrare banali, i sudditi della Regina Vittoria iniziarono a lanciarsi lungo il Cresta Run con il dorso rivolto verso il cielo, raggiungendo velocità vertiginose. La noia, il solo peccato imperdonabile del mondo, secondo Wilde, era così sconfitta, e quel percorso scavato nella neve sarà protagonista delle due uniche partecipazioni dello Skeleton tra le discipline olimpiche del ‘900.

Ma un luogo, seppur unico, necessita di una storia per entrare nel mito, e di un nome per creare una leggenda. Un uomo comune come Nino Bibbia.

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Figlio di un fruttivendolo del Valtellina che commerciava in Svizzera, Nino si trasferì con la famiglia a Saint Moritz poco prima del secondo conflitto mondiale, riuscendo in tal modo ad evitare la chiamata alle armi. La vita d’oltralpe di Nino, tuttavia, rimaneva molto simile a quella che aveva lasciato nella provincia di Sondrio, dedita interamente all’attività di famiglia. Quasi per caso, raccontano, s’imbatté nel celebre Cresta Run, percorso a bordo di una cassetta della frutta. Quell’esperienza portò Nino a considerare l’ipotesi di passare all’agonismo, cosa che avvenne nel 1946, sugellando con il titolo svizzero nello slittino ciò che prima era nient’altro che un divertimento. Divenuto in breve tempo tra i più forti Slittinisti della pista “Celerina”, come fu per gli ospiti inglesi di fine ‘800, anche per Nino la noia cominciò ad essere pressante. La voglia di superarsi e mettersi in gioco lo portarono a gareggiare in altre discipline, individuali e collettive, come il salto con gli sci e l’hockey su ghiaccio. L’incontro con lo Skeleton arrivò solo un anno dopo.

La leggenda vuole che, a ridosso del Natale 1947, un cliente della famiglia Bibbia, venuto a conoscenza della grande passione del giovane Nino per gli sport sul ghiaccio, propose la sua slitta da Skeleton per una cassa di Chianti. Il giovane, inizialmente titubante, alla fine accettò. Da lì a pochi giorni, il giovane Bibbia fu cooptato e arruolato dal conte Bonacossa per la spedizione azzurra che avrebbe gareggiato ai giochi olimpici di Saint Moritz. Nino fu iscritto nelle gare di Bob e Skeleton; in quest’ultima disciplina fu iscritto in quanto unico possidente di una slitta regolamentare.

Le gare di Skeleton si tennero il 3 e il 4 febbraio. Alla fine della prima giornata, dopo le prime tre discese, nelle quali aveva ottenuto il quarto, il secondo, e il miglior tempo, Nino risultò sorprendentemente secondo nella classifica generale. Il giorno dopo, la partenza fu spostata all’altezza della chiesa, molto più in alto della giornata precedente. Era la prima volta che Nino affrontava il Cresta Run dal suo punto più alto, e lo faceva con il secondo tempo generale. Una volta lanciatosi, si accorse di riuscire a sfruttare molto di più la propria aerodinamicità, e per ben due manche su tre fece segnare il miglior tempo della pista, lasciandosi alle spalle lo statunitense Heaton, argento anche vent’anni prima, e il britannico (guarda caso) Crammond.

Abbozzò un leggero sorriso, Nino, senza accorgersi di ciò che aveva fatto. Non solo l’oro, ma anche il record della pista (5’23”2). Al primo tentativo.

Dopo quell’impresa, lo Skeleton fu nuovamente estromesso dai giochi olimpici, prima di ricomparire nel 2002 a Salt Lake City. Nino Bibbia, invece, continuò a gareggiare, vincendo tre titoli mondiali (1955-‘59-‘63) e diversi titoli svizzeri, di cui l’ultimo a cinquant’anni nel 1972. Ovviamente sul Cresta Run.

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Nel 1985, nel centro di Saint Moritz, eressero una statua di bronzo agli impavidi rider del Cresta Run, ma era un omaggio soprattutto a lui. A Nino Bibbia.

Alla leggenda di un uomo comune.

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