La sottile linea rossa di Charlie Hebdo

Un commento sulle polemiche al settimanale satirico più famoso al mondo dopo la vignetta sulla tragedia di Rigopiano

Nicolò Fagone La Zita
Virgola
7 min readFeb 8, 2017

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7 gennaio 2015. Poco più di due anni fa, intorno alle 11.30, due terroristi entrarono nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, e aprirono il fuoco. Il periodico aveva già ricevuto diverse minacce in seguito alla pubblicazione di alcune vignette raffiguranti Maometto, e nel 2011 la sede divenne bersaglio di alcune bombe molotov. Nulla rispetto a quel giorno, quando in rue Nicolas Appert, nel pieno centro di Parigi, 12 persone persero la vita. Tra queste il direttore Charbonnier e i vignettisti Bernard Verlhac, Jean Cabut, Philippe Honoré e Georges Wolinski.

L’ultima vignetta firmata Charb è drammaticamente profetica: ritrae un talebano che invita a non preoccuparsi del fatto che in Francia non ci siano ancora stati attentati perché: “C’è tempo fino alla fine di gennaio per fare gli auguri”.

I due uomini incappucciati ed armati di kalashnikov furono successivamente identificati come i fratelli franco-algerini Said e Cherif Kouachi, ed uccisi poco dopo tramite un blitz delle forze speciali a Dammartin en Goele. L’attentato venne rivendicato dall’organizzazione terroristica di stampo islamista sunnita Al Qaeda, principale rivale dell’Isis per il “titolo” di criminalità organizzata più temuta dall’Occidente.

In seguito alla terribile strage giunsero innumerevoli messaggi di cordoglio, vicinanza e condanna da tutto il mondo, e il presidente francese Hollande dichiarò l’8 gennaio giornata di lutto nazionale.

“Je suis Charlie” divenne lo slogan di solidarietà e di identificazione con il popolo francese ed il giornale in particolare, condiviso da milioni di persone nei propri profili Facebook e Twitter, come una dichiarazione di sfida al mondo degli estremisti islamici.

Il settimanale satirico tornò in edicola il 14 gennaio, appena una settimana dopo i tragici eventi, ancora una volta, senza timori. In copertina, su un fondo verde, la caricatura del Profeta Maometto vestito di bianco, una lacrima gli scende dal volto, e tra le mani tiene il cartello “Je suis Charlie”, posto sotto la dicitura “Tout est pardonnè”, tutto è perdonato. Esattamente il contrario rispetto ai voleri di chi ha progettato la strage.

Durante la conferenza stampa di presentazione il vignettista Luz non ha trattenuto la commozione: “Ho disegnato un Maometto che piange” commenta, “nel realizzarlo non ho trattenuto le lacrime anch’io”.

Da quel terribile 7 gennaio fino al 31 agosto del 2016, il popolo italiano non ha avuto alcun dubbio sulla bontà e la politica di Charlie. Poi, ecco la prima di due vignette contro il Belpaese, mentre questo veniva martoriato da un terribile sisma, e si stava ancora scavando tra le macerie alla ricerca di qualche sopravissuto. “Terremoto all’italiana” pronunciava la vignetta, la quale mostrava due persone insanguinate e altre sepolte a strati, come il ripieno di una pasta, con accanto la dicitura “Penne al sugo di pomodoro, penne gratinate, lasagne”. E nel colonnino a destra spuntava la battuta autoironica “Circa 300 morti in un terremoto in Italia. Ancora non si sa se il sisma abbia gridato ‘Allah akbar’ prima di tremare”.

Immediate le condanne in rete, ma la reazione non si è limitata ai social. Diverse figure del panorama politico italiano hanno manifestato il proprio dissenso e indignazione con dichiarazioni che mettevano in risalto la facilità con cui si passa dalla libertà di espressione al cattivo gusto. Una condanna unanime contro chi fa dell’ironia sulle vittime di un evento catastrofico, tanto che l’ambasciata francese a Roma è dovuta intervenire con un comunicato per prendere le distanze dal settimanale “Il disegno pubblicato da Charlie Hebdo non rappresenta assolutamente la posizione della Francia” si sottolinea nel testo, “la Francia ha espresso le sue sincere condoglianze alle autorità e al popolo italiano e ha offerto il suo aiuto. Siamo vicini all’Italia in questa difficile prova”. Come se la Repubblica francese c’entrasse qualcosa con le matite di Charlie.

Il giornale ovviamente non si è voltato indietro e nelle ore successive, tramite facebook, ha pubblicato una vignetta di precisazione dove, come nel disegno subissato di critiche, compare una persona insanguinata sotto le macerie che si rivolge così al lettore: “Italiani… Non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!”. Come a voler evidenziare a tutti il vero obiettivo celato dietro la raffigurazione.

Infine lo scorso 19 gennaio, il settimanale satirico ha di nuovo scatenato numerose polemiche per una vignetta che ironizza sulla tragedia dell’Hotel Rigopiano. Questa volta compare la scritta “La neve sta arrivando e non sarà sufficiente per tutti”, mentre la personificazione della morte scende dalla montagna a bordo di un paio di sci impugnando due falci al posto delle racchette. La goccia che ha fatto traboccare il vaso di molti.

C’è chi ha sporto denuncia, altri addirittura hanno invocato nuove stragi, un atteggiamento criminale.

Esecrabile disumanità, infinità volgarità, figli del nulla, prodotti del nichilismo, l’altra faccia del terrorismo, sono le espressioni che danno voce al parere di chi, dopo questi numeri, ha voltato le spalle a Charlie. Colpevole di aver ironizzato ancora una volta senza alcun rimorso o pietà sui morti in Abruzzo, perdendo un’ottima occasione per tacere.

La satira da quando è nata si concentra sul rapporto tra servo-signore, suddito-padrone, e ciò in maniera critica e liberatoria. Alla redazione viene imputato di non schernire i potenti ma chi li subisce, rivelandosi in quest’ottica l’ennesimo cane da guardia al servizio del padrone.

Forse è proprio questo il momento in cui si può affermare o meno il leitmotiv “Je suis Charlie”, senza cadere nella retorica o celarsi dietro un significato ambiguo. Risulta evidente come l’indignazione collettiva odierna si fonda sulle stesse fragili fondamenta di pensiero su cui poggiava al tempo l’amatissimo slogan. E’ opportuno in questo contesto precisare come la satira per sua natura si avvale della facoltà di non risparmiare nessuno, compresi i defunti. Essa corrisponde ad un’esigenza dello spirito umano: il continuo oscillare tra sacro e profano. I principali temi che affronta riguardano la politica, la religione, il sesso e la morte, da sempre. Questo con l’intento di proporre attraverso la risata delle piccole verità, prospettive differenti, smascherando le ipocrisie e mettendo in discussione convinzioni confezionate. Si distingue dalla comicità e dal mero sfottò poiché ricorre a fatti rilevanti, proponendo un punto di vista e non solo del “colore”.

Satira è sinonimo di libertà assoluta, ma non è un mondo di soli privilegi, infatti in questo modo si espone a pericoli di ogni genere, come già constatato.

Sono d’accordo sul ritenere la vignetta di Felix su Rigopiano mal realizzata, brutta, poichè trasmette un messaggio distorto rispetto alle reali intenzioni dell’autore. Fa schifo. E non per l’offesa alle vittime, ma perché questa impressione prevale in maniera così netta da rendere impercettibile ed enigmatico il messaggio sottostante, che intende denunciare l’incoscienza, il pressapochismo e la trascuratezza che hanno reso questi terremoti così dolorosi.

La totale libertà è la condizione migliore per produrre opere sublimi, ma questo non significa che non si possano commettere talvolta delle porcherie.

L’ultima vignetta riguardante l’Italia non suscita sicuramente ilarità, ma lo scopo di Charlie non è mai stato questo.

E interpretare le disgrazie non è perseguibile penalmente.

Tuttavia, così com’è sacra la libertà di stampa lo è altrettanto quella di critica e di dissenso ma, a prescindere da questo, ritengo infondate le ultime critiche: Charlie non si è mai tradito, la sua politica è sempre stata la stessa, è stato spietato persino con se stesso.

Si deve chiarire con sincerità ed onestà intellettuale un concetto: la libertà di satira va difesa contro ogni repressione? Altrimenti si deve riconoscere come sia facile appoggiarla quando attacca un bersaglio condiviso ma altrettanto negarla quando ci colpisce nei nostri sentimenti e debolezze.

Io personalmente non mi schiererò mai a favore di qualsivoglia censura, non mi unisco all’unanime condanna. Anzi, così come reclamo il diritto a criticare la vignetta di Rigopiano, ugualmente rivendico quello di continuare a proteggere i valori rappresentati da Charlie Hebdo, a maggior ragione ora che può risultare sgradito e antipopolare.

Dopotutto le vignette del satirico non descrivono esattamente quello che è successo? Non danno voce a quello che tutti noi pensiamo? Non ci saranno altri terremoti e altre centinaia di morti? Forse non ci sta bene perché lo affermano i nostri cugini francesi? La vignetta è intollerante. D’accordo. Ma non lo è anche l’ipocrisia di chi si dimentica che tra 6–7 anni con ogni probabilità accadrà una tragedia simile?

Inoltre le vignette non hanno alcuna concretezza nella realtà, il loro valore consiste nello spazio che noi siamo disposti a concedergli. Non hanno alcun peso, anche quando sono geniali.

Non ha senso incazzarsi con chi è portatore di libertà, chi ne fa un capro espiatorio commette forse inconsapevolmente un gesto vile. E non si accorge di fraternizzare con i reali carnefici, coloro a cui andrebbe indirizzata tutta questa frustrazione.

E’ opportuno liberarsi da quel conformismo che offusca la mente e pone un velo sulle capacità di valutazione.

Pensiamo, riflettiamo, cambiamo prospettiva, critichiamoci, solo così saremo davvero liberi.

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