Le quattro S di Atifete Jahjaga

Natalia Pazzaglia
Virgola
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3 min readFeb 1, 2017

“Siamo orgogliosi della gloria e dell’esempio di Skenderbeg, della personalità di Madre Teresa, delle azioni di Adem Jashari, dell’attività di Ibrahim Rugova. Tutte queste personalità brilleranno nel futuro determinando chiaramente la nostra strada, il nostro impegno e il nostro ideale di libertà, onestà e uguaglianza”

Atifete visita un cimitero dove sono seppellite le vittime della guerra in Kosovo

Atifete è una donna, quando viene eletta presidente nel 2011 ha 46 anni.

Non ha fatto campagna elettorale.

Il Kosovo alla sua elezione ha tre anni di vita come stato indipendente. È la più giovane capo di stato donna della storia.

Cresciuta nella paura del regime serbo, la Jahjaga aveva ventitré anni quando scoppiò la Guerra tra la maggioranza etnica Albanese, l’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA) e le forze di Slobodan Milosevic. Stava finendo il suo corso di studi in legge.

L’esercito fu riorganizzato e fu permesso l’ingresso alle donne. Lei pensò che forse la sua strada poteva virare dalla legge al mantenimento dello stato di diritto. Completò le nove settimane di training e si arruolò nella polizia kosovara nel 2000. Dieci anni dopo ne sarebbe diventata il vicecapo.

La sua scelta come Presidente del Kosovo è quasi un caso: viene eletta dopo un’intesa politica tra maggioranza e opposizione, arrivata a seguito della crisi provocata dalla decisione della Corte Costituzionale che giudicò invalida l’elezione di Behxhet Pacolli come Presidente.

Maglioncino bianco, collana di perle, ottimo inglese. Nel suo discorso di insediamento ribadisce la legittimità dello stato del Kosovo, sancisce l’alleanza con gli Stati Uniti e l’avvicinamento all’Unione Europea, definisce una linea politica di rafforzamento delle istituzioni democratiche e di sviluppo economico. Come padri fondatori dello stato cita Giorgio Castriota Scanderbeg, che nel XV secolo difese l’Albania dall’invasione turca, Adem Jashari, eroe nazionale del Kosovo e dell’Albania, Ibrahim Rugova, politico e scrittore, primo presidente della Repubblica Albanese del Kosovo. Ricorda anche l’esempio di una donna: Madre Teresa.

Atifete Jahjaga premiata da Madeleine Albright al Clinton Global Citizen Award nel 2013

Chiarissima è la sua intenzione di consolidare “un’amicizia permanente con gli Stati Uniti d’America”ed avviare un processo di integrazione europea, che verrà strutturato con un’apposita strategia nazionale nel 2013. L’alleanza con gli Stati Uniti sarà confermata anche dal Clinton Global Citizen Award for Public Service che la Jahjaga riceverà dalle mani di Madeleine Albright nel 2014.

La Jahjaga è una donna che sorride. Indossa sempre un tailleur e una gonna, spesso i tacchi. I suoi capelli sono corti, a caschetto.

Eppure in molti video ha un’aria molto seria. Uno degli obiettivi del suo mandato è stata la normalizzazione dei rapporti con gli stati vicini (primo fra tutti la Serbia) ed il difficile processo di riscostruzione etnica.

“Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo costruire il futuro imparando dagli errori che abbiamo fatto. Il dialogo avrà successoafferma la Jahjaga nel suo discorso di insediamento, riferendosi al processo di avvicinamento iniziato con la Serbia. “La regione tornerà alla pace e alla stabilità. Kosovo e Serbia porteranno avanti il progetto di ingresso nell’Unione Europea aiutandosi l’un l’altro. I cittadini di entrambi i paesi torneranno alla vita normale, la cooperazione e lo sviluppo daranno loro un futuro migliore, di pace”.

La Jahjaga è infaticabile: lavora a livello nazionale e internazionale per migliorare l’immagine del Kosovo. Molti i suoi interventi in conferenze e summit internazionali. Durante uno di questi, poco dopo la sua elezione, incontrò per caso delle donne che erano state vittime di maltrattamenti durante la guerra.

Chiese di vederle in privato.

Una donna sfilandosi i pantaloni le mostrò quattro S, che rappresentano la croce serba, impresse sulla sua gamba con un coltello. Sotto la maglietta un’altra ferita con lo stesso simbolo, sulla pancia molte bruciature da mozziconi di sigaretta. Da allora la Jahjaga lottò perché la voce delle circa 20000 donne violentate durante la guerra fosse ascoltata, impegnandosi per il riconoscimento del loro stato legale.

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Natalia Pazzaglia
Virgola

Reporter, traveller and storyteller, with a passion for social and gender issues