Le vergini artificiali di Gay Talese

Angelica Damiani
Virgola
Published in
6 min readSep 20, 2017

Capelli bianchi, volto magro. Il fazzoletto di seta nel taschino, i gemelli a chiudere i polsini della camicia. E l’abito di sartoria: un aplomb da dandy d’altri tempi. Eccentrico come le fantasie delle sue cravatte, ma se avessi a disposizione una sola parola per descrive Gay Talese sarebbe “elegante”. Quella stessa eleganza che è possibile ritrovare nello stile dei suoi testi.

Tramite libri e articoli di questo autore è stato possibile avere una narrazione icastica di alcune delle questioni più significative degli Stati Uniti. Da Onora il padre (1971) il libro in cui tratta la mafia italoamericana di New York, grazie all’amicizia stretta con la famiglia Bonanno. A La donna d’altri in cui viene trattato a tutto tondo il tema della rivoluzione sessuale che sconvolse l’America tra gli anni ’50 e ’80.

Una linea elettrica corre parallela tra questo autore, i suoi insegnamenti e l’idea che ho tratto dai suoi libri.

Quando lessi New York è una città di cose che passano inosservate, il primo racconto del libro Frank Sinatra ha il raffreddore, rimasi stupita dalla capacità di Gay Talese di trasformare gli elementi che compongono il quotidiano in tesori nascosti ma, da sempre sotto lo sguardo umano. Com’era possibile che nessuno prima si fosse accorto della loro presenza?

Nel 1953, poco dopo il trasferimento dall’Università dell’Alabama a New York, attraverso una panoramica a trecentosessanta gradi, l’autore delinea il contorno della città da estraneo, uno sguardo provinciale meravigliato da un contesto metropolitano fino ad allora sconosciuto. Un risultato fiabesco che racchiude, in modo suggestivo e con tale stupore, un mondo alieno in cui il lettore per un istante viene strappato dalla realtà. Ed è quello sguardo distante a diventare il suo punto di forza. Lo ritroviamo nella descrizione dei manichini delle vetrine dei negozi: le “vergini artificiali” a cui dedica più paragrafi. A New York costituirono un tale immaginario erotico da rappresentare oggetto di desideri e fantasie sessuali: tanto che fu vietato mostrarli nudi. Queste bambole rigide ispirate a Suzy Parker e Brigitte Bardot per alcuni divennero un’ossessione; un manichino fu trovato in cantina “con gli abiti strappati, il trucco impiastricciato e sul corpo segni evidenti di un tentato stupro”. Argomento dai risvolti attuali: a New York un noto brand statunitense nel 2014 ha fatto posare i manichini delle sue vetrine in lingerie e peli pubici a vista. E a Londra l’artista Edgar Askelovic ha creato recentemente un manichino con le sembianze di Kate Moss senza gambe e braccia: una Venere di Milo in chiave contemporanea. O i robot del sesso in silicone presto in commercio: le bambole Harmony e Samantha create rispettivamente da Matt McMullen e Sergi Santos. Con qualche migliaio di euro sarà possibile portare a casa propria una procace donna inorganica.

Gay Talese dipinge la realtà come una tela: risultato dualistico tra etica ed estetica. Un’attrazione per il lettore trasportato in quella storia dai tratti poetici: “Letteratura della realtà” come lui stesso definisce le sue opere.

Frank Sinatra ha il raffreddore è una raccolta di alcuni tra i migliori articoli e ritratti di personaggi famosi scritti durante i cinquant’anni di giornalismo: da Frank Sinatra a Joe Di Maggio, alla rivista letteraria Paris Review e a quella di moda Vogue.

Empatia, sensibilità e intuito, caratteristiche indispensabili per un lavoro simile, gli hanno permesso di lasciarsi affascinare da uno scorcio di realtà dimenticato: ingranaggi di una routine sicura. E riportare la narrazione di cronache dettagliate delle quali molte solo all’apparenza irrilevanti e banali. Il 2 novembre 1953 Gay Talese esordì sul New York Times. All’epoca era solo un fattorino. Incantato dai blocchi luminosi di parole che componevano le ultime notizie dal mondo a Times Square, decise di capirne il meccanismo. Scoprì un uomo, il signor Torpey, sopra una scala a cambiare quelle insegne luminose dal 1928. “Non leggevo i titoli, piuttosto pensavo: come funziona quell’insegna? Come fanno le parole a formarsi con quelle luci? Chi c’è dietro tutto ciò?”. L’anno successivo dedicò un articolo a Nita Naldi, attrice di muto che aveva abbandonato il cinema dieci anni prima. Sapendo che si trovava a Broadway per un musical ispirato alla sua vita, Talese contattò più di ottanta hotel per cercare l’ex diva e mettersi in contatto con lei per intervistarla.

Cresciuto nella sartoria di famiglia di Ocean City, fin da bambino avvezzo all’ascolto dei pettegolezzi che le signore di provincia riferivano alla madre, con gli interlocutori imparò ad instaurare un rapporto personale grazie anche alla curiosità ereditata dalla figura materna. Un ambiente modaiolo in cui il gossip si sviscerava tra una tazza di tè, un abito su misura e un fazzolettino consolatorio. Terreno propizio per coltivare una delle doti più importanti per un giornalista: ascoltare. Come ha dichiarato in una recente intervista: “Il mio metodo di ricerca e scrittura consiste nel conoscere qualcuno; e poi conoscerlo meglio: e poi ancora meglio; e poi ancora più in profondità; finchè non arrivo a comprenderlo. Siccome in generale ho l’attitudine da gentleman, so anche cosa significa comportarsi bene nella scrittura, ossia essere consapevoli di quello che provano le persone di ciò che le rende vulnerabili. Ma invece di voler dominare la gente io voglio elevare la gente, senza per questo trasformarla in finzione”.

Nel 1962 per l’Esquire scrisse un articolo sull’ex campione dei pesi massimi Joe Louis. Quando Tom Wolfe lo lesse capì di trovarsi davanti un nuovo tipo di giornalismo in cui l’utilizzo classico e basilare delle cinque “W” (what, who, where, when, why) era legato al mondo soggettivo e interiore del giornalista; e queste domande, fino ad allora scritte in modo veloce e impersonale, venivano ampliate in ogni loro forma e sfaccettatura. Lo stesso articolo annoverò Gay Talese tra i padri fondatori di quello che venne definito New Journalism.

Il nuovo approccio di raccontare storie e notizie rivoluzionò il panorama giornalistico. La letteratura no fiction negli anni ’60 si diffuse rapidamente. Dal fatto di cronaca nera narrato da Truman Capote. Al reportage di guerra, cui questo tipo di racconto si presta facilmente. Alle vicende attorno ai membri del noto club motociclistico Hell’s Angels di Hunter S. Thompson.

La notizia in questo tipo di narrazione viene sezionata e trasformata in storia. Raccontati dettagli, retroscena, odori, colori, evocazioni, impressioni, rumori. Lo strato visivo viene scavato in profondità per offrire al lettore prospettive poliedriche. E la storia in questo modo acquista maggiore attendibilità. A quel punto destrutturata e scomposta come un puzzle per bambini, la notizia viene ricomposta in migliaia di pezzi tramite quella che Talese definisce “l’arte del praticare”.

L’autore ha tradotto in giornalismo narrativo il desiderio e l’ammirazione che ha sempre nutrito per il mondo della fiction. Nasce una figura così lontana e allo stesso tempo così vicina al giornalista tradizionale.

Lo stile di Gay Talese è raffinato ma tagliente. Le descrizioni dei luoghi risucchiano all’interno della scena in modo così immaginifico che, il mondo reale da lui raccontato, si confonde con il mondo fittizio della fiction. I personaggi, di cui Talese utilizza sempre i nomi veri, somigliano a quelli dei romanzi letterari e le pagine esalano sentori esotici, i dialoghi così reali, non sembrano appartenere alla realtà.

Tramite alcuni capitoli del suo memoir i diversi momenti della vita fino all’autore conosciuto. Un’immersione negli abissi per liberare il lettore, trattenuto come un pesce dalle reti dei racconti.

Mi domando se la notizia esista ancora, se esista ancora un fatto che riesca a superare stupore e reazioni più di quanto un qualunque individuo non sia in grado di catturare. Recentemente Talese ha dichiarato che “le notizie muoiono domani”, e mi chiedo ragionando in questi termini, quale sia il modo migliore di veicolare le proprie storie. Mai come ora, da un punto di vista giornalistico, credo sia necessario questo tipo di narrazione, l’esigenza di raccontare e offrire al lettore un prodotto qualitativamente elevato sia in termini contenutistici che linguistici. Una narrazione che, rispettando le regole e i parametri etici del giornalismo, sia comparabile alle più alte produzioni letterarie. Ghiacciare un fatto, e scolpirlo facendo emergere la vera natura di una scultura realistica. Per arricchire senza necessariamente e banalmente infierire.

--

--