Libertà ed uguaglianza; JFK

Elisa Bellino
Virgola
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6 min readFeb 2, 2017

“L’uomo detiene nelle proprie mani mortali il potere di abolire tutte le forme di povertà umana, ma anche quello di sopprimere tutte le forme di vita umana”.

La retorica del miracolo tende a definire la presidenza di John Fitzgerald Kennedy una vivace, anche se faticosa scalata. Ma anche “anni tremendamente interessanti”, come citava il fratello Robert Kennedy, facendo riferimento a come ebbe modo di vivere i suoi favolosi anni 60.

La verità è che c’era asprezza, durezza, angustia, costrizione e corruzione. Senso di soffocamento. Emarginazione ed ingiustizia. Da un lato sfilavano i democratici, con le loro frasi incomprensibili, perennemente racchiusi nella loro bolla di sapone, costituita da indottrinamenti fumosi e alchimie. Dall’altra i comunisti, allineati e quanto mai alleati, uniti più che mai nella loro fede; cappello in testa, su ideale venerato di Lenin. Come falcare un’aria irrespirabile, stantia e immobile, facendo sentire la propria voce, e trascinando una popolazione stanca ed esasperata, verso una nuova direzione? Si dice che John Kennedy abbia rivoluzionato il clima, cambiato l’aria, ammorbidito i toni, colorando i suoi discorsi di gradazioni leggere, color pastello, con semplicità, spontaneità, tanta eleganza e un immenso potere carismatico. Aprì le porte a qualcosa che non si era mai visto prima: un senso di liberazione, il nodo di una cravatta che si allenta un poco al collo. Apertura, comunicazione, entusiasmo.

Ecco il primo presidente a dar luce al 20esimo secolo. John Fitzgerald Kennedy fu il 35esimo presidente americano a levare l’ancora e lambire il suolo della Casa Bianca. Rivoluzionario e democratico, Kennedy discendeva da una ricca famiglia dalle origini irlandesi, emigrata in america nel secolo precedente. Furono proprio la fortuna famigliare e gli appoggi politici a fare da trampolino di lancio, e a condurlo ad occupare la comoda poltrona presidenziale a soli 43 anni. Pronunciò il suo discorso d’insediamento, agli occhi del suo popolo, al Campidoglio, negli Stati Uniti, il 20 Gennaio del 1961.

Kennedy si trovò ad affrontare momenti di puro terrore, durante la sua burrascosa presidenza; un contesto storico cristallizzato, dove due grandi superpotenze mondiali tenevano in scacco il mondo intero, in un braccio di ferro da incubo. Il Pianeta attraversava uno dei decenni più pericolosi della storia. La Guerra Fredda, che vedeva come protagonisti indiscussi gli Usa, da un lato, e l’Urss dall’altro, aveva raggiunto livelli di tensione tali da far ritenere prossima la fine del mondo, così come eravamo abituati a conoscerlo. Ecco cosa succedeva nel nostro Pianeta, nel momento in cui John Fitzgerald Kennedy decideva di assumere una posizione importante, ambita, e quanto mai complessa e controversa. Quando quell’uomo dalla personalità carismatica, sceglieva di prendere in mano le redini di un’America scossa e desiderosa di pace, reduce da una Guerra Mondiale, dalla quale ancora non era riuscita a rialzarsi, e che del sangue versato, ancora ne portava le tracce. L’Africa cercava, al tempo, di emanciparsi dalla sottomissione rovinosa, impostale dalla colonizzazione europea. Intanto l’Apartheid stava mietendo vittime in Sudafrica. L’Europa in ginocchio, tentava maldestramente di risollevarsi dalle Guerre Mondiali, che l’avevano resa protagonista e teatro delle atrocità più disumane; sangue e cenere sparse nei cieli e solidificati nel suolo di un continente, che mai sarebbero svaniti. Il mondo arabo iniziava a bramare un’indipendenza, una forza interna, una volontà di nazione, un riscatto alla propria dignità. Il Giappone si trovava impegnato a leccarsi le ferite, e ad attuare una profonda ricostruzione di un territorio devastato. La Cina cercava di riconquistare il proprio posto nella storia usando il comunismo e il totalitarismo, come fossero giocattoli.

Si dice che le epoche più buie sappiano tirare fuori il meglio, e allo stesso tempo il peggio dell’umanità.

Intanto il razzismo tracimava da un vaso di Pandora ormai colmo di odio e male, lacerando un Pianeta e lasciandolo esangue; un mondo nato per riflettere, grazie alla luce solare, l’intero spettro dei colori e le sue disparate sfumature, si tingeva di un livido bianco. Il sangue impregnava il suolo, milioni di persone venivano perseguitate solo per il colore della loro pelle, donne e bambini non avevano accesso a cure mediche ed istruzione.

Speranza e dignità trapelano da un discorso d’insediamento pronunciato dal neopresidente a Washington, negli Stati Uniti, in seguito ad aver prestato il solenne giuramento. Nella mente collettiva rimane, indelebile, una semplice frase, divenuta famosissima e simbolo del suo operato:

“ Non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”.

Dal discorso d’insediamento trasudano ideali di uguaglianza e forte speranza. “E’ il presidente della liberta”, si potrebbe urlare a gran voce. Dalla sua imponente posizione sembra aver compreso i desideri della gente, i loro interessi, pare averli mescolati insieme ai suoi, al fine di dissetare il suo popolo con una calda spremuta di uguaglianza, integrazione, e abolizione di ogni tipo di razzismo. Questo sembra essere il suo ambizioso programma, una nuova rotta, la “nuova frontiera”, il desiderio di un nuovo mondo, più pulito; spolverando via un po’ di quella polvere d’ipocrisia e fallimento, che ancora stagnava nella coscienza americana. Bramando quel genere di pace che si legge nei libri, si prega attraverso Ave Maria in latino, si vede nei film; una condizione esistenziale imprescindibile, necessaria per permettere alla sua gente, alla Nazione, di svilupparsi e prosperare.

Si dice, ed è lecito crederlo, che nelle epoche più difficili il mondo sia sempre riuscito a scoprire il lato più nobile dell’umanità.

Un destino tragico e un contesto storico interessante, attraversano la presidenza di Kennedy. Un periodo pericoloso,un mondo in bilico, dove il presidente agì secondo il suo mandato, con tutta la cautela possibile, senza correre il rischio di scatenare la temuta guerra nucleare.

“L’uomo detiene nelle proprie mani mortali il potere di abolire tutte le forme di povertà umana, ma anche quello di sopprimere tutte le forme di vita umana”.

54 anni fa il presidente John Fitzgerald Kennedy veniva assassinato per mano di un gruppo di cecchini, a cui venne dato un unico volto, quello di Harvey Oswald, definito uno sbandato. Ad ordinarlo fu la più oscura alleanza di carattere complottista che abbia mai sfiorato il suolo americano. Sembra comprendesse esuli cubani anticastristi, boss del crimine organizzato, membri dei servizi segreti e delle istituzioni del sud degli Usa. D’inchiostro se n’è sparso tanto riguardo
increscioso accaduto, tanto quanto il sangue e i brandelli di cranio volati al vento, quel 22 Novembre 1963.

Kennedy esponeva, nel suo celebre discorso d’insediamento, il progetto ambizioso, seppur utopico, di un mondo diverso. “Io vi dico: incominciamo”.

Si parla oggigiorno di un innamoramento perdurato nei confronti del presidente John Fitzgerald Kennedy. L’affetto nei suoi confronti deriva di certo dalla sua drammatica uscita di scena, da un’efficace abilità comunicativa, un carisma eccezionale e nel suo potere d’incarnare un’epoca di speranze e desideri indispensabili per la salute e gli umori di una nazione in ginocchio.

“Affronteremo ogni difficoltà. Ci impegniamo a fare questo, e molto di più”.

Anche noi, oggi, stiamo vivendo un periodo interessante. La dignità umana ha raggiunto livelli decisamente caldi, addentrandrosi in sentieri bui e pericolosi, e altrettanto deplorevoli. Il fanatismo ha sradicato ogni radice di pensiero, si è insinuato, come un cancro dalle dimensioni spaventose, nella mente della gente. Il sogno europeo sta svanendo, sfumando in un boccale di birra quasi finito, i potenti non hanno mai smesso di divorare i diritti dei cittadini membri della comunità, masticandoli lentamente, sconvolgendo il corso della storia, dirottando il Pianeta verso un’idea perversa e quanto mai fallimentare di progresso. Scaraventando infine il vecchio continente al Medioevo. La Guerra Fredda è appena ricominciata. Il mondo non mostra di certo un volto migliore, pulito, rispetto agli anni 60. E’ stanco, sciupato, le occhiaie cadono alle ginocchia. Il Medio Oriente è nel caos di una guerra infinita, lotte che si tingono di un nero petrolio e di teste mozzate. L’Africa soffre flagellata dalla povertà, e una dignità rubata. L’America latina, dopo la morte di Fidel Castro si lecca le ferite e continua a combattere contro demoni invisibili. La Cina ha costruito un sistema disumano che non si sa con certezza fin quando durerà, e il Giappone non è più riuscito a riconquistare il successo di un tempo passato. In tutto questo gli Usa non sono stati capaci di affrontare le sfide del 21esimo secolo. E la presidenza di Obama, così carica di speranze e aspettative, come verrà giudicata dalla storia? E se John Kennedy venisse a sapere dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump? Forse non ci sarebbe bisogno del colpo in fronte per stroncare la sua giovane vita, alla vista della strada tortuosa e impraticabile scelta dalla sua cara America. Adesso come allora stiamo combattendo contro gli stessi demoni, e morendo, doloranti e anche un po’ ammaccati, a causa delle medesime malattie.

Kennedy sognava la pace e un mondo migliore; la sua presidenza abbraccia anni duri e incredibilmente difficili, anche se interessanti. Appartengono ad un tempo asuefatto dalla sofferenza umana, che chiunque, ora, vorrebbe vedere concluso.

“Concittadini del mondo, non chiedete cosa l’America può fare per voi, ma cosa possiamo fare, insieme, per la libertà dell’uomo

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Elisa Bellino
Virgola
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Visual designer, storyteller, creative. (Believer of stupid things).