L’impegno civile di Fuocoammare

Elisa Tasca
Virgola
Published in
4 min readFeb 23, 2017

Il punto di arrivo di Gianfranco Rosi

Migrante portato in salvo in una delle traversate testimoniate nel documentario

“Di notte passavano le navi militari. Era tempo di guerra. Le navi lanciavano razzi luminosi in aria. E a mare c’era… Sembrava ci fosse il fuoco a mare”

“Fuoco a mare?”

“Diventava rosso il mare”

Dialogo tra Samuele e la nonna

Vincitore dell’Orso d’oro per il miglior film al Festival del cinema di Berlino, Fuocoammare rappresenterà l’Italia agli Oscar nella sezione documentari. Diretto da Gianfranco Rosi e uscito nelle sale a febbraio 2016, Fuocoammare si presenta come un film di forte impegno civile, un racconto del tema dell’immigrazione senza censure ma con profondo rispetto.

Una terra arida e polverosa, una natura selvaggia, un mare mosso simbolo di vita e morte allo stesso tempo: la forza comunicativa di questo film è grande ed è resa possibile dalla ripresa di scene di vita quotidiana vissute in prima persona dai protagonisti del film, individuati tra gli abitanti dell’isola senza alcuna esperienza attoriale alle spalle. Una scelta fortemente voluta dal regista di origine eritrea che per tutta la durata delle riprese e del montaggio ha vissuto a Lampedusa, assistendo in prima persona alle traversate.

Il tema dell’immigrazione viene affrontato da punti di vista opposti: da una parte si scopre la vita tranquilla degli isolani, raccontata attraverso gli occhi spontanei e ingenui di un ragazzino, Samuele, dall’altra si diventa testimoni delle disgrazie e delle sofferenze dei migranti costretti a lunghe traversate sui barconi diretti verso le coste italiane.

Le due storie sembrano scorrere parallele senza entrare in contatto, tanto che i rapporti tra migranti e residenti è praticamente inesistente. A prima vista non vi è nessun incontro tra le due realtà se non attraverso il notiziario della radio locale che quotidianamente informa sul numero degli sbarchi e delle vittime.

Samuele, il protagonista del film

L’intero film si basa su una serie di contrapposizioni e metafore forti, che mettono in relazione le due realtà nel loro scorrere parallele. In primo luogo il mare è l’elemento centrale della vicenda, e viene vissuto come luogo di lavoro e di arricchimento per gli abitanti dell’isola, prevalentemente pescatori, ma presentato invece come luogo di morte e sofferenza per i migranti in arrivo. In secondo luogo, la quotidianità degli isolani viene raccontata con gli occhi ingenui di un ragazzino, totalmente ignaro di ciò che lo circonda, in contrasto con l’altra quotidianità, quella dei soccorritori e dei migranti, fatta di morte e speranza allo stesso tempo. Dal punto di vista tecnico vi è un netto contrasto nel modo in cui vengono presentate le due realtà: nelle scene di vita degli isolani prevalgono i suoni, i rumori, le parole del bambino, i dialoghi con gli adulti, mentre nelle riprese degli sbarchi prevale il silenzio, che trova il suo apice nella scena finale, interrotto solo da alcune indicazioni date dai soccorritori.

All’interno della narrazione si fa uso di una serie di metafore interessanti, presentate attraverso la figura di Samuele, che mettono in relazione le due prospettive. La prima è identificabile nel mal di mare di Samuele durante il suo giro in barca con il padre, che richiama la sofferenza vissuta dai migranti durante le traversate; ancora, l’occhio pigro diagnosticato al ragazzino funge da monito per tutti quelli che non hanno mai voluto o saputo andare oltre i pregiudizi. Infine, i problemi di respirazione di Samuele si ricollegano alle precarie condizioni di salute dei migranti, testimoniate da alcune riprese delle operazioni di salvataggio.

Il punto di contatto tra le due realtà emerge alla fine e si incarna nella figura di Pietro Bartolo, il medico del paese che cura gli abitanti dell’isola, tra cui Samuele, e alcuni dei migranti sopravvissuti. La particolarità di questo personaggio è data dal fatto che è l’unico a rivolgersi ad un pubblico, identificabile con il regista o con i telespettatori, raccontando le numerose autopsie che è stato costretto a eseguire sui corpi senza vita di chi non è sopravvissuto agli sbarchi. Al contrario invece, le riprese delle operazioni di soccorso risultano essere più documentaristiche mentre la vita dell’isola viene presentata in modo più narrativo.

Perché Fuocoammare? In un dialogo tra Samuele e la nonna, l’anziana ricorda i tempi in cui le navi da guerra illuminavano il mare di luci. Anche questo è un chiaro riferimento alle navi dei soccorritori impegnate giorno e notte ad intercettare i barconi dei migranti in arrivo. Ma Fuocoammare è anche il titolo di una canzone siciliana, richiamata nel film dalla nonna di Samuele in una dedica al marito pescatore attraverso la radio locale.

Il film in corso per la statuetta non mira solo a raccontare Lampedusa, la quotidianità dell’isola e il tema dell’immigrazione: l’obiettivo di Rosi è quello di raccontare un punto di arrivo, sia fisico che emotivo, discostandosi da un giornalismo troppo frettoloso ed enfatizzante. Un documentario di grande valore che racconta una pagina triste del nostro paese ma che vuole sensibilizzare gli italiani e il mondo di fronte a tale mattanza: “I lampedusani sono un popolo di pescatori” afferma Rosi citando Bartolo, “e i pescatori accolgono tutto ciò che viene dal mare. Forse dovremo acquisire un po’ tutti l’animo del pescatore”.

Lampedusa

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