Make Lombardo-Veneto great again

Elisa Tasca
Virgola
Published in
6 min readNov 21, 2017

Con il referendum la Padania torna a far parlare di sé, ma non ha niente a che vedere con la Catalogna

Credits: Il Gazzettino

Prima del referendum ci fu il carrarmato di cartone. Sono trascorsi ormai dieci anni dalla storica presa di Piazza San Marco. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1997 un commando di otto Serenissimi sbarcarono nella piazza e occuparono il campanile, issando sulla vetta il Leone di San Marco (la bandiera veneziana) in nome della Repubblica di Venezia. Ne parlarono tutti: il Gazzettino, il Corriere della Sera, perfino la Cnn. Ma se in un primo momento sembrava si trattasse di un assalto militare, già nelle ore seguenti in molti si erano resi conto che “la polizia aveva preso sul serio oto putei (otto ragazzi) a bordo di un caro de carneval con sacchi a pelo e fiaschi de vin”, come spiega Paolo Rumiz in La Secessione Leggera. Gli otto del commando erano armati di mitra funzionante, ma il tanko utilizzato per invadere la piazza era tutt’altro che blindato: assemblato qualche giorno prima in un garage degli attivisti, sembrava fatto più o meno di cartone. Ma se questa vicenda ci fa sorridere, dobbiamo pensare che è stata solo una tra le più eclatanti rivendicazioni indipendentiste in terra padana.

A distanza di anni, i veneti e i loro compagni lombardi tornano ad alzare la voce, ma questa volta con toni più civili e del tutto legali. Il 22 ottobre scorso Lombardia e Veneto si sono rivolti ai cittadini, indicendo un referendum consultivo (quindi non vincolante) per chiedere un maggiore grado di autonomia regionale. Le regole del gioco non erano però uguali. Il Veneto prevedeva il raggiungimento del quorum (50%+1) per garantire che il tema del quesito fosse oggetto di discussione in consiglio regionale; in Lombardia invece non era prevista una soglia minima. In Veneto la votazione è avvenuta utilizzando normali schede elettorali, mentre la Lombardia ha optato per il voto elettronico, attraverso l’utilizzo di tablet. Anche il quesito referendario era diverso, più articolato nel caso lombardo, molto più semplice in terra veneta.

Credits: Varese News
Credits: Regione Veneto

In entrambi i casi la consultazione elettorale ha visto una netta vittoria del sì (98% in Veneto, 95% in Lombardia). A fare la differenza però è stata l’affluenza: 57% nel primo caso, 38% nel secondo. Un dato da non sottovalutare soprattutto in Veneto, dove, confrontando i voti favorevoli e la partecipazione al referendum, il 56% degli aventi diritti sarebbe propenso a un processo autonomistico.

Sia Roberto Maroni che Luca Zaia, rispettivamente Governatori di Lombardia e Veneto, hanno raggiunto il loro obiettivo, anche se non sono mancate le polemiche sull’utilità e sul costo del referendum. In molti non hanno mancato di sottolineare che l’Emilia Romagna ha intrapreso le trattative con il governo senza ricorrere alle urne, che hanno gravato nelle casse delle due regioni: il Veneto ha speso 14 milioni, mentre la Lombardia ben 50.

Per i due governatori il referendum assume un’importanza decisiva soprattutto nel tavolo delle trattative con il governo, che deve far fronte non solo ad una richiesta della giunta regionale ma ad un ampio sostegno popolare.

Partendo dal presupposto di Zaia che “i veneti sono paroni a casa loro” (padroni), le due regioni stanno già lavorando per avviare le trattative con il governo. Entrambi sono sulla stessa linea: ottenere la competenza regionale nelle venti materie di legislazione concorrente previste dall’art. 117 della Costituzione (come commercio estero, tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro) e il trasferimento alle regioni delle tre materie di competenza esclusiva statale previste dall’art. 116: si tratta di giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente.

Si tratterebbe quindi della realizzazione di un regionalismo differenziato, senza però la concessione né dello Statuto Speciale, né di vantaggi fiscali, che non sono materia di trattativa. Nonostante ciò, sia Maroni sia Zaia hanno promesso di intervenire sul residuo fiscale delle rispettive regioni, per mantenere a casa loro una fetta più ampia di risorse finanziare derivanti dalle imposte locali. Zaia in particolare punta a trattenere il 90% delle tasse in Veneto, una richiesta ritenuta provocatoria dal governo.

Il Veneto non è la Catalogna

Sebbene il dibattito di questo ultimo mese sembri cercare ossessivamente delle similitudini tra il caso italiano e quello catalano, i due scenari sono molto diversi. Partendo dal referendum, nel caso italiano le votazioni sono avvenute nella totale legalità e in conformità con la Costituzione. Nel caso spagnolo, invece, la Costituzione non prevedeva alcuna possibilità di celebrare questo referendum, che è stato dichiarato illegale.

Lo stesso quesito referendario è nettamente diverso: mentre in Lombardia e Veneto si votava per un maggiore grado di autonomia e per il trasferimento di maggiori competenze alle regioni, in Catalogna si votava per l’indipendenza e per la formazione di una Repubblica catalana.

Credits: El País

Dal punto di vista delle forze politiche in gioco, mentre in Catalogna vi è una forte presenza di partiti indipendentisti (JxSí, CUP, ERC), in Veneto e Lombardia la Lega Nord è l’unico partito a perseguire la rivendicazione autonomista (e in passato indipendentista), senza però che questa rappresenti la sua priorità. Da qui la decisione del leader del Carroccio Matteo Salvini di eliminare dal nome del partito la parola Nord: esisterà quindi solo la Lega, che parlerà, d’ora in poi, all’Italia intera. Inoltre, il sostegno popolare alla causa secessionista è molto diverso: le grandi mobilitazioni che si celebrano ogni anno a Barcellona durante il giorno della Diada (festa nazionale della comunità autonoma della Catalogna) sono ben lontane dalle manifestazioni degli indipendentisti padani.

Anche la questione linguistica differenzia i due casi: il catalano è una lingua co-ufficiale, parlata abitualmente nelle scuole, negli uffici pubblici, nei media; il veneto e il lombardo invece vengono considerati dialetti, tanto che non esiste una questione linguistica.

Infine, un elemento che li oppone totalmente è dato dai rapporti con l’UE: mentre la Catalogna considera l’Unione Europea un interlocutore strategico, Veneto e Lombardia vedono le istituzioni comunitarie con diffidenza, causa di debolezza delle identità nazionali e locali.

È possibile però notare anche alcune somiglianze: in entrambi i casi le rivendicazioni indipendentiste hanno conosciuto fasi alterne, dipendendo dall’appoggio e dalla qualità del dialogo con il potere centrale. In più, le tensioni visibili sia nel contesto italiano che in quello spagnolo hanno radici storico-politiche: l’assetto istituzionale di entrambi gli stati presenta una forte asimmetria, data dalla presenza di comunità autonome o regioni dotate di Statuti speciali e regimi fiscali privilegiati. Un elemento centrale questo, che accomuna le rivendicazioni di entrambi i paesi: Veneto e Lombardia come la Catalogna si considerano le locomotive del paese, sono coscienti del loro primato economico-produttivo e denunciano a gran voce la vessazione fiscale cui sono costrette. E gli slogan coniati contro il potere di Madrid e di Roma sono gli stessi: “España nos roba” e “Roma ladrona”.

Legato al tema fiscale, il cleavage nord-sud concorre ad aumentare queste tensioni. La questione meridionale ha sempre assunto un ruolo centrale nelle rivendicazioni indipendentiste sia in Spagna sia in Italia, così come la frattura centro-periferia, che sottolinea la distanza del governo centrale dalle necessità delle periferie del paese.

I possibili scenari del referendum lombardo-veneto saranno chiaramente molto diversi da quelli della crisi catalana. Trattandosi di un referendum consultivo, nonostante il forte sostegno popolare, il governo potrebbe ignorare il risultato delle urne, mettendo un freno alle aspirazioni autonomiste, per evitare di innescare un effetto domino nelle altre regioni a Statuto ordinario. Un’intesa tra Stato e Regione però potrebbe essere raggiunta, ma dovrebbe essere approvata da entrambe le Camere a maggioranza assoluta dei componenti. Un obiettivo complesso da raggiungere e, di sicuro, non immediato.

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