Quando delle scarpe impolverate dettano la scrittura

Elisa Tasca
Virgola
Published in
7 min readSep 28, 2017

Paolo Rumiz insegna a conoscere il mondo con gli occhi del viandante, con i piedi del camminatore

Credits: Attraverso Festival

Immaginate tre uomini in viaggio: un vignettista, un professore e un giornalista in sella a delle biciclette con un equipaggiamento non ingombrante. Siamo nel 2001 e la meta di questi tre amici é una: Istanbul. Partendo da Trieste però. Circa 2000 km in un mese di viaggio, attraverso sei stati, lungo città e luoghi a loro sconosciuti, tra culture e tradizioni diverse. Ne è uscito un diario di viaggio divertente, utile per gli amanti delle pedalate. Immaginate poi un vignettista, un giornalista e un personaggio misterioso (la cui identità verrà svelata durante il viaggio) percorrere l’Italia in treno, lungo linee ferroviarie dimenticate. Dalla Sardegna al grande Sud e poi su, fino al Nordest: 7480 km, rigorosamente in seconda classe. Quel che rimane è una straordinaria testimonianza di odori, sapori, voci di luoghi apparentemente dimenticati. Tre uomini in bicicletta e l’Italia in seconda classe sono i titoli di questi diari di viaggio e l’autore è proprio il giornalista che ha preso parte a queste avventure: Paolo Rumiz. Triestino di nascita, è stato inviato speciale del Piccolo di Trieste ed editorialista di Repubblica. Dal 1986 ha seguito gli eventi dell’area balcanica e danubiana, il conflitto in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Ha lavorato come inviato a Islamabad e poi a Kabul per documentare l’attacco statunitense in Afghanistan. Ma non solo. Durante quindici estati, ha raccontato sulle pagine di Repubblica quei pezzetti di mondo conosciuti durante viaggi di lavoro e di diletto.

Credits: Radio Gold

Viaggiatore di lungo corso, Rumiz dice di non saper distinguere tra scrittura e cammino, che hanno segnato una parte fondamentale della sua vita, se non la sua intera esistenza. Ma il viaggio inteso da Rumiz non è quello low cost a bordo di un aereo che ti lascia e ti riprende nella stessa città: si tratta di un percorso lungo, a tappe, profondo, conoscitivo. Non è una toccata e fuga quindi, ma è un andare a fondo, di se stessi e del mondo. “Il viaggio è il canale più svelto per capire chi siamo e si compie veramente quando stacchiamo gli ormeggi. L’atto fondamentale della partenza è tagliare i ponti alle proprie spalle, rinunciare a tutto ciò di sicuro che abbiamo”.

Per Rumiz quindi il viaggio è spogliarsi, mostrare se stessi a chi incontriamo, ai nostri compagni, mettersi in cammino significa fare i conti con il proprio io. Ma perché ciò avvenga è necessario partire leggeri sia spiritualmente, affrontando il mondo in modo semplice e accantonando i nostri pregiudizi, sia materialmente: “Il bagaglio non è forma ma sostanza del viaggio, e la leggerezza lo semplifica. Esistono viaggiatori in tir e viaggiatori in mongolfiera. I primi non buttano via niente, i secondi lasciano la zavorra per poter volare”.

Paolo Rumiz lungo la Via Appia. Credits: touringclub.it

Quello che Rumiz insegna a tutti noi viandanti è che il viaggio arricchisce, riempie e infine completa. Risponde ai nostri dubbi, ne fa sorgere altri, insegna il valore della condivisione e dell’incontro, insegna il senso della distanza e del contatto. Una consapevolezza che lo ha portato a intraprendere viaggi lunghi, solitari e in compagnia. La Leggenda dei monti naviganti racconta un viaggio in due fasi, a passi lenti prima, e a bordo di una Fiat Topolino del ’53 poi: Rumiz ha percorso la spina dorsale dello stivale, dalle Alpi in alta Dalmazia all’estremo sud degli Appennini, in Calabria. Ed è proprio in questa occasione che emerge il valore del contatto e della condivisione, grazie agli incontri con Mauro Corona e Mario Rigoni Stern. Ha studiato poi il ventre dell’Italia andando alla ricerca delle dimore del vento, dei luoghi abbandonati, custodi di storie che aspettano solo di essere raccontate. Ma non solo. Ha ripercorso luoghi che hanno fatto la storia: dal fronte italo austriaco lungo le linee di trincea, alla ricerca dell’antica via Appia, la prima grande strada strutturata d’Europa ma ormai dimenticata. Un cammino lento da Roma a Brindisi, 611 chilometri a piedi alla ricerca di una strada perduta.

Paolo Rumiz a bordo della Fiat Topolino in La Leggenda dei Monti Naviganti. Credits: Luigi Ottani

La restituzione di questi viaggi attraverso le sue opere, non lascia solo una spettacolare testimonianza di viaggio o una splendida descrizione dei territori. Ci mostra la realtà a 360 gradi, scavando nelle storie dei luoghi e delle genti, facendo emergere le problematiche di un paese cieco o, forse, troppo distratto. Solo toccando con mano, o meglio, con i piedi il territorio italiano, vedendo, ascoltando e parlando si capiscono quali sono le esigenze dei cittadini. Ma come riflette lo stesso Rumiz, i politici non hanno ancora messo i boots on the ground: e per voler avere le scarpe lucide hanno ceduto il testimone alla criminalità e all’instabilità che governano questi luoghi abbandonati a loro stessi.

Se c’è una cosa che ho capito è che i piedi non sono semplici arti, ma assumono una nuova valenza, sono strumenti per capire il mondo. E Rumiz non si stancherà mai di dirlo. “Quando avevo circa sette anni, la maestra mi disse che scrivevo con le scarpe. Io mi offesi moltissimo ma non per la mia scrittura. Mi offesi per le mie povere scarpe perché c’erano sempre nei racconti della nonna. La sua voce galoppava lontana, diceva di stivali e sette leghe, di monti da scalare e di vallate e ripeteva cammina, cammina. Da allora decisi di riscattare le scarpe denigrate ingiustamente portandole a strumento di scrittura. Ricordo uno per uno le mie suole sporcate dalla polvere del mondo. Quelle calzate in Polonia e in Turchia, le pedule leggere dell’Afghanistan, i sandali portati all’equatore. Le strade hanno una voce, di questo sono sicuro, e le scarpe sono uno strumento per sentirla. Non è con il taccuino o con le mani, ma è con i piedi che credo si scriva. Come si sente il narrare rotondo di chi ha molto navigato. Per questo un ciabattino per me conta di più di un bravo stampatore. Viva le scarpe dunque, impolverate. Quelle di mio padre, di mia madre, dei miei nonni. Le mie che mi hanno dettato la scrittura”.

Credits: LaEffe

Se da un lato il cammino è una parte essenziale del percorso, dall’altro Rumiz ci insegna che anche un viaggio apparentemente immobile è in grado di muovere l’anima. Per questo ha deciso di rifugiarsi in un faro per tre settimane, senza telefono, né internet, né tv, né radio. All’orizzonte, solo partite a tressette, la compagnia dei guardiani del Ciclope (il nome con cui ha ribattezzato il faro) e lo spettacolo della natura. Grazie al lento scorrere del tempo, che sembrava illimitato, Rumiz ammette di aver esplorato meglio se stesso e il mondo, e di aver finalmente ritrovato il senso del limite, riconoscendo di essere nulla di fronte alla natura. Da questa esperienza nascerà Il Ciclope, un racconto spontaneo e sensoriale, dettato dal vento e dalle maree.

Camminare, pedalare, stare immobili. Il viaggio non si esaurisce qui. Esiste un viaggio nel viaggio, rappresentato dalla scrittura, che ha accompagnato Rumiz durante i suoi cammini e che permette di ricomporre il percorso, di dare ordine e senso a tutto ciò che si è visto, che si è conosciuto. E poi c’è il viaggio dell’oralità, quello che si compie attorno a un focolare in pieno inverno, raccontando le esperienze vissute e gli incontri che hanno segnato.

Credits: LaEffe

“Ho imparato molto da questa stagione privilegiata dell’esistenza. Come tagliare i ponti dietro di me e costruire una traccia dentro spazi illimitati senza punti di riferimento. Come sognare sfogliando un atlante, come disegnare a mano una mappa e poi partire facendone a meno. Come sincronizzare il respiro con i battiti del cuore — due o più a seconda delle situazioni — per costruire un canto. Ho imparato la febbre della partenza e la malinconia del ritorno, studiato il rebus del taccuino che con la sua taglia dipende dall’andatura e talvolta riesce persino a determinarla. E poi l’enigma del Gerundio Inverso che ribalta il senso dell’andare, o la legge — valida solo per i viaggiatori — della lentezza che dilata il tempo e accorcia lo spazio, smentendo Albert Einstein. Per non parlare del cortocircuito evocativo fra libro e paesaggio che scatta con la declamazione, o della formula arcana — mai spiegata da alcun matematico — del peso sulle spalle che alleggerisce la falcata”.

Mappa realizzata da Paolo Rumiz per il suo viaggio a zigzag da Rovaniemi (Finlandia) a Odessa (Ucraina), raccontato nel libro Trans Europa Express.

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