Un camper, due sci e 1256 rose

La saga di Janica Kostelic, la regina croata delle nevi

Natalia Pazzaglia
Virgola
5 min readFeb 24, 2018

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È il 5 gennaio 2006, giorno del suo ventiquattresimo compleanno. Janica Kostelic gareggia a Zagabria, la sua città natale, sulle piste dove ha imparato a sciare all’età di tre anni. All’inizio della gara perde il bastoncino destro; il laccetto resta impigliato al guanto e la sciatrice perde anche quello. Chiunque si sarebbe fermato.

Lei no: continua, nonostante la mano nuda. Il dolore per i colpi delle mani contro i pali è atroce ma non importa. “Volevo smettere perché era troppo doloroso. Ma poi ho realizzato che avevo ancora solo venti porte e ho deciso che avrei dovuto finire per tutte le persone che sono venute per vedermi”.

A vent’anni, Janica Kostelic è già l’eroina del suo paese. Dietro il suo successo c’è la tenacia e il sogno di un padre, Ante, allenatore di pallamano con la passione per gli sci, che decide che i suoi figli, Janica e Ivica, sfideranno le montagne. È lui ad allenarli per anni durissimi che vedono tutta la famiglia spostarsi per mezza Europa, perché i due ragazzi possano migliorare il loro stile e perfezionare la tecnica, osservando le performance dei grandi. La famiglia Kostelic non è ricca: si dorme in tenda oppure in un camper perché non ci sono soldi per pagare gli alberghi. D’estate, durante gli allenamenti sui ghiacciai, Ante e Ivica dormono fuori nei sacchi a pelo, lasciando a Janica posto sul furgone.

Entrambi i Kostelic dimostrano presto di avere la stoffa dei campioni, ma la prima ad emergere è Janica, che a soli nove anni inizia a competere a livello europeo. Sono anni in cui dominano le grandi squadre europee: austriaci, tedeschi e italiani, che si allenano sotto la guida di grandi professionisti. Janica, invece, gareggia da sola; i Kostelic non hanno nessun tipo di supporto logistico e economico. La Croazia, il loro paese, è in un momento di grande difficoltà politica, appena uscita dalla guerra nella ex-Jugoslavia e senza nessuna tradizione sciistica. Janica impara cadendo, sotto la guida del padre, uomo dal carattere militaresco e con una mentalità granitica dell’Est Europa. “Pochi fronzoli e avanti con la sostanza” ripete ai figli per tutta l’adolescenza.

È il 23 gennaio 1998 quando, a sedici anni, Janica fa il suo esordio in Coppa del Mondo, con un 34º posto in supergigante. Il mese successivo prende parte ai Giochi olimpici di Nagano, mentre la prima vittoria in Coppa del Mondo arriva il 17 gennaio 1999, nella combinata di Sankt Anton. Nel dicembre di quell’anno vince ancora due slalom speciali, ma pochi giorni dopo si infortuna al ginocchio rompendosi quattro legamenti. È la prima di una lunga serie di cadute. Negli anni si rompe quasi tutto: legamenti, crociati e menisco, mentre lotta con problemi alla schiena e alla tiroide e si sottopone a lunghe operazioni, passando settimane tra riabilitazioni e ospedali, costretta a rinunciare alle gare per diversi mesi.

Ho sempre male, quando mi alleno al 100%. Però quando scio non penso al male. Il dolore si può vincere

Dichiara Janica. E torna, ottenendo nella stagione 2001 otto vittorie consecutive in slalom e la Coppa del Mondo. In Croazia viene accolta dalle più alte cariche dello stato come un’eroina nazionale, ricevendo in dono un bouquet da 1256 rose, una per ogni punto guadagnato in Coppa del Mondo. La Posta Croata le dedica perfino un francobollo.

La stagione successiva, però, Janica, si procura un altro infortunio al ginocchio, per il quale deve sottoporsi a tre operazioni. Quando arriva alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City sembra essere fuori gioco, ma l’atleta si rialza di nuovo e a vent’anni diventa la prima croata a vincere i giochi invernali e la prima sciatrice a conquistare quattro medaglie di sci alpino in una sola Olimpiade.

“Mi sembra di essere in paradiso” sussurra alla madre Marica piangendo. Sulle unghie ha scritto con lo smalto una parola: “Tata” cioè “papà”, quel padre che da bambina le aveva indicato chiaramente a cosa puntare: l’oro olimpico. Sono vittorie, quelle di Janica, dove la sciatrice non è mai sola. Sulle unghie compaiono anche i nomi di Marica e Ivica: idealmente sul podio con lei c’è sempre tutta la famiglia, con cui ha condiviso dolore, ansie e duro lavoro. E non solo idealmente: nel 2003 sia lei che Ivica trionfano in slalom speciale ai Mondiali di Sankt Moritz. È la prima volta che due fratelli ottengono il titolo mondiale nella stessa specialità.

Il 10 febbraio 2006 è un’altra data storica: Janica è portabandiera del suo paese alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi olimpici di Torino. La Croazia è a suoi piedi, la sciatrice ha coronato il suo sogno e il suo paese guarda a lei come simbolo di successo nazionale. Alle Olimpiadi di Torino vince un oro nella combinata e un argento nel supergigante. A fine stagione si aggiudica anche la terza Coppa del Mondo della sua carriera, dopo quelle del 2001 e del 2003. Sono gli ultimi allori.

“Non ho più voglia di soffrire. Voglio vivere e fare tutte quelle cose che da atleta vedevo fare solo agli altri”. Così, a venticinque anni, il 19 aprile 2007 Janica si ritira all’apice del successo, mettendo fine a una carriera in cui ha vinto tutto, segnando il record di medaglie ottenute da una donna nello sci alpino. Self-made woman partita da zero da un paese con poche montagne, chiude la sua carriera collezionando nelle sue mani — o meglio, sulle sue gambe — tre Coppe del Mondo e nove medaglie d’oro tra Olimpiadi e Mondiali, cinquantacinque podi e trenta vittorie che segnano la storia dello sci.

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Natalia Pazzaglia
Virgola

Reporter, traveller and storyteller, with a passion for social and gender issues