Un tramonto lungo millenni: la bellezza senza tempo di Capo Sunio

Gabriele Sebastiani
Virgola
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5 min readSep 25, 2017

Quando dalla strada che accarezza la costa occidentale dell’Attica, dietro l’ultimo di tanti promontori che si affacciano su un mare tanto blu da sembrare finto, scorgi il Tempio di Poseidone di Capo Sunio, sai già che le due ondeggianti ore di viaggio da Atene su un pulmino sono un prezzo più che onesto da pagare, così come la levataccia all’alba e il bocchettone dell’aria condizionata sparato sulla fronte. Posti del genere, per chi, come i Greci, è abituato a vedere colonne e capitelli dorici in ogni dove, a lungo possono perdere quel fascino, ammantato di timore e reverenza, che a occhi stranieri si rivela in tutta la sua sconcertante semplicità. Chi lavora nei ristoranti e nell’unico hotel nelle vicinanze del tempio, che svetta senza rivali sul Capo, sventrato eppure dignitosissimo, non alza nemmeno lo sguardo per ammirare il simbolo struggente di un tempo inarrestabile che, mentre passa, dietro di sé lascia solo rovine.

Quello di Capo Sunio fu uno dei luoghi di culto più importanti nella Grecia Antica, specie se si pensa all’importanza che il mare e la navigazione ebbero in una società più votata all’acqua che alla terra. Per ingraziarsi Poseidone, non il più bonario e domo tra gli Dei dell’Olimpo, le processioni di marinai, di pescatori e dei rappresentati delle più importanti città, si succedevano incessanti, nella speranza che diversi sacrifici animali potessero placare l’ira di chi poteva decidere le sorti delle tante e decisive battaglie navali. Immancabile, ogni cinque anni, la processione dei sacerdoti della città di Atene, distante circa 70 chilometri, per una celebrazione sacra in nome della polis.

Di quello che un tempo fu il luogo votivo per eccellenza del Dio del mare oggi rimangono solo quindici delle trentaquattro colonne che l’architetto, probabilmente lo stesso che ha ideato il Tempio di Efesto ad Atene, portò a compimento tra il 444 e il 440 a.C, sopra le rovine di un precedente edificio. La leggenda narra che dal promontorio su cui ancora oggi resiste il Tempio, Egeo, re di Atene, si gettò in mare per l’erronea convinzione che il figlio Teseo fosse morto, dopo aver visto le navi provenienti da Creta con le vele nere dirigersi verso Atene, senza sapere che il figlio stesse invece tornando in patria sano e salvo. Tra le colonne doriche di marmo, svettanti tra il paesaggio brullo e arso delle campagne greche in estate e il blu del mare — il cui nome deriva proprio dal re suicida della leggenda — il vento soffia forte e fresco, mitigando la brutalità con cui il sole fa boccheggiare l’Attica anche a settembre, che si stende fino a un orizzonte macchiato dalle isole di Patroclo, Kithnos e Kea. A qualsiasi ora del giorno la vista da Sunio è di quelle che si scolpiscono nella memoria: il Tempio sembra seguirti in ogni dove, quando fai un bagno nella spiaggetta poco distante, dove affittare un ombrellone costa meno che caffè e brioche in Italia, quando mangi il pesce a prezzi da razzia a soli due metri dall’acqua e quando i gatti del luogo si strusciano sui tuoi polpacci sperando che tu condivida con loro il tuo pranzo. Non troppo contaminato dalla modernità che ha già inglobato l’Acropoli, il Teatro di Dioniso e il Tempio di Zeus Olimpio, dalla spiaggia il Tempio fa respirare un’aria antica di millenni, tanto da portare a chiedersi quanto ciò che gli Antichi vedevano fosse diverso da quello che oggi abbiamo davanti agli occhi.

Il Tempio di Poseidone ha assunto la forma che ancora oggi conserva già dal 399 d.C., quando l’Imperatore bizantino Arcadio ordinò la sua distruzione, ma sono diverse le occasioni in cui la grande storia decise le sorti del sito di Sunio: Serse, re dei Persiani, decise infatti di distruggere il precedente luogo di culto per punire gli Ateniesi, colpevoli di aver osato sfidarlo, mentre durante la guerra del Peloponneso, il sito venne sottratto agli stessi Ateniesi da un gruppo di schiavi ribelli, dopo che gli abitanti della polis avevano circondato il tempio e la cittadina sottostante di mura per evitare che cadesse in mani spartane. Molti secoli dopo, anche la letteratura lascia il suo segno a Sunio: Lord Byron, in visita in Grecia tra il 1810 e il 1811 per il suo Grand Tour in Europa, avrebbe lasciato la sua firma iscritta in una colonna del Tempio, a cui dedicò anche alcuni versi della poesia Isles of Greece. Il filosofo Martin Heidegger, invece, dopo aver visitato Sunio nel 1962, parlò dei Greci come di un popolo “che sa come lodare ciò che è grande e, rendendosene conto, di portarsi di fronte al sublime, fondando di fatto un mondo”.

Dalle basi del Tempio, tra i suoi marmi, è imperdibile il tramonto che tinge il cielo di sangue, mentre il sole si insinua con i suoi ultimi raggi tra le colonne, allungando ogni ombra fino al mare che si agita sessanta metri più in basso. È questo il momento della giornata in cui Sunio è presa d’assalto dai turisti, tutti pronti a immortalare il crepuscolo che incombe tra le rovine immobili, che un giorno dopo l’altro vedono sparire il sole all’orizzonte da millenni. I più fortunati sono coloro che riescono ad assistere al tramonto dal Tempio nel giorno più lungo dell’anno, in cui la stella sparisce esattamente nella conca del vulcano estinto che delinea il profilo dell’isola di Patroclo.

Dopo aver visto il sole calare e la notte avvolgere rovine che, salvo catastrofi naturali, ci sopravvivranno, dopo esser saliti di nuovo sul pulmino che tra cento tornanti porterà tutti indietro al caos e ai profumi intensi di Atene, è inevitabile pensare al tempo che passa, alla brevità della giornata trascorsa ai piedi di un monumento che, se non è il simbolo per eccellenza dell’intervento del tempo che calpesta ogni cosa, poco ci manca. Millenni di storia si condensano nelle due ore di viaggio che conducono tutti alla nostra intensa eppure breve e minuscola vita, che ancora oggi, dopo più di duemila anni, impallidisce e rimane senza fiato di fronte a una delle poche tracce che siamo riusciti a lasciare in un tempo indifferente, troppo vasto per essere concepito, che proseguirà incessante tra miliardi di nuovi, meravigliosi e ventosi tramonti tra le colonne di una civiltà che ci ha lasciato, tra le tante altre, un’eredità inestimabile: l’amore eterno per ciò che è bello.

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