L’esplorazione spaziale tra colonizzazione e innovazione

Sono sempre di più le aziende private che si interessano attivamente ad esplorare lo spazio. Alcune di queste sognano di colonizzare Marte, altre lavorano con capitali per acquistare risorse da altri pianeti. Il rischio è quello di servirci dello spazio come un sistema usa e getta.

Per molti anni, le missioni volte all’esplorazione spaziale erano riservate ai più potenti governi del mondo. Questo perché solo le agenzie nazionali come la NASA possedevano le risorse, sia tecnologiche che economiche, per inviare uomini e sonde ad esplorare lo spazio. Oltre a ciò, i Paesi più potenti della storia possedevano volontà politiche ben precise. Negli ultimi anni la situazione è cambiata: si parla infatti di democratizzazione dello spazio per indicare l’entrata in gioco di alcune aziende private, che attraverso tecnologie proprie possono esplorare lo spazio esattamente come le agenzie nazionali. Le più famose sono SpaceIL, Blue Origin e SpaceX.

Non è una novità che la NASA e altre agenzie spaziali stiano impegnando molte risorse nello studio e nella conoscenza di Marte; forse sorprende di più il fatto che privati come Elon Musk stiano correndo per lo stesso scopo. Elon Musk è l’amministratore delegato della Tesla, la più famosa azienda produttrice di automobili elettriche, ma sopratutto è il fondatore di SpaceX, un’azienda aerospaziale statunitense con lo scopo dichiarato di colonizzare Marte.

“Ti svegli al mattino e pensi che il futuro sarà fantastico — ed è questo che significa essere una civiltà dello spazio. Si tratta di credere nel futuro e pensare che il futuro sarà migliore del passato. E non riesco a pensare a qualcosa di più eccitante di andare là fuori ed essere tra le stelle.” Questo è il primo messaggio che appare a chiunque visiti il sito dell’azienda. Fra le idee di Musk, oltre ad esplorare le stelle, c’è quella di terraformare Marte. Le recenti analisi però sembrano mettere in discussione le teorie dell’eclettico imprenditore, documentando ad esempio una quantità di CO2 insufficiente per creare l’atmosfera marziana, come gli ha fatto notare Discover Magazine in un tweet.

Un’illustrazione del Big Falcon Rocket (BFR) che aiuta a colonizzare Marte (Photo: SpaceX)

Perchè proprio Marte?

Negli ultimi anni ci sono state 43 missioni dirette verso il Pianeta Rosso. Di queste, però, solo 18 hanno avuto successo, entrando in orbita marziana o scendendo sul suolo. Tendenzialmente, come nel caso della sonda NASA InSight, la missione è quella di analizzare caratteristiche del pianeta come la composizione del suo nucleo, le scosse sismiche e la sua temperatura.
Comprendere come il Pianeta Rosso si sta evolvendo porterà al dichiarato scopo finale: quello della colonizzazione, per creare un rifugio agli uomini che vogliano andarsene dalla Terra. In realtà, la scelta di Marte è praticamente obbligata. Oltre a Marte e alla Terra, infatti, gli altri pianeti sono considerati completamente inabitabili. In questo caso, invece, anche se la temperatura di -40°C non è assolutamente piacevole, prendendo le dovute precauzioni consente la vita umana. Il giorno è lungo circa quanto il nostro (consentendo quindi la coltivazione) e la gravità è solo un terzo di quella terrestre. Su Marte, inoltre, potrebbe esserci un sacco d’acqua (sotto forma di ghiaccio) e pure un po’ di CO2.
Fino a qualche anno fa, una missione dell’uomo su Marte e l’insediamento della prima colonia umana nello spazio erano pura fantascienza, mentre oggi queste eventualità sono programmate e previste entro i prossimi 20 anni.

Philip K. Dick, uno dei più grandi scrittori di fantascienza statunitensi, immaginava questo futuro già 30 anni fa. In particolare, nel romanzo Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Dick immagina che l’umanità abbia avviato la colonizzazione di Marte. Le unità inviate sul nuovo pianeta sono controllate in una forma di schiavitù, dalla quale rifuggono assumendo il Can-D, una droga che permette ai consumatori di vivere una simulazione di vita terrestre.

«Dio promette la vita eterna, io posso fare di meglio» disse Eldritch, «posso metterla in commercio.»

In un altro romanzo di Dick, Noi marziani (1964), il protagonista scappa su Marte per fuggire alle allucinazioni che lo tormentano che riguardano gli umani uguali ai robot. Su Marte però viene adibito alla manutenzione dei robot, con il risultato che le allucinazioni riprendono, implacabili perché la realtà è meccanica, disturbante e gli uomini ivi inglobati possono offrire risposte soltanto parziali a un mondo innaturale. L’effetto della tecnologia si connette poi strettamente al tema del potere. Sofisticate apparecchiature gestite dai detentori del potere sono in grado di ottenere notizie riservate, manipolare informazioni, memorie, percezioni per asservire il tutto ai loro scopi, delineando un mondo artificiale.

Nel 1917 H.P Lovecraft, il maestro dell’horror americano, scrisse Il colore venuto dallo spazio, un racconto in cui la caduta di un meteorite dallo spazio inizia a poco a poco a deteriorare una vallata del New England, prosciugando la vita e il senno degli esseri viventi. Lovecraft ha creato un cosmo pazzesco e folle dominato da divinità incomprensibili, dando origine al “cosmic horror”. La sua letteratura nasce in un periodo storico in cui la scienza stava facendo cadere le vecchie certezze, svelando l’universo meccanicistico e privo di scopo.

“Il colore venuto dallo spazio” in versione manga, disegnato da Gou Tanabe

Se è vero, come intuì Blaise Pascal, che “tutta l’infelicità degli uomini proviene dal non saper restare tranquilli in una stanza” sembra che personalità come Elon Musk non riescano proprio ad arrendersi nel costruire uno scopo. Lui stesso afferma che “quando ci si spinge oltre ai limiti, non c’è mai la certezza assoluta.”
Sia Musk che il defunto astrofisico Stephen Hawking hanno avvertito che la colonizzazione spaziale è necessaria per la sopravvivenza della nostra specie, la cui espansione su altri corpi celesti sarà una sorta di assicurazione nel caso in cui un grande asteroide, una guerra nucleare o un disastro ambientale come il cambiamento climatico possano rendere inabitabile la Terra. “Quando ci troveremo ad affrontare crisi simili”, ha detto Hawking, “dovremo avere altri posti dove andare, sulla Terra stiamo esaurendo lo spazio”.
Proprio a questo scopo è stato progettato il BFR di SpaceX, che può ospitare circa 100 persone: una piccola colonia pronta a stabilizzarsi su Marte. Il fondatore intende avere una Base Alpha sul pianeta pronta per i primi coloni entro il 2028, e ipotizza addirittura che nel nuovo mondo si potrebbe instaurare una democrazia diretta come forma di governo.

C’è una domanda però che incombe sul viaggio su Marte: come verrà gestita la sopravvivenza in un mondo secco e quasi privo di aria, con temperature mortali? Musk si è rifiutato di commentare questa questione.
Il progetto Biosphere 2, un enorme terrario contenente un campione di tutti gli ecosistemi con lo scopo di creare un habitat artificiale da portare su Marte per colonizzarlo, nonostante i limiti offre ancora alcune delle risposte più chiare a questa domanda. Questa missione rimane uno dei più grandi tentativi, anche se fallimentare, in sostegno alla vita bioregenerativa: un sistema autonomo di piante, microbi e animali che può riciclare e ricostituire tutta l’aria, il cibo e l’acqua di cui le persone hanno bisogno. Tale sistema ridurrebbe drasticamente la necessità di missioni di rifornimento e contribuirebbe a garantire la sopravvivenza a lungo termine dell’equipaggio. Inoltre renderebbe una colonia molto più sostenibile, economica e indipendente. Secondo Marshall Porterfield — il direttore del dipartimento di Space Life and Physical Sciences della NASA — un ragionamento sul supporto alla vita bioregenerativa è imprescindibile se si parla di viaggi su Marte, una seria ricerca dovrebbe iniziare ora se pensiamo davvero di mandare persone su Marte per più di un breve soggiorno.

Il deserto di Biosphere 2 Photo: Dave Mosher/Business Insider

Tutto questo ci dimostra quanto sorprendenti — e forse esagerati — siano gli esperimenti portati avanti con lo scopo di rendere possibile una vita al di là del nostro pianeta: viene spontaneo chiedersi come mai questi capitali a disposizione non finanzino ricerche per problemi legati alla Terra piuttosto che dare già per scontata la vita su altri pianeti. Oggi la compagnia di Musk vale circa 30,5 miliardi di dollari, e il mese scorso era riuscita ad avere finanziamenti privati per circa 500 milioni di dollari, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal un paio di mesi fa. Secondo il Los Angeles Times, Space X sarebbe pronta a tagliare del 10% la sua forza lavoro, attualmente composta da circa seimila dipendenti, a causa dei “tempi molto duri” che la società si attende per i prossimi mesi, soprattutto a causa del primo viaggio su Marte che secondo Musk dovrebbe costare tra i due e i dieci miliardi di dollari.

Siamo sicuri che l’umanità abbia il diritto di colonizzare Marte semplicemente perché saremo presto in grado di farlo e perché eventuali forme di vita marziana non sembrino in grado di impedircelo? Di sicuro è importante capire come potremmo sopravvivere su nuovi mondi, ma è altrettanto vero che chi ha le risorse per farlo non dovrebbe evitare di affrontare le questioni più vicine a noi per riuscire a migliorare e a mantenere abitabile anche la nostra prima casa.

Se il motivo per colonizzare Marte è dato dall’ipotesi che la Terra sia resa invivibile a causa di una catastrofe immane come il cambiamento climatico (escludendo l’avvento di un catastrofico meteorite), è davvero difficile immaginare qualcosa che la renda meno abitabile di Marte. La domanda è: dato l’enorme dispendio di risorse dato dalla costruzione, test etc. per l’esplorazione spaziale, non sarebbe il caso di destinare qualche missione imprenditoriale a salvare qualcosa sulla Terra? Ovviamente, sarebbe ingenuo chiederlo alla NASA, dato che il suo budget, naturalmente, può essere organizzato solamente per la spesa di risorse legate direttamente all’aeronautica e allo spazio. Per quanto riguarda le aziende private e la loro modernissima ricerca tecnologica, però, qualcosa si potrebbe fare sicuramente.

Editor: Diletta Huyskes, Dottoressa in Filosofia, specializzata in Etica dell’Intelligenza Artificiale

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Diletta Huyskes
VISIONARI | Scienza e tecnologia al servizio delle persone

Empirista radicale e idealista pragmatica, studio il rapporto tra tecnologia e società, le discriminazioni algoritmiche, il femminismo tecnologico.