Psicologia interplanetaria: riflessioni sul prossimo grande passo

Come può l’uomo superare il blocco psicologico a lasciare il pianeta?

Innanzi tutto, premetto che questo articolo sarà un’evoluzione del mio precedente sul tema dell’ambiente. Quando solitamente mi trovo di fronte a un argomento, cerco di portare avanti un discorso che, all’interno di un involucro di coerenza, nasconda volutamente una contraddizione. Solo di fronte al paradosso la mente, se adeguatamente disorientata, riesce a sospendere il giudizio e a lasciare lo spazio a nuove visioni di insediarsi eludendo le difese psicologiche: quando il pensiero razionale collassa, si accede a un altro tipo di intelligenza, più emotiva e creativa. Quest’ultima connette le informazioni e i concetti anzichè separarli, concependo la continuità tra gli opposti e aiutando la presa di coscienza. Il seguente articolo invece supporta una visione abbastanza unidirezionale senza giocare troppo con i paradossi: non si può tornare indietro. Ogni giorno è un passo avanti, senza che ce ne rendiamo conto. Siamo fatti per cercare continuamente un nuovo equilibrio e, come a molti è ormai più che evidente, la vita sulla Terra per la nostra specie è ben lontana dal concetto di equilibrio, alterando pericolosamente le condizioni di vita del pianeta stesso e degli altri organismi.

Mi trovo insolitamente a sostenere una conclusione che un anno fa non avrei mai pensato di considerare. Al tempo la mia posizione, che sicuramente risuona con molti di voi, vedeva l’espansione della vita oltre la Terra come un obiettivo abbastanza secondario, per non dire inutile. Il mio ragionamento, preso in prestito da un link di facebook, era il seguente: “perchè andiamo a cercare l’acqua su Marte, quando milioni di persone sulla Terra muoiono di sete?”. Oggi uso il termine ‘conclusione’ perchè credo che, con un minimo di onestà intellettuale, sia importante fare un bilancio e riconoscere che abbiamo superato il punto di inversione di tendenza. È vero: non possiamo essere certi che riconvertire i bisogni di consumo di buona parte della popolazione richieda un tempo maggiore rispetto a quello necessario alla ricerca di un altro pianeta per la nostra specie. Tuttavia, non è possibile nemmeno affermare il contrario. Si tratta di due azioni che vanno necessariamente portate avanti di pari passo se vogliamo garantire un futuro alla vita sulla Terra, oltre che a noi stessi. Qui c’è troppa pressione, stiamo danneggiando l’ambiente e minacciando la sopravvivenza degli altri organismi. Probabilmente l’essere umano ha bisogno di uno spazio maggiore e di più di una casa nel cosmo a disposizione per uno sviluppo continuo e graduale, che consenta di evitare l’implosione sul pianeta madre.

La Terra infatti in questo momento è come una mamma che nutre molti cuccioli: noi siamo il più prepotente e vorace e, per questo motivo, onde evitare di prosciugarla, saremo i primi pronti a lasciare il nido. La domanda fondamentale ora è: come prepararci al passo?

PER ASPERA AD ASTRA

Un viaggio nello spazio richiede una preparazione non insignificante, che può variare in base alla durata della navigazione. Presso l’ESA (European Space Agency), gli astronauti passano attraverso un training specifico di 3/4 anni che precede il primo volo. Questo può includere dei periodi in ambienti naturali ostili che riproducono le condizioni d’isolamento del cosmo, come il Polo Sud o le grotte sotterranee, utili a testare la loro preparazione scientifica, fisica e psicologica. Ci è voluto un po’ di tempo affinchè la NASA riconoscesse l’importanza della psicologia nel programma spaziale: è stato necessario prima realizzare che il rischio di fallimento di alcune missioni era legato non solo a un fatto tecnico-operativo, ma anche all’impatto dell’isolamento, della convivenza di diverse personalità a stretto contatto per lunghi periodi, con annesse esperienze, credenze e background culturali differenti. Le capacità di adattabilità, di resistenza mentale, di lavoro di squadra, di regolazione emotiva, di decision making con informazioni insufficienti e di concentrazione sotto pressione sono fondamentali.

A questo proposito, c’è una cosa interessante del training spaziale su cui, secondo me, è interessante riflettere: anche se un candidato mostra buone caratteristiche fisiche e di preparazione tecnico-scientifica, la dimensione psicologica rappresenta un aspetto indispensabile per valutare la sua idoneità. Dunque, saranno proprio risorse psicologiche come la risoluzione di conflitti e il lavoro di squadra a portarci nello spazio, nonostante spesso non siamo consapevoli del loro valore evolutivo.

Diversi astronauti, una volta rientrati sulla Terra, hanno dichiarato che osservare il nostro pianeta da fuori ha avuto un profondo impatto sulla loro percezione della vita e sulla consapevolezza che siamo tutti parte di un insieme, i cui confini interni sono puramente arbitrari. Come racconta Paolo Nespoli in un’intervista per La Repubblica, estendere la vita oltre la Terra è “un passo in avanti da compiere come umanità”, al di là delle barriere nazionali: le missioni spaziali infatti ci mostrano che diverse persone possono collaborare e convivere nello stesso ambiente per un fine condiviso nonostante le differenze culturali. La stessa ISS (International Space Station), situata a 400 km di altezza e permanentemente abitata dal 2000, rappresenta un incredibile progetto di coordinazione internazionale che ha aperto la strada verso una nuova civiltà in grado di vivere e lavorare nello spazio. L’estensione della vita oltre la Terra è infatti un intento comune da cui non possiamo tirarci indietro: al di là delle difficoltà tecniche che presenta, ci porta a superare dei blocchi psicologici il cui scopo è tenerci al sicuro da ciò che non conosciamo. Come infatti già ho spiegato nel mio precedente articolo sull’ambiente, l’imprevedibilità delle cose è la vera fonte di inquietudine per l’essere umano, ma è allo stesso tempo un potente catalizzatore dei processi di attribuzione di senso e costruzione di schemi condivisi attraverso cui interpretare la realtà e agire per modificarla: rompere alcuni di questi schemi genera nel nostro modo di percepire una crepa, attraverso cui diventa possibile contemplare possibilità e modi di esistere fino a quel momento ignoti. E cosa c’è di più ignoto del cosmo?

UN’ALTERNATIVA ALLA FOLLIA CLAUSTROFOBICA

Senza pensare di sottovalutare le conseguenze fisiologiche che il nostro organismo ha se sottoposto ad alterazione del sonno, esposizione a radiazioni e assenza di gravità, traspare in quest’articolo uno sbilanciamento netto a favore dell’esplorazione spaziale. L’intenzione non è minimizzare le difficoltà che presenta perseguire questo obiettivo, ma focalizzarci sulle capacità psicologiche che ci servono, come specie, per superare il blocco psicologico a lasciare il pianeta. Questo spontaneo progredire dell’evoluzione della vita e della civiltà non deve portarci però a dimenticare da dove veniamo: quello su cui stiamo proponendo di riflettere, più che abbandonare la Terra e i suoi abitanti, è espandere la nostra conoscenza e la nostra presenza nell’universo. Lo spirito quindi non è tanto nell’ottica della conquista e della colonizzazione, ma nella prospettiva dell’esplorazione di un’alternativa che ci spaventa e ci rassicura allo stesso tempo (sì, almeno un paradosso dovevo mettercelo).

Tuttavia, questa alternativa alla follia claustrofobica può essere anche un mezzo per permetterci di fare un passo indietro e osservare con più distacco le tendenze di pensiero responsabili delle condizioni problematiche che abbiamo creato qui e, magari, imparare a trattare con più rispetto i pianeti che ci ospiteranno (questo compreso). Dopotutto, siamo una specie ancora abbastanza primitiva a livello psicologico: veniamo molto guidati da logiche di potere e gerarchia competitiva anziché di cooperazione, definiamo le cose dal prezzo nel breve termine anziché dal valore nel lungo periodo e fatichiamo a costruire rapporti di fiducia. Tutti questi aspetti, se non vengono risolti e affrontati, ce li porteremo in qualsiasi galassia il nostro avanzamento tecnologico ci permetterà di arrivare. L’idea infatti è che, poichè un obiettivo come l’espansione nello spazio richiede necessariamente la collaborazione e lo sviluppo di una coscienza globale, andremmo incontro anche a importanti insight riutilizzabili nell’impostazione di un rapporto più funzionale con il mondo e tra di noi. Trovo quindi moralmente doveroso, oltre che stimolante, impegnarsi in questo tipo di missione e coordinare sempre di più gli sforzi internazionali: fortunatamente, al di là della NASA e delle grandi agenzie, sono già molte le startup attive nel settore che partecipano alla creazione di un futuro multiplanetario. Questo però non significa che la ricerca nelle energie rinnovabili, l’ingegneria climatica e gli altri tentativi di ridurre il nostro impatto ambientale non servano di per sè. Servono, ma non bastano a sviluppare una nuova consapevolezza riguardo alle risorse che abbiamo a disposizione, sia materiali che non.

In sintesi, serve altro spazio vitale su cui distribuirci. La nostra permanenza sulla Terra, con la coscienza di oggi, non ci consente di svilupparci senza distruggerla. Costruire stazioni spaziali, una base lunare o occupare un altro pianeta ci permetterebbe di investirvi energie e attenzioni, fornendoci sfide da cui trarre anche apprendimenti da riutilizzare su questo pianeta e consentendo uno sviluppo più armonioso alla nostra specie. Noi di VISIONARI abbiamo molto a cuore il tema dell’esplorazione spaziale e vogliamo stimolare la riflessione e il dibattito attorno ad esso. Inoltre, visti gli obiettivi rivolti a Marte nel breve-medio termine, ci teniamo a evidenziare l’importanza di programmi specifici di natura psicologica che consentano agli equipaggi in navigazione di sostenere il peso dell’isolamento e della convivenza ‘forzata’ per periodi molto prolungati: dopotutto, come già abbiamo detto, alcune dei principali fattori responsabili del buon esito delle missioni non sono dovuti solo alla preparazione tecnica degli astronauti. Come specie è per noi auspicabile iniziare al più presto a incoraggiare e condividere una cultura interplanetaria, cosa in cui i sistemi educativi potrebbero dare un appoggio significativo: alcune delle abilità necessarie per questo passo sono competenze relazionali e di intelligenza emotiva su cui nel breve periodo i modelli didattici dovranno per forza di cose convergere, onde evitare di lasciare le prossime generazioni senza strumenti per gestire il carico mentale delle sfide che attendono l’essere umano.

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Niccolò Manzoni
VISIONARI | Scienza e tecnologia al servizio delle persone

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