Simbiosi uomo-A.I.: robotizzarci per sopravvivere?

Come è ben noto anche a chi non è del settore, quando si parla di Intelligenza Artificiale si deve tener ben presente quanto oggi questo sia un argomento mainstream che, tra film di fantascienza e teorie complottiste, ha nutrito l’immaginario collettivo di timori o speranze che non sono necessariamente in linea con un confronto reale sul suo possibile impatto nella nostra vita quotidiana. Da scenari apocalittici a futuri ipotetici in cui faremo sesso solo con dei bots, le aspettative sono varie e con accezioni contrastanti. Proviamo, dunque, a riflettere su come la nostra esistenza andrà a trasformarsi, arrivando a modificare il modo in cui facciamo molte cose e, di conseguenza, anche il nostro modo di pensare e di essere.

TRA DIPENDENZA E ONNIPOTENZA

Un sistema A.I. lavorerebbe su tutti i processi di ricerca e selezione e anticiperebbe i nostri bisogni per rendere la routine giornaliera più fluida. Sembra complicato? Eppure ogni giorno compiamo delle scelte: da come vestirci, a cosa mangiare, o che mezzo di trasporto utilizzare per andare al lavoro o all’Università. Potremmo tagliare i tempi impiegati in azioni meccaniche e a basso impatto produttivo, ottimizzando le risorse e massimizzando gli outcome. Sebbene questo rappresenti un ideale già piuttosto radicato nella cultura occidentale, oggi lo scenario è ancora lontano dal permettere una reale simbiosi tra essere umano ed A.I. — non si può dire lo stesso per il nostro rapporto con la tecnologia in generale che, ormai, è parte della nostra rappresentazione corporea.

Inoltre, dal momento che un sistema intelligente emulerà i compiti e i ruoli anche di alcune persone, il rapporto che avremo con questo ‘organismo’ non si limiterà ad una semplice funzione strumentale, ma anche relazionale e psicologica. Per l’attuale stato dell’arte di questa tecnologia, alcune funzioni sono già accessibili e facilitano molte operazioni della nostra giornata, come la ricerca di informazioni tramite comando vocale, la selezione dell’itinerario più breve per raggiungere una destinazione o una sveglia ‘smart’; tuttavia, ce ne sono tante altre (la maggior parte) che ancora sono ben distanti da noi. Ma non è davvero così lontano il giorno in cui l’Intelligenza Artificiale sarà paragonabile ad un genitore apprensivo che può assistere l’essere umano nella crescita, nell’imparare a parlare una lingua, o addirittura a scrivere, a leggere, a fare un’attività sportiva o nello scegliere la professione ideale incrociando talenti e skills personali con le necessità della società.

Pur rappresentando un salto nel futuro sotto molti aspetti, l’evoluzione di questo rapporto può somigliare a una regressione alla prima infanzia, quando il caregiver provvedeva a buona parte dei nostri bisogni e gestiva tutti gli aspetti della nostra vita, mentre noi eravamo in uno stato di dipendenza.

L’A.I. infatti rappresenta un’arma molto potente di per sè: porterebbe conseguenze molto delicate sul piano sociale e psicologico della nostra specie che, paradossalmente, vivrebbe spezzata tra uno stato di dipendenza e di onnipotenza. Nonostante l’informatica abbia esteso ancora di più i concetti di tempo e spazio, non si può ancora prescindere dal suo utente/creatore, almeno per adesso. In ogni caso, prima di avventurarsi in qualsiasi altro tipo di considerazione più approfondita, occorre assicurarci di avere un terreno comune a cui fare riferimento nello sviluppo di questo discorso.

LA METAFORA BIOINFORMATICA

In generale, l’Intelligenza Artificiale è una branca dell’informatica il cui scopo è programmare sistemi che permettano ai computer di esibire comportamenti intelligenti. Affinchè siano in grado di portare a un tale risultato, questi sistemi sono dotati di due caratteristiche fondamentali: stiamo parlando di adattabilità, la capacità di migliorare le prestazioni imparando dall’esperienza, e di autonomia, che consente di eseguire compiti in ambienti complessi senza una guida costante da parte dell’utente umano (1). Si tratta quindi di un settore multidisciplinare, che attinge concetti e metodi dall’informatica e dalla matematica, tanto quanto dalla neurobiologia e dalla neurofisiologia (2).

Quando si parla di Machine Learning, si fa riferimento a sistemi che migliorano le loro prestazioni in un determinato compito modificando autonomamente gli algoritmi man mano che ottengono sempre più esperienza o dati. Il Deep Learning invece si riferisce a certi tipi di Machine Learning in cui diversi livelli di unità di elaborazione semplici sono collegati in una rete: in questo modo l’input al sistema passa attraverso ognuno dei livelli, che operano algoritmicamente attraverso le cosiddette reti neurali. Ecco quindi evidente la tendenza di questa disciplina ad utilizzare i sistemi biologici — in questo caso si guarda al modello del processamento dell’informazione visiva catturata dalla retina ed elaborata dalle varie stazioni sinaptiche fino al cervello — come fonte di ispirazione per costruire migliori tecniche di apprendimento automatico. È estremamente interessante questa analogia, soprattutto se messa in relazione al ruolo ‘anatomico-funzionale’ di altri componenti attraverso una metafora bioinformatica:

immaginandoci l’A.I. come il cervello, i Big Data come la memoria, l’IoT come i sensi e il Web come il sistema nervoso su cui passano le informazioni, diventa sempre più difficile mantenere un confine concettuale netto tra artificiale e naturale, tra biologico e digitale, tra vivente e non.

Per questi motivi prima parlavamo di ‘organismo’ anzichè di ‘macchine’, sebbene di questo si tratti. Lo scelta lessicale infatti è volutamente provocatoria e strizza l’occhio a tutta una serie di riflessioni di cui non vorrei privare nessun lettore.

La cinematografia e la narrativa hanno inoltre contribuito a costruire nel vocabolario comune un rapporto sinonimico tra Intelligenza Artificiale e robotica che, sebbene siano visceralmente legate, sono discipline differenti. La robotica infatti si occupa di costruire e programmare robot in modo che possano operare in scenari complessi e reali in accordo con un approccio embodied, che rappresenta un connubio tra scienza cognitiva e corporeità: vedere le potenzialità dei processi intelligenti nelle macchine come dipendenti dal supporto fisico segnerebbe quindi il tramonto di ogni forma kantiana di apriorismo. A questo proposito, con il termine ‘robot’ si intende un dispositivo composto da sensori che percepiscono l’ambiente e attuatori che agiscono sull’ambiente e che possono essere programmati per eseguire sequenze di azioni. Tuttavia nel quotidiano, le persone immaginano macchine umanoidi che camminano goffamente e parlano con voce metallica. Eppure l’aspetto varia molto in base alla funzione per cui sono progettati, sfuggendo quindi alla rappresentazione stereotipata che emerge dall’immaginario collettivo. Ora che è stata fatta un po’ di chiarezza sui confini e sui contenuti dell’A.I., proviamo a fare una riflessione sulle ramificazioni del suo impatto in vari ambiti della nostra vita, sia livello di noi come cittadini, imprese o istituzioni.

UNA TRASFORMAZIONE SU MOLTI LIVELLI

Senza entrare troppo nel merito dei possibili vantaggi e svantaggi legati alla convivenza con l’Intelligenza Artificiale, è possibile prevedere in linea di massima quali saranno gli utilizzi principali nei diversi settori (2):

  • nell’ambito della sanità e della genetica, l’A.I. aiuterà sempre più medici a raccogliere, analizzare e organizzare i dati clinici, fare diagnosi precoci, prevedere il decorso di malattie, pianificare trattamenti personalizzati e trovare le migliori soluzioni per i pazienti (per ridare spazio anche agli aspetti fondamentali del rapporto con il paziente), rischiando anche di arrivare a eliminare molte malattie attraverso l’editing genetico;
  • il discorso mobilità è forse uno dei più noti ad oggi, a partire dai programmi a supporto del guidatore in situazioni rischiose che riescano a rilevare potenziali incidenti, alle tanto dibattute self driving car;
  • per quanto riguarda il mondo del lavoro, bisogna aspettarsi una serie di stravolgimenti importanti legati anche al progresso dell’automazione, che modificherà anche il tipo di figure professionali che l’uomo (non) dovrà ricoprire;
  • l’A.I. trasformerà sempre di più anche la customer experience attraverso una crescente personalizzazione dei servizi e faciliterà alle aziende la fidelizzazione dei clienti;
  • assisteremo a grandi cambiamenti sia nel mercato finanziario a livello di assicurazioni, depositi, prestiti e investimenti, che nel sistema della giustizia, in cui notai e commercialisti verranno probabilmente sostituiti da sistemi autonomi;
  • se già oggi in politica gli algoritmi sono abbastanza intelligenti da predire i risultati elezioni, domani potrebbero scegliere il candidato migliore per noi e quindi essere responsabile delle scelte politiche del nostro paese;
  • anche il settore degli armamenti vivrà una rivoluzione attraverso l’implementazione di droni militari più avanzati e di potenti sistemi di riconoscimento facciale, rendendo sempre più attuabili strategie di targeted killing;
  • insieme a questi, anche i campi dei media, dell’energia, dell’arte e della moda verranno gradualmente modificati.

Non è difficile pensare come quelli sopraelencati possano rappresentare allo stesso tempo grandi innovazioni e serie minacce alla sicurezza e al benessere delle persone nella loro vita quotidiana: l’aspetto etico infatti è da considerare come fondamentale e necessario in questo processo di automazione e aumentazione informatica. Nell’ambito medico ad esempio, la diffusione dei dati personali sensibili rischia di collidere con il concetto di privacy. Inoltre, arrivando a poter cancellare dal genoma umano malattie come l’autismo, dovremmo interrogarci su che messaggio invieremmo implicitamente a coloro che ne sono affetti (3). E su quali criteri una self-driving car viene progettata per scegliere, in caso estremo, se investire un bambino o un anziano? La corsa all’algoritmo più prestante altererebbe anche le regole della concorrenza tra business, oltre a cancellare diverse occupazioni e richiederne la creazione di nuove. Se in ambito finanziario quindi rischieremmo di andare incontro a grosse speculazioni, tramite la politica l’A.I. arriverebbe a scegliere il governo per noi ed esercitare un controllo rilevante sulle nostre vite. Le guerre diventeranno più specializzate, così come le comunicazioni dei media, amplificando il loro potere persuasivo e rendendo sempre più verosimili le fake news (basti vedere il deepfake di Renzie diffuso poco tempo fa). Il concetto di arte infine verrà stravolto, così come il concetto di diritto d’autore: se l’esecuzione tecnica di un brano o di un’opera figurativa è realizzabile tramite A.I., quale aspetto di un esecutore di opere d’arte lo rende un artista, al di là dell’intenzione espressiva e comunicativa?

In sintesi, siamo di fronte a un paradosso, nato dalla ricerca di maggiore autonomia e libertà dell’essere umano che tenta di emanciparsi da se stesso attraverso la tecnologia: rischiamo però di dare vita a nuovi problemi tramite uno strumento che, originariamente, è stato creato per rendere la nostra vita quotidiana più semplice.

A questo riguardo, c’è chi sostiene che l’A.I. sia una grande minaccia e si dichiara contrario al suo sviluppo e utilizzo, mentre c’è chi è pienamente ottimista e non vede nessuna possibile ripercussione sull’essere umano — posizione assunta da Jack Ma, co-founder di Alibaba che di recente si è confrontato sul tema con Elon Musk, mostrando un atteggiamento abbastanza naive sulla questione. Nel prossimo paragrafo rifletteremo su una possibile strada per evitare alcune rischiose implicazioni, senza però bloccare l’utilizzo e l’espansione dei sistemi intelligenti.

ROBOTIZZARCI… PER DIVENTARE ANCORA PIÙ UMANI?

L’ipotesi che avremo bisogno di questa fusione per poter competere con l’Intelligenza Artificiale nasce da un ragionamento molto semplice: se infatti l’A.I. batte l’uomo a scacchi, la coppiata uomo-A.I. batte qualunque A.I.. Insieme a David Corsini — ingegnere, scienziato ed esperto di robotica a cui ho preso in prestito l’evocativa scelta lessicale per il titolo di questo paragrafo — , sono tante le voci e gli interventi a supporto di una graduale simbiosi, con l’obiettivo di impedire che l’Intelligenza Artificiale prenda il sopravvento su di noi. Elon Musk, uno dei più attivi sostenitori di questo approccio, nutre delle serie preoccupazioni riguardo uno sviluppo malgestito di questi sistemi e, attraverso la sua startup Neuralink, sta tentando di collegare la corteccia cerebrale al cloud tramite un’interfaccia: secondo lui, se riuscissimo a migliorare il legame neurale tra il cervello e il nostro ‘sè digitale’, questa fusione con l’A.I. avverrebbe e saremmo in una posizione di maggior controllo (4). Come abbiamo già accennato nei paragrafi precedenti, in un futuro non troppo lontano l’A.I. sarebbe in grado di compiere per noi diverse scelte e ci fornirebbe soluzioni tramite un processo che non riusciremmo nè a comprendere, nè a riprodurre: il fatto che un sistema di machine learning possieda algoritmi tramite cui si programma da solo ci toglie la possibilità di scoprire come si arriva un determinato outcome. E per quanto incredibilmente affascinante, si tratta di qualcosa che in molte situazioni della vita quotidiana ci priverebbe della necessità di scegliere, di immaginare e di sbagliare: il cosiddetto libero arbitrio e il valore dell’esperienza verrebbero ridefiniti, stravolgendo il nostro modo di vivere la vita, le relazioni e il rapporto con l’ambiente. Se però il rapporto di subordinazione non vedesse l’uomo come sottoposto ai sistemi intelligenti, è possibile che una volta divenuti virtualmente onnipotenti ci renderemmo conto di cos’è davvero il nucleo dell’umanità, e scopriremmo se è davvero la modernità degli strumenti che abbiamo a disposizione a determinare chi siamo e a placare le nostre angosce sul senso dell’esistenza. Forse, in un mondo in cui l’innovazione tecnologica diverrebbe, se non vana, per lo meno secondaria ad altre qualità del vivere, perderebbe di ogni significato l’idea di un progresso finalizzato a dominare le leggi di natura e a dimostrare che l’uomo è qualcosa di oltre. Oltre a cosa poi?

La prospettiva quindi non è certo arrivare ad abbandonare ogni strumento tecnologico — cosa per altro impossibile da compiere spontaneamente a questo punto della storia — , anche perchè è proprio da questi strumenti che veniamo irreversibilmente trasformati nel nostro modo di funzionare: si tratta piuttosto di un processo di maturazione di coscienza più profondo, che ci consentirebbe un uso diverso degli strumenti di cui siamo in possesso e, soprattutto, una padronanza maggiore delle direzioni del processo di innovazione. Sarebbe desiderabile poter negare fermamente che ci stiamo affacciando ad un periodo delirante di onnipotenza transumanista; tuttavia, non solo temo questo sia impossibile, ma anche controproducente. È invece più probabile che avremo bisogno di passarci attraverso, almeno per un momento, per acquisire responsabilità riguardo l’impatto del cosiddetto progresso su noi stessi, sulla nostra vita quotidiana e sul mondo di cui siamo parte.

E se fossimo dentro un processo dialettico di scoperta della connessione? Questo passaggio potrebbe segnare per l’homo sapiens sapiens — sapiens in quanto consapevole — la vera nascita, l’unica a cui non segue necessariamente una morte cinematografica.

Sembra un paradosso: robotizzarci per sopravvivere come esseri umani e forse, in un certo senso, per diventarlo ancora di più. Ma cosa significa questo? Nessuno può dimostrare che siamo destinati a tramontare, non a breve almeno, perchè non ne ha gli strumenti: il mondo infatti è pieno di persone che cambiano la loro vita nonostante momenti di incredibile difficoltà, sia da sole che in gruppo. Stiamo collettivamente riducendo la povertà nel mondo a un ritmo molto maggiore rispetto a prima del 2000 e questo fatto, insieme ad altri, è un’evidenza con cui gli scettici riguardo la natura dell’uomo devono confrontarsi, se vogliono fondare le loro posizioni su basi empiriche veritiere. Sicuramente ci troviamo ancora a uno stadio iniziale di questa trasformazione tecnologica globale e dobbiamo essere in grado di collaborare come specie per sviluppare una visione sul lungo termine sulle implicazioni delle nostre ricerche. Possiamo scavarci la fossa (o lasciarlo fare ai nostri robot) o scrivere un nuovo capitolo della storia del mondo e dell’umanità, che non rientra in quelli conclusivi: in entrambi i casi, lo faremo insieme. Eppure, nonostante i rischi, se in questo momento storico riusciremo ad approfondire la nostra conoscenza sul mondo e sulle cose e creare cose che espandano la nostra coscienza, saremmo in grado di porci le domande giuste, di conoscere meglio noi stessi, i nostri limiti e i nostri bisogni reali. Solo a quel punto saremo in grado di governare le nostre menti, e quindi anche l’innovazione, in maniera consapevole. Dunque, oltre a impedire il ribaltamento del rapporto di subordinazione tra uomo ed A.I., occorre stabilire dei confini ben precisi nella ricerca e nell’utilizzo di quest’ultima. A questo proposito, noi di VISIONARI incoraggiamo sinergia e collaborazione nello sviluppo di una reale consapevolezza delle implicazioni etiche e pratiche dei sistemi intelligenti.

VISIONARI è un’associazione non-profit che promuove l’utilizzo responsabile di scienza e tecnologia per il miglioramento della società. Per diventare socio, partecipare ai nostri eventi e attività, o fare una donazione, visita: https://visionari.org

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Niccolò Manzoni
VISIONARI | Scienza e tecnologia al servizio delle persone

Keywords: Psicologia, Neuroscienze, Scienze cognitive, Robotica Sociale, Tecnologia, Business.