Tecnosessualità, sex robots e liberazione sessuale

Una bambola hi-tech dotata di intelligenza artificiale con una personalità da scegliere tra timida e innocente, gelosa e intellettuale: ecco lo stato attuale della tecnologia sessuale, dove continuano discriminazione e oggettivazione femminile e dove — in realtà — finisce la libertà.

Secondo uno studio effettuato dall’Università di Helsinki su 432 persone, fare sesso con un robot ci sembra più moralmente accettabile che “frequentare un bordello”. Lo studio, destinato ad una presentazione in occasione dell’International Congress on Love and Sex with Robots (LSR) previsto per il 2020, dimostra che pagare per le prestazioni sessuali di un sex robot viene condannato in modo meno severo dalla società che pagare per le medesime prestazioni di un lavoratore del sesso umano: il sottotitolo abbastanza emblematico della ricerca pubblicata è infatti “Come il disgusto è associato al sesso tra esseri umani ma non tra androidi”.

Negli ultimi anni, la conoscenza e l’utilizzo dei sex robots sono aumentati rapidamente: con i progressi fatti nella creazione e nello spiegamento dell’intelligenza artificiale, c’è stato un notevole aumento nell’acquisto di robot sessuali per uso personale. La società Abyss Creations, che per prima ha inventato le RealDolls, ha dichiarato che a partire dal 2017 vendevano circa 600 bambole in tutto il mondo ogni anno e che il 95% delle bambole erano femmine. Un sondaggio del 2017 ha inoltre suggerito che quasi la metà degli americani pensa che fare sesso con i robot diventerà una pratica comune entro 50 anni.

Prendiamo un esempio reale: Harmony, il robot sessuale prodotto dalla Abyss Creations con sede in California, è in sviluppo dal 2016. Può raccontare barzellette, fare rumori realistici e determinate espressioni facciali durante il sesso.

Harmony sorride, sbatte le palpebre e aggrotta le sopracciglia. Può tenere una conversazione, raccontare barzellette e citare Shakespeare. Ricorderà il tuo compleanno, cosa ti piace mangiare e i nomi dei tuoi fratelli e sorelle. Può parlare di musica, film e libri. E, naturalmente, Harmony farà sesso con te ogni volta che vuoi. (The Guardian)

Un robot del sesso iperrealista con capezzoli, peli pubici e labbra personalizzabili, con un prezzo di partenza di 7.999 dollari — e questo è solo per la testa. Quest’ultima può essere usata da sola oppure decidere di attaccarla a un corpo di silicone, anch’esso personalizzabile in moltissimi modi diversi, e di gran lunga più evoluto rispetto a quello delle classiche sex dolls. Il robot Harmony funziona connettendosi tramite Bluetooth e Wi-Fi a un’applicazione Android di intelligenza artificiale chiamata Harmony AI. L’app controlla ogni movimento, espressione e dialogo, e verrà nel futuro aggiornata continuamente.
In base a quanto dichiarato da Guile Lindroth, capo dell’Intelligenza artificiale di RealDoll, questi primi modelli di “teste” hanno ancora molto da migliorare: la prossima versione aggiungerà alcune nuove funzionalità come le telecamere negli occhi dei robots per il riconoscimento di volti e oggetti, sensori tattili in faccia, altoparlanti incorporati e più espressioni facciali.

È facile immaginare come, con un business del genere tra le mani e una competizione così alta, sia facile trascurare ogni aspetto etico e sociale dell’oggetto che viene immesso nel mercato. Gli aspetti che riguardano la sicurezza e la privacy, soprattutto, meriterebbero alcune risposte più urgenti.

James, un ingegnere 60enne e il suo robot April

Al di là delle opinioni riguardanti l’hackerabilità dei sex robots, sulla quale si possono leggere opinioni esperte molto contrastanti tra di loro (tra le altre, quella dell’esperto di cybersecurity Nick Patterson), le critiche più comuni rivolte alla diffusione di questa nuova tecnologia riguardano la disumanizzazione dell’atto sessuale, un aumento delle pretese e una forma di favoreggiamento nei confronti della rape culture e della schiavitù sessuale a danno delle donne. L’entrata dei sexbot nell’immaginario sociale ha aperto le vie ad almeno due orientamenti: la prima, critica nei confronti dei sexbots — e di solito sostenuta per lo più da posizioni femministe — e la seconda, possibilista, che non considera i robot come una minaccia ma, anzi, li vede più come una potenziale risoluzione ad alcuni problemi sociali legati alla violenza sessuale e la solitudine.

È utile sottolineare che una prospettiva più scettica nei confronti dei robot sessuali, quella di chi chiede maggior chiarezza e normativa, non sia da ascrivere necessariamente ad una visione tecnofoba o ad un eccesso di moralismo, anzi: la chiave sta nel voler trovare loro il posto giusto nella società cogliendo le loro potenzialità e assicurarne un utilizzo concreto e positivo piuttosto che trasformarle in un rischio.
Alcuni tabù imposti alla sfera sessuale che portano ad escludere a priori qualsiasi atteggiamento non rientri nella dimensione “classica” della sessualità sono sicuramente la conseguenza di un’eccessiva moralizzazione sociale, che di questi tempi sta prendendo evidentemente il sopravvento. È chiaro che i discorsi sulla sessualità, come ci ricorda il filosofo Michel Foucault nel suo saggio del 1976, siano storicamente normati da dispositivi di potere, che pretendono di produrre una verità assoluta e scientifica per analizzare e spiegare la sessualità in maniera riduttiva, imposta. Un potere che irradia la sua autorità mediante le istituzioni, che finiscono per far interiorizzare come assoluta un’idea di normalità che è giusta, e quindi approvata socialmente, contrapposta a un’idea di anormalità, di follia.

Sul piano clinico e trattamentale, allora, l’impiego dei robot umanizzati sembra estendersi ad un vasto campo d’intervento, in quanto si annovera la possibilità del loro impiego con persone socialmente isolate o nel trattamento dei sex offender. Su più larga scala, considerando le implicazioni etiche e giuridiche, i sexbot potrebbero ad esempio rivelarsi un utile strumento di riduzione della prostituzione e di contrasto al turismo sessuale, dello sfruttamento e del traffico di esseri umani. Al contrario però, se la diffusione dei robot crescerà come previsto, è probabile che molti paesi non saranno pronti ad accoglierli: i governi non hanno idea di come porre dei limiti al loro utilizzo. Se si pensa che i sexbots creano delle controversie per quanto riguarda le tre leggi della robotica indicate da Asimov, figuriamoci per leggi umane. Quello che oggi costituisce il reato di danneggiamento verso le cose (previsto dall’ex art. 635 c.p.), potrebbe un giorno configurare una variante della fattispecie del reato di lesione personale, oppure il reato di violenza sessuale nel caso in cui si agisse nei confronti di un sexbot programmato per manifestare il proprio dissenso.

Al di là della libertà individuale da promuovere, rappresentata in questo caso dal piano più intimo concesso all’essere umano, però, è vero che i problemi con i sex robots esistono.

Aimee van Wynsberghe, assistente professore in Ethics & Technology alla Technical University di Delft ha dichiarato riguardo ai robot sessuali che: “La tecnologia offre alcuni vantaggi ma, come tutto il resto, esiste un equilibrio. È necessario trovare un equilibrio tra la mancanza di regolamentazione — quindi si hanno tutti i diversi usi e personificazioni di bambini e donne come oggetti sessuali — oppure si ha un’eccessiva regolamentazione a soffocare la tecnologia.”
Riprendiamo un dato iniziale e cruciale: più del 95% dei clienti di RealDoll sono uomini, anche i pochi che acquistano robot maschili.
Il loro sito, ad una donna, non lascia molta scelta: accedendo, ho subito notato che nella homepage appare Harmony, il primo modello dell’azienda, e nella sezione “Build your own” compaiono solo prototipi femminili. Il design dei vari modelli indica una chiara rappresentazione feticizzata della sessualità femminile che gioca con la fantasia maschile e una riduzione della soggettività della donna a un semplice “tipo”.
“Se la mia RealDoll fosse stata in grado di cucinare, pulire e fare sesso quando volevo, non sarei mai più uscito insieme ad una donna”, ha scritto un uomo in un forum sui robot del sesso.
David Levy, autore di Love and Sex with Robots e fondatore dell’omonimo congresso, crede che molte persone che altrimenti sarebbero diventate disadattati sociali, emarginati o peggio, grazie a questi robots saranno esseri umani meglio bilanciati. Ma la domanda che sorge spontanea è: perchè per apportare un beneficio a qualcuno è necessario oggettivizzare la figura femminile?

Se ripensiamo ai clienti di RealDolls una risposta c’è: gli acquirenti principali sono uomini bianchi, di mezza età, di status socio-economico medio e con una buona dimestichezza con la tecnologia. Mentre le donne reali si ribellano, si fa nascere un nuovo sostegno — che sia accondiscendente, quasi immobile e incapace di intendere e volere — al fine di preservare la mascolinità stessa.
La soluzione alla violenza non è offrire ancora più corpi femminili perchè possano venire trattati come qualcosa di finalmente disumano: non si tratta di creare repliche di donne che non rispondono, non provano dolore e che esistono solo per sostenere l’ego maschile. Non stiamo certo parlando del primo esempio di oggettivazione femminile della storia: se questo risolvesse il problema della violenza sulle donne, ormai dovremmo essercene liberate da un pezzo.

Le teste personalizzabili di alcuni sexbots femminili

Indipendentemente da ciò che i creatori sostengono a proposito dell’innocuità o del bene sociale portato dai robot sessuali, essi proiettano inevitabilmente delle convinzioni molto chiare su ciò che gli uomini meritano e a cosa servono le donne: i loro creatori sono uomini, vengono assemblate da uomini, educate da uomini e vendute da uomini ad altri uomini. Il messaggio è che il sesso è una cosa che gli uomini ottengono dalle donne o fanno alle donne, non una cosa vissuta reciprocamente che richiede rispetto o empatia. A sostegno dei sexbots di parla di “compagnia” come una strada a senso unico per gli uomini: le sfide, i disaccordi, i sentimenti e i pensieri non sono qualità preziose o desiderate in una donna. “Compagnia”, in questo contesto, significa semplicemente soddisfazione maschile.

“Robot sessuali: l’innovazione guidata dalla fantasia masturbatoria maschile non è una rivoluzione” Suzanne Moore

Ma cosa ne pensano, le donne, dei sexbots? Una domanda come questa, che ci incoraggia a pensare alle donne come parti interessate centrali piuttosto che semplici vittime dell’inevitabile sviluppo della robotica sessuale, è una domanda che interrompe potenzialmente l’attuale approccio maschilista al campo. Per ora sembra che nessuno si sia interessato all’argomento e l’assenza di questa domanda nel discorso pubblico dimostra come l’intelligenza artificiale — la tecnologia più importante del futuro — continua a far parlare di sé per il suo sessismo e la tendenza al pregiudizio in generale.
Ipotizzando una delle potenziali risposte a questo interrogativo, si può pensare al fatto che i robot sessuali maschili potrebbero consentire alle donne di esplorare la propria sessualità lontano dai ruoli limitanti che le strutture patriarcali concedono loro. Le norme sociali molto spesso condizionano la sessualità femminile con la sottomissione e il dover-dare-piacere, piuttosto che riceverlo.

Tuttavia, considerando il mercato dei sex toys e l’elevato numero di donne che li acquistano, si potrebbe auspicare ad un ruolo simile e funzionale da parte dei robots — ovviamente in seguito ad una maggiore apertura da parte del mercato, da parte di note aziende come la Abyss Creations o magari di nuove personalità pronte ad occuparsi del problema. Se si eviterà una proposta collaborazionista in un epoca individualista come la nostra, non è difficile immaginare che il sé, ridotto e rimpicciolito, potrà fare a meno del tutto dell’altro e della relazione affettiva. Paradossalmente si sarà attuata la più grande conquista della tarda modernità: l’individualità perfetta, l’apparente autonomia di un sé che anziché rafforzare le sue potenzialità attraverso il rapporto con l’altro si sarà ritirato in una solitudine all’interno del virtuale, non più in relazione ma come prolungamento individuale. Solo un impegno femminista di collaborazione critica nello sviluppo di robot sessuali potrebbe alterare il corso della storia.

Editor: Diletta Huyskes, Dottoressa in Filosofia, specializzata in Etica dell’Intelligenza Artificiale

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Diletta Huyskes
VISIONARI | Scienza e tecnologia al servizio delle persone

Empirista radicale e idealista pragmatica, studio il rapporto tra tecnologia e società, le discriminazioni algoritmiche, il femminismo tecnologico.