Una mano artificiale controllata dal pensiero per restituire 100 sensazioni tattili

I ricercatori dell’Università dello Utah hanno progettato una speciale protesi che restituisce la sensazione del tatto a coloro che hanno perso un arto.

Keven Walgamott tiene ancora una volta la mano di sua moglie attraverso il braccio robotizzato sperimentale dei ricercatori. (credit: Jacob George et al, Dr. Greg Clark lab, University of Utah)

Quando Keven Walgamott ha afferrato la mano della moglie, il suo viso non ha trattenuto l’emozione.

Il gesto di Keven può sembrare del tutto normale, soprattutto per chi non conosce la sua storia. Perché Keven non aveva più un braccio da 14 anni, e finalmente ha potuto percepire le dita morbide della sua compagna, grazie al suo palmo protesico.

I ricercatori Jacob George e Greg Clark dell’Università dello Utah stanno lavorando ad una nuova interfaccia che restituisca la sensazione del tatto a coloro che, avendo perso un arto, si trovano a dover usare una protesi.

David (un paziente) sta testando questa nuova interfaccia che integra perfettamente movimento e sensazione. L’obiettivo è quello di sostituire quel senso di estraneità e alienazione di coloro che utilizzano una normale protesi robotizzata con un senso di naturalezza e spontaneità, come se la protesi venisse percepita come una parte di sé.

Toccando direttamente i restanti nervi dell’avambraccio perduto di Keven, l’interfaccia traduce i suoi pensieri in segnali elettrici che spingono la mano robotica al movimento.

Ma non è tutto: l’interfaccia prende anche informazioni dai sensori sulla mano robotizzata e le restituisce al cervello attraverso due array elettrici impiantati ad alta densità. Lì, gli impulsi elettrici si traducono in una sensazione fisica di pressione, riempita da vibrazioni e sensazioni di movimento che sembrano provenire dall’arto mancante del paziente.

È questo circuito chiuso che va dal pensiero al movimento al feedback sensoriale che rende questo dispositivo così speciale.

“Spesso si pensa spesso al tatto come a un senso univoco, ma in realtà è suddiviso in altre componenti, come la pressione, la vibrazione, la temperatura, il dolore, etc.” ha detto Jacob George, che ha contribuito a sviluppare l’interfaccia.

“L’alta risoluzione del nostro dispositivo ci permette di attivare queste sottoclassi del tatto in isolamento (ad esempio, pressione senza vibrazioni o dolore) in una parte specifica della mano.”

A differenza delle generazioni precedenti che potevano trasmettere in maniera limitata al massimo 20 sensazioni, il nuovo sistema restituisce anche 100 sensazioni uniche con una risoluzione molto accurata.

Tutto questo distingue in modo speciale l’interfaccia. George spiega: “I nostri partecipanti hanno già controllato protesi con il pensiero. Hanno anche sentito sensazioni dalla loro mano mancante. Ma combinare entrambi questi fattori, aggiungendo anche un pizzico di feedback visivo, dà luogo ad un’esperienza completamente diversa.Improvvisamente la sua mano rivive,” dice, presentando i risultati alla conferenza della Society for Neuroscience di Washington, DC.

Problema protesi

Keven è una delle 1,6 milioni di persone negli Stati Uniti che soffrono di perdita degli arti.

“Perdere un arto non è solo perdere una parte fisica di se stessi. Significa anche perdere una parte emotiva,” secondo George.

Depressione e ansia sono molto comuni. Alcuni pazienti sperimentano persino dolori fantasma, come sensazioni di bruciore che sembrano emanare dal loro arto amputato e non rispondono ai normali analgesici.

“I nostri partecipanti hanno descritto la perdita della loro mano come una perdita di un membro della famiglia, con l’aggravante di averne contezza tutti i giorni,” afferma George.

È questa ferita emozionale che è estremamente difficile da curare. Parte della ragione sta nel fatto che le attuali protesi non si adattano bene. Gli scienziati hanno già fatto passi avanti nella realizzazione di protesi flessibili che restituiscono un senso di funzionalità normale. Questi dispositivi generalmente captano i segnali elettrici provenienti dai muscoli al di sopra del sito di amputazione utilizzando elettrodi di superficie, in modo non invasivo, ma anche meno selettivo nel captare i diversi segnali nervosi periferici.

“Metaforicamente,[questo è] altrettanto difficile come avere una conversazione privata con qualcuno all’interno di uno stadio di calcio se si grida dall’esterno,” dice George.

Protesi più recenti sono collegate direttamente alla fonte: la corteccia motoria del paziente, o i restanti nervi del suo braccio. Questi nervi trasmettono l’intenzione del cervello di focalizzarsi sull’arto amputato, e questi segnali possono essere decodificati per spostare la mano protesica di conseguenza.

Rispetto al cervello, i nervi del braccio sono bersagli implantari molto più sicuri. Piuttosto che cercare di capire i segnali disordinati e probabilistici nella corteccia motoria, è molto più sensato attingere ai segnali a valle.

Eppure, nonostante l’avvincente tecnologia che permette ai pazienti di controllare le braccia robotiche con le loro menti, questi dispositivi presentano ancora problemi da risolvere.

Senza il feedback sensoriale che normalmente otteniamo, i pazienti non riescono a mettere a punto la presa. Piuttosto che raccogliere un chicco d’uva, finiscono facilmente per ridurlo in poltiglia. Tutto questo è poco intuitivo, frustrante e restituisce una sensazione di assoluta estraneità.

“Di conseguenza, quasi il 50% degli amputati abbandona le protesi. Vogliamo ripristinare la piena esperienza dell’uso della mano” Dott. George

Il nuovo sistema funziona in due parti: in primo luogo, raccoglie i segnali dal cervello attraverso due microelettrodi, che sono impiantati nei nervi residui del paziente che normalmente innervano la mano.

Allo stesso tempo, un altro gruppo di elettrodi raccoglie i segnali dai muscoli residui.

“Dopo l’impianto, è necessario creare una mappa di quali sono le sensazioni possibili, e quali di queste sono specifiche per un dato paziente,” sostiene George.

Nel test, hanno stimolato meticolosamente ciascuno degli elettrodi dell’array — 192 in totale — e chiesto a Keven di riferire dove sentiva una sensazione e cosa fosse.

Ad esempio, l’elettrodo 64 era associato ad una sensazione di pressione sulla punta del pollice. Il team attiva quindi il sensore di pressione sul pollice della protesi, in modo che si comporti come una mano vera.

Una volta completata la mappatura, l’intero processo di traduzione avviene sotto traccia. Keven può muovere intuitivamente la mano protesica, come se agisse da solo.

Quando la protesi entra in contatto con oggetti, il team stimola l’elettrodo corrispondente per fornire un feedback al paziente. Per la punta del pollice, è l’elettrodo 64. Più forte è la pressione, più forte è la stimolazione. In sostanza, gli array sostituiscono essenzialmente le terminazioni nervose perdute che normalmente innervano la mano.

In questo modo, quando il pollice della mano protesica tocca un chicco d’uva, Keven ha la sensazione del tatto sul suo dito mancante.

I miglioramenti funzionali sono stati enormi. In una prova, in cui a Keven è stato chiesto di muoversi intorno ad un “uovo meccanico” che percepisce la pressione, egli è riuscito a non rompere l’uovo il 21 per cento in più delle volte nei casi in cui il feedback sensoriale è stato attivato.

Nuova sensazione di unità

Ma senza dubbio, il beneficio maggiore è emotivo.

In una dimostrazione video, ad un precedente partecipante è stato chiesto di toccare una porta virtuale usando una protesi generata dal computer. La simulazione era fumettistica e ruvida, ma non importava al paziente.

Sfregando la mando dell’avatar contro la porta, ha esultato: “Oh mio dio. Ho appena sentito quella porta!”

“Il partecipante non ha sentito la sensazione sulla mano mancante; ha percepito la porta e improvvisamente di interagire con l’ambiente che lo circonda per la prima volta in 24 anni.” George

Questo senso di incarnazione è ciò che prima mancava nelle protesi.

L’esperienza di Keven non è stata meno trasformativa. Dopo una sessione di allenamento con una mano protesica stampata in 3D, gli è stato chiesto che cosa avrebbe voluto afferrare.

“Voglio stringere le mani tra loro,” ha detto, chiudendo ripetutamente la mano restante sulla protesi, come se si massaggiasse le nocche dopo una lunga giornata.

“La protesi era originariamente solo uno strumento per aiutarlo nelle sue attività quotidiane, ma ora è qualcosa che viene riconosciuto come la sua mano. Non si tratta solo di migliorare la destrezza o la sensazione, si tratta di sentirsi di nuovo interi.” George

Il team sta ora lavorando prontamente ad una versione wireless del sistema da portare a casa per consentire ai pazienti di utilizzarlo nella loro vita normale. Senza fili che si staccano, le probabilità di infezione e rottura dovrebbero essere ridotte. Si prevede inoltre che i benefici si amplificheranno dopo una maggiore pratica e con un utilizzo continuativo.

Dopo aver già testato la loro attuale interfaccia in sette pazienti, il team si sente sicuro. La versione wireless sarà pronta per il test umano tra circa un anno.

Tradotto in Italiano. Articolo originale: Singularity Hub

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