Cosa se ne fanno Inter e Milan di questa Europa League?

Alessandro Oliva
vivalafifa
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4 min readMay 15, 2017

Dopo l’ultimo turno, Inter e Milan si ritrovano ancora una volta in stagione a fare i conti con una mancata vittoria. E ancora una volta, a “correre a rallentatore” per andare in Europa League. Almeno, a vederla da fuori sembra proprio che sia così: tra cambi di allenatore e nuovi moduli sperimentati a fine campionato, le due sino-milanesi non stanno mostrando chissà quale entusiasmo nella corsa che porta alla seconda competizione europea.

Certo, la Champions è tutta un’altra cosa, per prestigio e premi in denaro: la Juve dopo la finale di Cardiff si metterà in tasca un centinaio di milioni e potrà concentrarsi sugli impegni estivi in giro per il mondo per continuare a lanciare a livello globale un brand ormai avviato. Se si considerano i dati di vendita delle maglie a livello mondiale, la Juventus ha tottalizzato lo scorso anno un +55%: 1,6 le maglie vendute nel 2016, contro il milione del 2015. Anche il Milan è cresciuto, passando dalle 978mila a 1,2 milioni, per un rialzo del 31%. L’Inter nella top ten globale al momento non è presente, almeno stando a questi dati diffusi dall’agenzia di marketing Euromericas.

Ora, che c’entrano in tutto questo le magliette? Ci arriviamo. L’Europa League, così come è concepita, è una coppa strutturata per favorire più le cosiddette provinciali, o le squadre di tradizione in cerca di qualche ricavo in più da affiancare alle plusvalenze. Non è un caso che negli ultimi anni si siano qualificate realtà come Torino, Sassuolo e ora l’Atalanta. Ovvero squadre alle quali possono fare comodo gli introiti dell’Europa League, che come detto sono in crescita ma pur sempre magri rispetto alla Champions. In questa edizione, per esempio, un club che partecipa alla vecchia Coppa Uefa potrà mettersi in tasca al massimo (cioè vincendo tutte le partite fino alla finale) 15 milioni di soli premi legati ai risultati, ai quali vanno aggiunti quelli del market pool. Per fare un esempio, lo scorso anno Napoli e Fiorentina hanno ricavato dalla campagna europea 12,5 e 11 milioni di euro. Non chissà quali cifre, per squadre che necessitano di ben altri introiti: la prima per colmare il gap di fatturato spesso invocato da Sarri per competere fino in fondo per lo scudetto, mentre i viola sono alle prese con un progetto per il nuovo stadio che avrebbe bisogno di assegni più corposi. Anche l’Atalanta metterà in piedi il cantiere per lo stadio, dopo essersi aggiudicata l’acqusito dell’Atleti Azzurri d’Italia per circa 8 milioni: costi molto inferiori al progetto della Fiorentina e che i premi dell’Europa League posso aiutare ad ammorizzare, almeno a livello di flussi di cassa, permettendo al club di non dover ricorrere per forza a troppe plusvalenze, secondo il modello consolidato di business della squadra di Percassi.

Ma si diceva delle magliette. Ora, oltre ai premi in denaro non così allettanti, c’è il fatto che la classifica costringe chi arriva sesto a fare i preliminari. Attualmente la classifica dice che in corsa ci sono Fiorentina, Milan e Inter. I viola si risparmierebbero volentieri un inizio anticipato di ritiro, certo. E le due milanesi si sono organizzate per la tournée estiva, che comprende il derby cinese del 24 luglio a Nanchino: i preliminari sono previsti tre giorni dopo. Non benissimo, dunque. Ma per Inter e Milan, visto come si sono organizzate, appare più importante il viaggio in Cina. Perché i proprietari dei due club sono cinesi e la necessità di espanedere il marchio (e quindi di vendere magliette e altri gadget) è impellente, soprattutto se l’indiscrezione di Repubblica sull’intenzione di Adidas di rivedere al ribasso il contratto di sponsorship tecnica con i rossoneri dovessere essere confermata nei prossimi mesi. E l’esposizione del marchio nei nuovi mercati vale più di un Europa League che, ad esempio, ha portato una media di 14mila spettatori alla Roma all’Olimpico nella fase a gironi. E basterebbe vedere l’Interesse mostrato dalla stessa Inter nel giocare la competizione quest’anno, per chiudere il cerchio sulla coppa: contro lo Sparta Praga la curva era vuota, altro che ricavi dal botteghino.

Meglio dunque la tournée, che assicura stadi pieni, entusiasmo e una maggiore diversificazione dei ricavi: oltre ai premi per la partecipazione al viaggio (siamo sui 2 milioni di euro, certo meno dell’Europa League) i viaggi servono a procacciare nuovi sponsor. E l’Asia è da tempo il terreno di caccia preferito dai grandi club europei, come la Premier insegna. In prospettiva, dunque, la tournée può rivelarsi molto più remunerativa della coppa.

Non solo. Saltare la tournée significherebbe dover pagare per entrambe una penale, tra l’altro. E poi, ultimo ma non ultimo, c’è il problema del Fair Play Finanziario. Il Milan, che solo nell’ultimo anno ha registrato un passivo di circa 70 milioni, da aggiungere agli altri delle precedenti stagioni, è in trattativa con Nyon per il cosiddetto Voluntary Agreement, cioè la ricerca di accordo con la Uefa per un piano di rientro sostenibile da parte del club che gli permetta di non dover sottostare ai parametri Uefa in maniera stringente. Parametri che invece rischiano di essere meno valicabili se il Milan dovesse qualificarsi alla coppa, perché è prassi che i conti di una società finiscano nelle mani degli ispettori del governo europeo del pallone, con conseguenze poco piacevoli come quelle eventuali limitazioni al calciomercato che il Milan in questo momento non può permettersi.

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Alessandro Oliva
vivalafifa

Scrivo di calcio, business e social media, recensisco sushi su Tripadvisor.