Alessandro Oliva
vivalafifa
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7 min readJul 3, 2017

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Il futuro del calcio è nei semispazi

In geometria, un semispazio è ciascuna delle due parti in cui un piano divide lo spazio euclideo tridimensionale. Più in generale, un semispazio è ciascuna delle due parti in cui un iperpiano divide uno spazio affine. In altri termini, i punti che non giacciono sull’iperpiano sono partizionati in due insiemi convessi (due semispazi), in modo che ogni sottospazio che connette un punto di un insieme con un punto dell’altro deve intersecare l’iperpiano (grazie, Wikipedia).

Ok, forse abbiamo corso un po’ troppo. Per il momento, vi basterà tenere a mente la parola semispazio. Proviamo a spiegarlo così:

Lionel Messi ha appena fatto un pre-assist, lavorando bene nell’half space, cioè nel semispazio. Già, abbiamo una nuova parola nel vocabolario calcistico. Una volta tutte queste cose non esistevano, signora mia. Si andava allo stadio e se la propria squadra aveva uno stopper che non faceva passare nemmanco la madre, un centrocampista che organizzasse il gioco e una punta che facesse gol era fatta.

Pensarla così, però, è pochino limitativo. Perché il gioco del calcio, sin da quando ha cominciato a confrontarsi con la tattica e la disposizione degli undici uomini in campo, è affrontato una lunga e costante evoluzione dominata da un’unica, grande, geometrica ossessione: lo spazio. Pensavate fosse il gol, invece no. Il giocatore dell’Ajax e della nazionale Oranje Bernardus Adriaan Hulshoff, per gli amici Barry, di quel periodo fecondo tra gli anni Sessanta e Settanta meglio noto ai più come Totaalvoetbal (cioè Calcio Totale) ha fatto un riassunto breve ma ficcante: “Non facevamo altro che parlare di spazio: di come crearlo e infilarcisi dentro”. E prima che pensiate si trattasse delle attività amatorie dei primi calciatori-divi, chiariamo: se il gol era il fine, lo spazio era il mezzo.

Occupare lo spazio/sfruttare lo spazio: Metodo, Sistema e Calcio Totale

Il calcio totale codificato dagli olandesi non fu la prima rivoluzione che investì il gioco del pallone, certo. Per anni, le scuole di pensiero maggiori si sono confrontate con il Sistema e il Metodo. Il primo nacque dall’esigenza di riorganizzare lo spazio in funzione di fuorigioco e fase difensiva: visto che il primo pensiero era non prendere gol, negli anni Venti i vertici del pallone decisero di cambiare la regola del fuorigioco, che passava da tre a due giocatori oltre i quali si era considerati in offside. La modifica fece sì che si vedessero più spettacolo, più gol. Così Herbert Champman, manager talmente avanti da aver ottenuto (primo caso in Europa) una stazione della Tube di Londra vicina al vecchio stadio dell’Arsenal, ovviò al rafforzamento della difesa con il Sistema, chiamato anche WM per la posizione dei giocatori in campo e che di fatto vide nascere la mitica figura dello stopper. Il Sistema prevedeva passaggi brevi ed un’estrema eleganza dei propri interpreti e si contrappose al Metodo, che invece prevedeva contropiede e praticità.

Il Sistema prese piede ed ebbe anche una sua evoluzione ancora più tecnica con la scuola ungherese, che lo mutò da WM a MM. In pratica si aumentava la presenza in attacco con tre rifinitori, di cui uno era di fatto una punta centrale arretrata. Con il Sistema e suoi derivati si crearono i cicli vincenti di Arsenal, Torino e nazionale ungherese, ma soprattutto si gettò il terreno per le rivoluzioni successive. Le fitte reti di passaggi e il centravanti arretrato hanno contribuito alla nascita del Tiki Taka, che di per sé è quel sistema di gioco chiamato così perché fatto di brevi passaggi consecutivi (Tiki…Taka) e di sfruttamento di una punta arretrata che di mestiere non è una punta, ovvero il Falso Nueve.

Ma tutto ciò non avrebbe potuto esistere senza quel fertile terreno arato da una serie di giovani calciatori olandesi, che avevano intuito prima degli altri che lo spazio non andava solo occupato: andava usato. Come? Dividendo il campo in linee immaginarie, da superare mediante un gioco palla al piede che prevedeva la fase offensiva fin da quando il portiere avviava l’azione. Anzi, il portiere era il primo attaccante: Jan Jongbloed, che difese la porta Oranje ai Mondiali del 1974 e del 1978, da giovane aveva giocato centravanti. “Se le cinque linee sono ben posizionate e ognuno fa ciò che deve, in campo si creano i triangoli cruciali per il gioco di posizione (…). Di fatto l’attacco consiste soprattutto nell’applicare correttamente la tecnica, sfruttare gli spazi, difendere avanzando e mettere pressione agli avversari”, ha scritto Johan Cruyff nella sua autobiografia La Mia Rivoluzione. Difendere avanzando, roba da far schizzare le orecchie a tremila metri agli allenatori italiani, che per prima cosa difendevano compatti dietro: ci vorrà l’applicazione del calcio olandese tramutato dal 4–3–3 al 4–4–2 di Arrigo Sacchi per la rivoluzione anche in Italia.

Dal trequartista ai semispazi

Ma è proprio da qui che comincia una nuova era per il calcio, ovvero il trequartista, vera e propria icona della seconda metà degli anni Novanta. Se è vero che allenatori olandesi di nascita o di estrazione come Van Gaal e Guardiola sono soliti dividere il campo in settori numerati, dove i calciatori devono obbligatoriamente muoversi, è nella zona numero 14 che si è sempre avuta la massima efficacia in attacco. Ed è lì che si muoveva il trequartista, il giocatore che non rispettava le linee, anzi giocava tra esse. Sembrava così che si fosse ovviato al problema della totalità del gioco, affidando le chiavi all’estroso che con le spalle debitamente coperte poteva galleggiare nella trequarti, non dando punti di riferimento. Ma se l’evoluzione del calcio è una continua conquista dello spazio, c’è chi quello spazio lo difende. E come reazione all’azione del trequartista, negli anni è nato quel 4–2–3–1 che altri non faceva che creare una nuova line a due che chiudesse ogni rubinetto al trequartista. In un’epoca non molto lontana, al Mondiale del 2006, abbiamo praticamente pianto la scomparsa del numero 10 così come lo avevamo conosciuto, tra un (fallimentare) Quadrato Magico brasiliano e uno Zidane che si avviava alla fine della carriera. Ma era proprio una questione tattica, chiusa dall’idea che intasare il centrocampo avrebbe messo fine a certe fantasie in attacco.

Il Tiki Taka e il Gegenpressing creato da Jurgen Klopp hanno riportato in auge le velleità olandesi, ne comune segno del recupero veloce di palla basato sul pressing alto: ti sto con il fiato sul collo e appena ti prendo palla sono già nella tua porta, oppure se la perdo ti giro intorno veloce all’azione, così sono già pronto a fare la cosiddetta transizione, cioè il passaggio dal non possesso al possesso palla, nella maniera più veloce e organizzata possibile. Ma i teorici dell’occupazione dello spazio non mollano e continuano a infoltire il centrocampo, per non farti respirare. Ed ecco che arriviamo agli half spaces, ai semispazi che costituiscono la rivoluzione in atto nel gioco del calcio.

Intanto, dove si trovano gli half spaces? Qui:

Qual è la loro utilità? Prima di tutto, servono a fare sì che chi difende sia costretto a muoversi per marcare chi si trova nei semispazi. In pratica, servono a creare spazio occupandolo. Semplice, no? Vediamo un esempio targato Liverpool:

Non solo, ovviamente. Come nel caso di Messi all’inizio, sfruttare il semispazio significa creare un pre-assist, cioè un’azione che prepara la tavola per l’assist vero e proprio, perchè con lo spazio che hai creato occupandone un altro, sai già che stai innescando l’azione decisiva.

Nel caso del City, De Bruyne e David Silva giocano da “Liberi otto”, nel senso che hanno facoltà di agire nei semispazi, liberi da impegni difensivi e incaricati di riceve palla da impostazione dal basso, così che chi attacca, cioè il City, possa trovarsi in un attimo in 5 contro 4. Che poi è la stessa idea voluta da Antonio Conte al Chelsea. Ad un certo punto della stagione, è passato al 3–4–3 proprio per lasciare Hazard libero da ripiegamenti difensivi ed essere così più efficace nella transizione e nell’attacco fronte alla porta, uno dei marchi di fabbrica dei campioni d’Inghilterra, attraverso i semispazi.

Ed è fondamentale notare come da tali spazi nascano azioni da gol con passaggi in diagonale, perché servono a cogliere meglio di sorpresa il difensore che accorre a chiudere lo spazio: il movimento da compiere per intercettare tali tipi di passaggi è il meno naturale possibile.

In Inghilterra, come visto in questi esempi, l’uso degli Half Spaces è ormai una consuetudine. Ma non è l’unico luogo calcistico nel quale vengono usati. Anzi si possono interpretare in maniera più “olandese”, cioè come un modo per creare spazio per i terzini, come nel caso del Real Madrid, dove i costruttori di gioco Modric e Kross usano i semispazi come terra di arretramento per l’avanzata di gente di corsa e tecnica come Marcelo. O come nel Napoli, la squadra più olandese oggi in Italia, dove è Hamisk a muoversi nella terra di mezzo.

Dunque l’utilizzo dei semispazi non è a totale appannaggio della Premier, ma è qui che c’è la maggiore concentrazione di tecnici dediti al loro utilizzo. Vale la pena ricordare che nella prossima Champions ci saranno tutti: Guardiola, Klopp e Conte. The revolution is here.

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Alessandro Oliva
vivalafifa

Scrivo di calcio, business e social media, recensisco sushi su Tripadvisor.