Amsterdam: Cartoline dall’Altrove

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6 min readApr 10, 2016

di Laszlo Biosa

Che voi siate irriducibili backpacker, consumati avventori di ostelli o soltanto appassionati esploratori, vi sarà capitato prima o poi di interrogarvi sull’intima natura del Viaggio. Cosa spinge l’uomo a mettersi in strada? Cosa cerca oltre la linea d’orizzonte, evasione o cultura? In altre parole, viaggiare significa scappare dai nostri problemi, o piuttosto cercare un modo nuovo per affrontarli?

Dopo vent’anni e un discreto numero di chilometri lasciati alle spalle, ho dato finalmente una risposta definitiva a questo antico dilemma, e sono qui per dirvela a chiare lettere: viaggiare è un ottimo pretesto per drogarsi.

Per questo motivo, quando io e la mia ragazza siamo arrivati ad Amsterdam, non eravamo in fuga, né alla ricerca di noi stessi. Secondo noi, l’Olanda è solo un gigantesco campetto da minigolf di cinquantamila chilometri quadri, la cui unica attrattiva è l’illuminata politica locale in fatto di sostanze psicotrope.

In particolare, l’obiettivo del nostro pellegrinaggio nella Mecca della legalizzazione era sperimentare le gioie dello Psilocybe Atlantis, un derivato commestibile dei funghi allucinogeni. In patria, persone informate dei fatti ci avevano magnificato i suoi effetti sulla psiche umana, descrivendo scenari che spaziavano dal ludico allo spirituale.

E così, una volta scaricati dal pullman Eindhoven-Amsterdam di fronte alla Stazione Centrale, il nostro primo atto in terra straniera è stato quello di fiondarci al Kokopelli, uno degli smart shop più noti in città, e assicurarci una dose da 20 grammi di quello che gli iniziati chiamano la Pietra Filosofale.

Lo abbiamo assunto il giorno dopo a colazione, nella camera del nostro albergo a De Pijp, e i suoi effetti non hanno tardato a manifestarsi. Siamo rientrati del tutto in noi stessi soltanto la mattina seguente.

Versione breve? Ne è valsa la fottuta pena. Non importa se siete arrivati in Indocina a piedi, o avete attraversato il Pacifico in solitaria a bordo di una feluca: se non avete solcato i cieli sul dorso euforico del drago Psilocybe, non sapete cosa vuol dire viaggiare.

Se invece volete la versione lunga, dopo il salto troverete una ricostruzione di ciò che è accaduto dentro e fuori dalla mia testa nelle ore del trip. È stata scritta riordinando quanto ho trovato sul cellulare il giorno dopo, sparso tra registrazioni audio e note di testo. L’ho fatto per voi, perché dovete sapere. Non è un’idea molto popolare di questi tempi, ma è la pura verità: ho fatto uso di droghe, e mi sono divertito un mondo.

E allora forza, Papà Castoro: calati il fungo e raccontaci tutto! Sì, tutto!

Avete capito che cazzo di roba? Magari il vostro Vice del cazzo potrà pubblicare l’ennesimo articoletto sull’antropologia dello sballo. Ma voi volete di più. Volete il meglio. E allora chi vi parla è il vostro inviato speciale, il reporter sul crinale dell’esplosione, che vi regala un documento rarissimo.

(cazzo, una roba da Louvre, altro che il Ghirlandaio)

Un resoconto in presa diretta dal cuore pulsante del Trip. You are about to witness the strength of Gonzo Journalism.

Allora, la situazione è la seguente, accendete i vostri occhi a cinepresa.

(Camera d’albergo. Interno giorno. La spenta musica della vita riempie l’aria dei locali. Rosa Calce mi conferma quanto segue, lo accludo perché mi sembra in questo momento di grandissimo valore: siamo una squadra in lotta contro l’umanità per salvare i draghi).

Ho appena fatto una doccia. Io e Rosa Calce siamo nudi, sdraiati sul letto. La commessa del Kokopelli ci ha raccomandato di assumere il Re della Nausea in un ambiente familiare. Questo materasso non è un materasso, è il cocchio a cui aggiogare il nostro destriero psicotropo. Siamo sul fottuto letto di Pomi d’Ottone e Manici di Scopa!

Ecco. Il trip parte dall’orecchio destro. Quando sento che il timpano inizia a pulsare, è il segnale: devo lasciare andare i cani. Sento l’effetto della Sclerotia risalire dallo stomaco alla testa, come una marea fragorosa, che inonda ogni corpo cavernoso. Devo scriverlo, perché temo di dimenticarlo una volta che sarò tornato in superficie.

(Il grande demone cerca di uscire dalle Forme. Questo è importante scriverlo. Ci vorrebbero fogli più grandi. Fogli enormi).

PREDISPONETEVI ALL’ASCOLTO PERCHE’ NON SO QUANDO E IN CHE CONDIZIONI RIEMERGERO’ DALL’APNEA IN CUI MI STO CALANDO.

(Se il mio cervello avesse un cervello, allora quel cervello sarebbe Dio. Come se il mio colpevole corpo avesse un cervello, e così è. Allora il mio cervello avrà a sua volta un cervello e quel cervello è Dio).

Afferro il cellulare. Dentro sento crescere un’urgenza che non ammette repliche. Devo comunicare al mondo ciò che mi martella la scatola cranica, e devo farlo SUBITO, con ogni mezzo necessario.

(Eliogabalo vuol dire Signore delle Cime: è mia convinzione intima — per quanto di comunicabile ci sia in tutto questo- che le Cime di cui parliamo siano proprio quelle della Rivelazione del Peyote.)

Scrivo ai miei amici, li vedo trasfigurare davanti agli occhi: non sono più soltanto loro stessi, le loro fisionomie mutano, si fanno dense di simboli. Non sto scrivendo un articolo. Sto dettando il mio VANGELO, sono i miei apostoli.

(Nel vuoto delle grotte risplende l’occhio del Lupo. Dobbiamo guardare ben dentro la sua Iride Inumana per avere speranza di salvezza.)

Sono gonfio di paranoia. L’assoluta importanza delle rivelazioni che sento detonare una dopo l’altra nella testa, mi rende sospettoso. Penso che se scrivo a entrambi potranno sorvegliarsi a vicenda. Ho paura che ciò che scrivo sia usato per il Male. Se uno è la miccia, l’altro sarà gli alari del camino. E io? Mi limito a divampare.

(La verità è nella Grotta.

Platone si era sbagliato completamente. È nel culto misterico la soluzione circa il fluido amniotico entro cui si articola il Reale. Non nelle speculazioni dei Sapienti Illuministici. O non avevano capito la Verità o l’avevano nascosta con malizia.)

Lo chiamo così: “Vangelo della Miccia e dell’Alare”. Rinomino il file nestegg.word.

(Il Sole è il più grande Inganno. Ma questa Voce parla più forte di tutte le menzogne. È la Voce di una miliardo di pipistrelli. Non sono disgustosi, sono gli angeli di un Dio Esiliato).

Ora sento Rosa Calce biascicare qualcosa di incomprensibile, ma che mi sembra tenerissimo. Con estrema fatica, allungo una gamba fino a sfiorare la sua. Il contatto mi fa vibrare di benessere. Non mi sono mai sentito così vicino a qualcuno. Sento i lembi della nostra carne saldarsi, i contorni sbiadiscono, diventiamo un orribile coppia di gemelli siamesi, fusi l’uno nell’altro in una posa grottesca, ed è meraviglioso.

(Adesso è un lontanissimo futuro. Increspo con le mie orme la superficie di Saturno. Io sono l’Intelligenza Auruspice Gufo-Lupo-Scrittore-Principio Maschile, mentre lei è l’Intelligenza Aurispice-Gatto-Serpente-Illustratrice-Principio Femminile, siamo avvitati come due eliche di DNA).

Ho Fame. Fame. Fame. Anche lei. Abbiamo delle scorte: pop corn al pepe nero e panna acida. Scoppio il sacchetto. Li raccogliamo a manciate, ci riempiamo la bocca. Sanno di marcio, di muschio. (Beati gli imbucati alla cena del Signore). E io li mangio, sento incombere su di me una sorta di volontà superiore. So che devo uscire al più presto di lì, scavare una buca profonda, unirmi alla Voce che mi chiama dal sottosuolo.

Rosa Calce sta facendo dei disegni importantissimi, sento che servirebbero per orientarsi tipo carta geografica in questo casino, ma anche lei ne è gelosa. Faremo senza: l’importante è non rallentare.

(Abbiamo cercato per anni di scavarci il nostro cantuccio in un mondo scomodo, ora invece sentiamo di capire tutto. “È l’inermità del nostro Sapere che scardinerà il cosmo” le sussurro febbrile).

Bussano. È la cameriera che viene a rassettare la stanza: da un lato lo capisco benissimo, dall’altro IMPAZZISCO DI TERRORE. Sono dei non iniziati che cercano di profanare il Naos! Cerco di rivestirmi, di gettarmi addosso alla meno peggio la pelle umana che ho lasciato sul pavimento. Apro, e balbetto qualcosa in un inglese stentato, voglio che se ne vada al più presto. Ho paura e mi sembra di leggere nei suoi occhi che ne ha anche lei.

Quando riesco a chiudere la porta mi sento svuotato. Striscio fino al letto. Lei si stringe a me, mi bacia, capisco che vuole fare l’amore. Io sono preoccupato perché non sento l’erezione, anzi non sento più nemmeno il corpo, per fortuna già un attimo dopo io non sono più io. Sono un palloncino azzurro sul soffitto, guardo giù e vedo Aleister Crowley che possiede la Donna Scarlatta su di un letto disfatto.

(SENTO VORTICARE INTORNO A ME UNA GALASSIA DI EFFIGI: SPIGHE, SQUAME, MILLEPIEDI, SPIRALI, FUNGHI. RIMBOMBA INTORNO A ME L’ECO DI UNA RIVELAZIONE, SENTO LA VOCE CHE MI URLA NELLE ORECCHIE, E CREDO DI URLARE ANCHE IO: IL CIELO SARA’ LA TERRA, E LA TERRA SARA’ IL NUOVO CIELO!)

Crollo su di lei, esausto. Sento che dal mio ventre si dipana un cordone ombelicale, bruno di sangue e infinito, che oltrepassa la porta, percorre le scale e prosegue fino a chissà dove. Vorrei reciderlo ma non ho la forza. Il viaggio durerà ancora per ore, ma non ho più la forza di scrivere. Chiudo gli occhi. Tutto è calmo. Tutto è in pace. Il water fluttua tranquillo, sospeso a mezz’aria nella stanza, senza che nessuno badi a lui.

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