Atti cinematografici in luogo pubblico Ep.4
Come with me, in a world of pure imagination.
Con un Macbook da Starbucks, ok direi che si siamo. Il classico stereotipo da sceneggiatore in cerca di ispirazione tra le vie di Los Angeles, non ci ho messo tanto a raggiungerlo.
Terzo giorno negli Stati Uniti, terzo giorno in California. Devo ammettere che i primi due non sono andati proprio alla grande, partendo ad esempio dal fatto che c’è stato un fraintendimento con il residence in cui alloggio e mi sono ritrovato in una casa completamente vuota e sfornita di ogni cosa. Ho dovuto fare una specie di attacco all’Ikea di Burbank, grossa più o meno come il paese in cui vivo in Italia, per trovare il necessario alla sopravvivenza a questi due mesi. In questo momento il mio arredamento consiste in una sedia, un tavolo che ho montato non senza fatica e un materasso appoggiato a terra, una specie di incrocio tra arredamento minimale e stile di vita da artista parigino del 1800.
Questa mattina però me ne sono andato a vedere la sede della mia accademia, giusto per capire se è sta ad una distanza umana, il verdetto positivo ci posso arrivare tranquillamente a piedi. Andando alla scuola passo in mezzo agli studi della Disney oltre tutto, i quali sono divisi tra teatri di posa e uffici. Proprio passando di fianco agli uffici il mio morale ha acquistato di nuovo un po’ di fiducia, dalle pareti a vetro si vedono centinaia di persone che lavorano sedute al loro computer, che disegnano, scrivono, producono.
Riesco finalmente a realizzare che sono persone in carne ed ossa che in questa industria c’è gente normale che lavora non solo Topolino e i mega produttori. Ci sono ragazzi con la maglietta sgualcita, con jeans e cappellino, gente come me. Ma non è questa riflessione da quarta elementare a darmi veramente la fiducia, è più una sensazione di possibilità a ristorarmi e ad allontanare momentaneamente le mie mille domande.
Ieri ero in macchina con Mario, l’autista Uber per il mio secondo viaggio all’Ikea, il quale quando ha scoperto cosa facessi a Los Angeles mi ha detto una cosa che questa mattina mi è tornata a ronzare in mente all’altezza degli studi Disney. Era una frase tipo:
Screenwriting? Wow, so you have a lot of imagination.
Immaginazione, era una parola che mi ero perso per strada credo. Sento sempre parole come talento o creatività, ma era da tanto che non sentivo immaginazione. Alla fine è la base, spesso chi fa un lavoro legato alla narrazione è proprio qualcuno che cerca di dare sfogo alla propria immaginazione. Non so dirvi se questa sia più o meno importante del talento e se sia diversa o speculare alla creatività.
Forse la differenza con la creatività è facile da trovare, sta alla radice delle parole stesse. L’immaginazione è qualcosa che nasce nella nostra mente e che lì vive, si espande e muta; mentre la creatività è qualcosa che nasce dalla tua immaginazione e che sfocia nel reale, in un qualcosa di tangibile, creato. Non so dove si piazzi il talento in tutto questo, forse nel mezzo, in una specie di equazione.
Immaginazione + Talento = Creatività
Però il mio emisfero matematico si intreccia subito con quello cinematografico, un giorno sarebbe interessante farmi mappare il cervello, e mi viene da pensare che se partiamo dalla famosa battuta di Ike Davis in Manhattan: Talent is luck, the important thing in life is courage. L’equazione si potrebbe modificare ancora.
Immaginazione + Coraggio = Creatività.
Escludendo così del tutto il talento dalla questione e focalizzandoci sull’importanza di avere coraggio e credere che ciò che si ha in testa sia qualcosa di realizzabile. Questo aspetto renderebbe tutta la questione legata all’essere creativi molto più accessibile a tutti, più democratica. Forse il talento arriva dopo, il talento unito alla creatività generano insieme il successo o forse semplicemente determinano la qualità di ciò che si è prodotto. Ma non voglio postulare una teoria, quindi forse sarebbe bene fermarsi.
Tutto questo perché Mario, autista Uber, mi ha ricordato quanto tempo fosse che non pensavo a questa parola e solo ora capisco quanto sia utile per me in questo momento. Ora che da poco ho scoperto il peso specifico della solutine, impossibile da calcolare prima della partenza e che ora sembra mi voglia schiacciare come fosse una vecchia trappola di un tempio azteco e io fossi Indiana Jones.
Quanto ci salva l’immaginazione? Il poter star bene anche solo a pensare e immaginare storie e scenari differenti. Quanto ci aiuta a combattere il senso di solitudine e quanto, viceversa, il senso di solitudine ci stimola e mi costringe a immaginare. Forse c’è un postulato ancora o forse semplicemente da un punto di vista chimico la solitudine è un agente accelerante dell’immaginazione e quindi di conseguenza anche della creatività, odio quando i miei emisferi si incrociano così spesso.
Forse in questo episodio sono stato un pochino troppo personale, forse mi sono lasciato prendere la mano. Ma alla fine questo è il mio blog, sapevate a cosa andavate incontro, dovete essere pronti a roba simil. In fin dei conti la scrittura è un modo per metabolizzare la vita, o almeno per provare a digerirla meglio.