Atti cinematografici in luogo pubblico Ep.4

Come with me, in a world of pure imagination.

Alessandro Beghini
Waste of Ink
4 min readJan 5, 2018

--

Con un Macbook da Starbucks, ok direi che si siamo. Il classico stereotipo da sceneggiatore in cerca di ispirazione tra le vie di Los Angeles, non ci ho messo tanto a raggiungerlo.

Terzo giorno negli Stati Uniti, terzo giorno in California. Devo ammettere che i primi due non sono andati proprio alla grande, partendo ad esempio dal fatto che c’è stato un fraintendimento con il residence in cui alloggio e mi sono ritrovato in una casa completamente vuota e sfornita di ogni cosa. Ho dovuto fare una specie di attacco all’Ikea di Burbank, grossa più o meno come il paese in cui vivo in Italia, per trovare il necessario alla sopravvivenza a questi due mesi. In questo momento il mio arredamento consiste in una sedia, un tavolo che ho montato non senza fatica e un materasso appoggiato a terra, una specie di incrocio tra arredamento minimale e stile di vita da artista parigino del 1800.

Questa mattina però me ne sono andato a vedere la sede della mia accademia, giusto per capire se è sta ad una distanza umana, il verdetto positivo ci posso arrivare tranquillamente a piedi. Andando alla scuola passo in mezzo agli studi della Disney oltre tutto, i quali sono divisi tra teatri di posa e uffici. Proprio passando di fianco agli uffici il mio morale ha acquistato di nuovo un po’ di fiducia, dalle pareti a vetro si vedono centinaia di persone che lavorano sedute al loro computer, che disegnano, scrivono, producono.

Riesco finalmente a realizzare che sono persone in carne ed ossa che in questa industria c’è gente normale che lavora non solo Topolino e i mega produttori. Ci sono ragazzi con la maglietta sgualcita, con jeans e cappellino, gente come me. Ma non è questa riflessione da quarta elementare a darmi veramente la fiducia, è più una sensazione di possibilità a ristorarmi e ad allontanare momentaneamente le mie mille domande.

Ieri ero in macchina con Mario, l’autista Uber per il mio secondo viaggio all’Ikea, il quale quando ha scoperto cosa facessi a Los Angeles mi ha detto una cosa che questa mattina mi è tornata a ronzare in mente all’altezza degli studi Disney. Era una frase tipo:

Screenwriting? Wow, so you have a lot of imagination.

Immaginazione, era una parola che mi ero perso per strada credo. Sento sempre parole come talento o creatività, ma era da tanto che non sentivo immaginazione. Alla fine è la base, spesso chi fa un lavoro legato alla narrazione è proprio qualcuno che cerca di dare sfogo alla propria immaginazione. Non so dirvi se questa sia più o meno importante del talento e se sia diversa o speculare alla creatività.

Forse la differenza con la creatività è facile da trovare, sta alla radice delle parole stesse. L’immaginazione è qualcosa che nasce nella nostra mente e che lì vive, si espande e muta; mentre la creatività è qualcosa che nasce dalla tua immaginazione e che sfocia nel reale, in un qualcosa di tangibile, creato. Non so dove si piazzi il talento in tutto questo, forse nel mezzo, in una specie di equazione.

Immaginazione + Talento = Creatività

Però il mio emisfero matematico si intreccia subito con quello cinematografico, un giorno sarebbe interessante farmi mappare il cervello, e mi viene da pensare che se partiamo dalla famosa battuta di Ike Davis in Manhattan: Talent is luck, the important thing in life is courage. L’equazione si potrebbe modificare ancora.

Immaginazione + Coraggio = Creatività.

Escludendo così del tutto il talento dalla questione e focalizzandoci sull’importanza di avere coraggio e credere che ciò che si ha in testa sia qualcosa di realizzabile. Questo aspetto renderebbe tutta la questione legata all’essere creativi molto più accessibile a tutti, più democratica. Forse il talento arriva dopo, il talento unito alla creatività generano insieme il successo o forse semplicemente determinano la qualità di ciò che si è prodotto. Ma non voglio postulare una teoria, quindi forse sarebbe bene fermarsi.

Tutto questo perché Mario, autista Uber, mi ha ricordato quanto tempo fosse che non pensavo a questa parola e solo ora capisco quanto sia utile per me in questo momento. Ora che da poco ho scoperto il peso specifico della solutine, impossibile da calcolare prima della partenza e che ora sembra mi voglia schiacciare come fosse una vecchia trappola di un tempio azteco e io fossi Indiana Jones.

Quanto ci salva l’immaginazione? Il poter star bene anche solo a pensare e immaginare storie e scenari differenti. Quanto ci aiuta a combattere il senso di solitudine e quanto, viceversa, il senso di solitudine ci stimola e mi costringe a immaginare. Forse c’è un postulato ancora o forse semplicemente da un punto di vista chimico la solitudine è un agente accelerante dell’immaginazione e quindi di conseguenza anche della creatività, odio quando i miei emisferi si incrociano così spesso.

Forse in questo episodio sono stato un pochino troppo personale, forse mi sono lasciato prendere la mano. Ma alla fine questo è il mio blog, sapevate a cosa andavate incontro, dovete essere pronti a roba simil. In fin dei conti la scrittura è un modo per metabolizzare la vita, o almeno per provare a digerirla meglio.

--

--